2021 ANNO DANTESCO – “Gherardo II (o Gherardino), abate di S. Zeno, e il ricordo di Dante nel Purgatorio” contributi degli Editori de “ilcondominionews.it”

…a cura di Laura Rapelli

Aforismi penna

2021 ANNO DANTESCO – Ricorrenza a 700 anni dalla morte

Gherardo II (o Gherardino), abate di S. Zeno, e il ricordo di Dante nel Purgatorio

 Nel Purgatorio, Canto XVIII, ai versi 118-126, si legge:

 Io fui abate in San Zeno a Verona
sotto lo ’mperio del buon Barbarossa,
di cui dolente ancor Milan ragiona.

E tale ha già l’un piè dentro la fossa,
che tosto piangerà quel monastero,
e tristo fia d’avere avuta possa;

perché suo figlio, mal del corpo intero,
e de la mente peggio, e che mal nacque,
ha posto in loco di suo pastor vero.

Chi è il misterioso abate, vissuto «sotto lo ’mperio del buon Barbarossa», che si rivolge a Dante nella cornice degli accidiosi?
Durante gli anni in cui fu al potere Federico I (1152-1190), dai pochi documenti esistenti risulta che fosse abate di S. Zeno un certo Gherardo II, morto nel 1187. La scarsità di notizie rende, però, alquanto difficoltosa un’identificazione più precisa. Quello che per noi è interessante, tuttavia, è che l’abate fa riferimento ad Alberto Della Scala («tale ha già l’un piè dentro la fossa»), morto nel 1301, che si sarebbe dovuto pentire di aver imposto alla guida dell’illustre monastero il proprio figlio illegittimo Giuseppe, malvisto per i suoi costumi immorali, ben lontani dalle qualità necessarie per rivestire una carica di tale levatura.

A Verona i benedettini godevano di grande prestigio e avevano eletto il monastero di S. Zeno a polo di riferimento per tutta la diocesi cittadina, oltre che per la provincia, estendendo il loro raggio d’azione fino al lago di Garda (come testimoniano S. Zen de l’oselèt a Castelletto di Brenzone, S. Severo e S. Zeno a Bardolino, per citare solo alcuni esempi).
La stagione romanica veronese è connotata da monumenti che tuttora rendono unica la nostra città, tra cui spiccano la stessa S. Zeno – capolavoro indiscusso dell’arte medievale –, S. Stefano, S. Maria Antica, S. Giovanni in Valle e le due basiliche di S. Fermo inferiore e di S. Lorenzo, le cui strutture architettoniche costituiscono un unicum nel panorama italiano.
I benedettini erano l’ordine religioso più influente nel Medioevo: basti pensare che il monastero di Cluny, in Francia, fu uno dei più potenti d’Europa, arrivando ad avere circa 1.500 monasteri annessi. I cluniacensi godettero di speciali privilegi ed erano sottoposti direttamente all’autorità papale. L’abate Ugo (1049-1109), uomo di notevoli doti politiche, portò Cluny a un tale splendore che la terza versione della chiesa annessa all’abbazia, con i suoi 187 m di lunghezza, fu l’edificio più grande della cristianità fino alla costruzione di S. Pietro a Roma, nel XVI secolo.

Dante ebbe sicuramente modo di ammirare chiese come S. Fermo, che proprio negli anni in cui il poeta era ospite di Cangrande Della Scala fu ampliata con la costruzione della basilica superiore, a navata singola. Questa fu sovrapposta alla precedente chiesa inferiore, fondata dai benedettini nel XII secolo e ricostruita sui resti della preesistente basilica dell’VIII secolo, in cui il vescovo Annone aveva deposto le reliquie dei santi Fermo e Rustico, dopo che erano state riportate in città in seguito a un voto fatto dai cittadini per porre fine a un periodo di carestia e siccità.
La chiesa inferiore presenta la stessa pianta di un altro edificio veronese, S. Lorenzo, anch’esso realizzato dai benedettini nel XII secolo. Entrambe queste chiese sono accomunate da una planimetria unica in Italia: l’aula principale è divisa in tre navate ed è intersecata da un transetto che si dilata in due bracci, terminanti con un’absidiola orientata verso est, come le tre absidi del corpo principale. Ne risulta un organismo con cinque absidi unidirezionali, che ci riconduce a modelli francesi (Notre-Dame di Bernay, l’abbazia di Cérisy-la Forêt, Saint George a Boscherville) e inglesi (S. Agostino di Canterbury, la cattedrale di Norwich, l’abbazia di Romsey).
La scelta di questa pianta testimonia i legami di Verona con i territori d’Oltralpe. È possibile che tale modello provenga dalla Borgogna, anche se non è escluso che ci sia giunto dalla Germania meridionale, dove era stata consacrata la chiesa benedettina di Sant’Aurelio a Hirsau, sede di una scuola di architettura. L’edificio monasteriale aveva la stessa pianta di S. Fermo inferiore e di S. Lorenzo. Si tenga presente che Verona aveva stretti rapporti con il mondo germanico sia per ragioni commerciali e geografiche, sia per motivi politico-religiosi (nel Medioevo vescovi tedeschi hanno retto la nostra diocesi per un lungo periodo).

Un pezzo di storia della nostra città è, quindi, intrecciato con i versi del sommo poeta, che proprio a Verona, negli anni dolorosi dell’esilio, scrisse parte del suo immortale capolavoro.

Laura Rapelli

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