2 – FIGURE DELL’IMMAGINARIO LESSINICO: “Tra autobiografia e letture: qualche altra considerazione preliminare”
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FIGURE DELL’IMMAGINARIO LESSINICO
- Tra autobiografia e letture: qualche altra considerazione preliminare
I racconti dell’immaginario fanno parte un poco anche della mia infanzia. Anch’io ho potuto raccogliere gli ultimi sprazzi di un raccontare pre-televisivo, casalingo e antropologicamente lontano da quello attuale. L’Agatuzza Messia della mia infanzia è stata mia madre che raccontava storie di anguane e di fade con una partecipazione emotiva straordinaria. Non saprei dire nemmeno io se ci credesse davvero e quanto.
Molto tempo dopo sono venute le letture e l’interesse per il folklore locale che mi hanno parzialmente riportato al clima dell’infanzia.
Quel che mi preme sottolineare, prima di passare ai racconti dell’immaginario, è la “spaccatura”, verificatasi nel corso degli anni Cinquanta, rispetto ad una continuità narrativa che aveva innervato la tradizione precedente per secoli.
Epocali sono stati, dunque, qui da noi, sulle nostre colline intendo, gli anni Cinquanta. Hanno segnato una cesura che la mia generazione sa riconoscere, con chiarezza e distinzione, a distanza di decenni. Il 1954 segna l’ingresso della televisione in Italia, anche se in periferia arriverà molto più tardi; processioni e rogazioni stanno per essere abbandonate; girotondi di bambini per le piazze e filastrocche ripetute centinaia di volte iniziano a rarefarsi fino a scomparire; da qualche finestra giunge non il canto della massaia ma il suono del giradischi; le strade asfaltate lentamente si estendono alla campagna e alla collina; la policoltura lentamente scompare, comincia a fare capolino qualche copia del “Corriere dei Piccoli”, del “Vittorioso”, di “Topolino”,… E’ la stessa visione della vita che sta mutando sotto lo sguardo esterrefatto degli anziani (l’espressione massima della loro meraviglia era: “Se tornesse i veci…”) e quello allegro dei bambini, decisamente volto al futuro. Compaiono le prime scotole di “Tide” con gli assolutamente inediti gadget che si collezionano come se fossero amuleti fatati. L’immaginario collettivo popolare, sotto questi colpi leggeri ma frequentissimi se ne va quasi senza che nessuno se ne avveda. Sui banchi di scuola insiste il calamaio, ma si fa strada lentamente la biro. E si scopre – la pubblicità incalza – che l’unico formaggio possibile non è quello riposto al fresco dalla nonna e fatto con il latte di casa, ma c’è anche il “Formaggino Mio”… Qualche papà diventa operaio e qualche altro rimane, ahinoi, contadino che quassù in collina suona come un’autocondanna, economica e sociale.
E’ in questo contesto, qui appena accennato, che si “dimenticano” le storie della tradizione. Tuttavia già gli anni Sessanta – quindi a ridosso, come dire, della fase drammatica dell’oblio – rappresentano una svolta, le storie incominciano a venire recuperate e pubblicate, lentamente, certo, ma credendo quasi in una loro particolare dignità letteraria. Onore al merito di coloro che si sono impegnati, già allora, in questa operazione di conservazione della memoria. Ma quel contesto sociale, culturale, psicologico, in cui quelle storie hanno preso vita, si sono perpetuate, hanno inciso nel pensiero, nelle fantasie, persino nei comportamenti, è irrimediabilmente perduto. Se ciò sia bene o male io non so dire.
Aldo Ridolfi – (2 continua)
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Foto da Wikipedia