2 – Della coltivazione de’ monti dell’abate Bartolomeo Lorenzi: “Gli abati nel Settecento”
…a cura di Aldo Ridolfi
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2. Gli abati nel Settecento.
Il 1700 è passato alla storia come il secolo dell’Illuminismo. In un certo senso l’Illuminismo unifica l’Europa perché un uomo può trovarsi a suo agio in diverse capitali europee, presso altri popoli diversi, ove tradizioni e culture non erano le proprie. Un secolo nel quale la natura, la ragione, la tolleranza, il cosmopolitismo, la libertà, la fiducia nella scienza e nel potere della ragione, la volontà di cambiare il mondo, di sradicare le ingiustizie si impongono con una determinazione e un entusiasmo fino ad allora sconosciuti. Ma anche un secolo che non vede il compimento delle riforme, che si accorge come la natura ponga ostacoli insormontabili, che scopre come il presente sia instabile e non del tutto controllabile.
Secolo, come tutti del resto, complesso, irriducibile a poche costanti, ad un numero limitato di variabili, ad una omogeneità – il “lume” della ragione – che solo per comodo è stata presa come punto di riferimento.
In una simile complessità si muovono, spesso e con successo, gli abati. La cultura si laicizza velocemente nel corso di questi anni, e gli abati detengono uno spazio di assoluto prestigio. È comunque il caso di precisare che in quei tempi abbracciare la carriera ecclesiastica con il titolo di abate e senza avere il compito della cura delle anime costituisce un buon modo di sbarcare il lunario senza fatica – come osservano i maligni – oppure è un modo per potersi occupare di cultura ad alto livello senza gli intralci dei compiti quotidiani – come invece sostengono gli ottimisti. Abate, dunque, è da considerarsi, in questo secolo, titolo onorifico concesso a persone che abbiano preso gli ordini minori e senza per questo avere l’obbligo della cura delle anime. Essi erano degli intellettuali titolari di benefici dai quali ricavavano il necessario sostentamento per potersi così dedicare alla cultura.
Proviamo a conoscere qualcuno di questi fortunati studiosi.
Incominciamo con Giovan Mario Crescimbeni, uno dei due intellettuali fondatori dell’Arcadia e primo Custode Generale della stessa. Legato alla curia romana, mantiene all’Accademia una posizione conservatrice. C’è poi il napoletano Antonio Genovesi, maestro dell’Illuminismo meridionale, economista e autore delle Lezioni di commercio o sia d’economia civile con il quale fonda in Italia la disciplina dell’economia politica. E ancora, celeberrimo, l’abate Ferdinando Galiani, arguto conversatore, improvvisatore salottiero, conteso a Parigi per il suo irresistibile charme. Uomo dalla precoce genialità, a soli ventitré anni diede alle stampe un trattato fondamentale di economia monetaria, il Della moneta. E abate è anche Giuseppe Parini che tanta parte ebbe nella cultura e nella poesia del Settecento, ad iniziare dall’incontro che ebbe a Venezia con Amedeo Mozart, per proseguire con il trattato antinobiliare Dialogo sopra la nobiltà. La sorte di essere abate tocca anche a Pietro Metastasio, protagonista di una lunghissima carriera teatrale colma di onori. Teneva corrispondenza con Federico II, con Caterina II di Russia, con il grande Voltaire, con i fondatori dell’Encyclopèdie, Diderot e d’Alembert. Anche il marchigiano Luigi Lanzi è abate, e di notevole prestigio anche, se è stato Aiuto antiquario presso quella che oggi si chiama Galleria degli Uffizi. E abate è Gerolamo Tiraboschi, storico e letterato autore di una Storia della letteratura italiana in sedici volumi e direttore della Biblioteca estense. Non abate ma sacerdote è Ludovico Antonio Muratori, archivista, bibliotecario e storico. Terra ricca di abati è anche la Francia: ne citiamo due: Andrea Morelly e Gabriele Bonnot de Mably impegnati ambedue a trovare soluzioni economico sociali capaci di risollevare lo stato di estremo disagio degli ultimi della società. E ne aggiungiamo un terzo, l’abate Joseph Antoine Toussaint Dinouart che nel 1771 pubblica un piccolo volume dal curioso titolo: L’arte di tacere.
Ma non è finita: abate, ma particolare, è Giacomo Casanova la cui interpretazione degli ordini minori che ha ricevuti nel 1740 non è proprio in linea perfetta con il ruolo che un abate dovrebbe mantenere.
Ma, per rientrare nel nostro territorio veronese, almeno bisogna ricordare Giuseppe Luigi Pellegrini, autore del poemetto Il ponte di Veja di cui già ci siamo occupati in questo sito. Abate “dottissimo” è anche Pietro Ballerini che ha curato le opere di San Zenone vescovo e di San Leone Magno, «con una immensa erudizione e dottrina». Ugualmente significativa è la figura dell’abate Luigi Salvi, consulente linguistico di A. Tirabosco e filologo dantesco elogiato da Ippolito Pindemonte. E c’è ancora – e per finire – l’abate Bartolomeo Lorenzi, veronese, nato a Mazzurega e autore di un poemetto La coltivazione de’ monti, di cui ci occuperemo minutamente tra qualche puntata.
Molti altri sono stati gli abati assurti agli onori della cronaca, ma non è questo il compito che ci siamo posti.
Aldo Ridolfi – (Continua)