21. Della coltivazione de’ monti dell’abate Bartolomeo Lorenzi: “La lotta del gallo con la poiana”
…a cura di Aldo Ridolfi
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21. La lotta del gallo con la poiana
Ma con il gallo, pur or ora diventato cappone, non possiamo chiudere qui; c’è una nidiata di pulcini da accudire, da tirar su, da istruire per superare i pericoli, talvolta mortali, che la dura vita in campagna comportava. Lorenzi ben osservava, con passione da etologo, quasi un Konrad Lorenz di casa nostra, a quali impegni, a quali attenzioni il gallo doveva attendere per assolvere al suo compito inaspettato. Intanto egli provvede al suo compito proponendoci stanze di vera poesia agreste, pervase da un afflato georgico che ben si accorda con la sua vocazione campestre: «Il mio soggiorno in campagna è utile, e per me, che sapete già l’umor mio, dilettevole». Così in una lettera a Donna Teresa nel febbraio del 1814.
Ecco quattro meravigliosi versi della strofa CXXXIV che ci conducono in campagna con il nostro gallo e la sua nidiata di pulcini:
L’affidata famiglia egli conforta
con bassa voce a ritirar il piede:
fugge il timido popolo, e s’asconde
tra l’erbe, tra le macchie, e tra le fronde.
Già, perché sotto le nubi il materno gallo ha scorto volteggiare il nibbio e la poiana, nemici giurati non solo di teneri pulcini ma delle stesse galline.
E anche questa, scusatemi tanto, è scena da noi già esperita. Le nostre massaie (che erano le nostre mamme, le nostre zie, le nostre nonne) avvertivano dal chiocciare dei loro affezionati pennuti, improvvisamente fattosi concitato, il pericolo proveniente dal cielo. E allora uscivano di corsa sull’aia ad allontanare, con grida, batter di coperchi e di ferri e scope alzate minacciosamente verso il cielo, i pericolosi rapaci. Poi, scampato il pericolo, ritornavano in cucina soddisfatte a commentare.
Anche Lorenzi “vede” e racconta il rapace:
Intanto il predator con larghe ruote
scende come desio d’esca l’alletta
ma il gallo non arretra:
Sta il possente guardian con ciglia immote,
e in mezzo al campo l’inimico aspetta;
e
incomincia disperata guerra
l’uno combatte in cielo, e l’altro in terra. (CXXXVI)
Lo scontro è così violento da far dove eran verdi i fior vermigli. Uno scontro, dunque, con spargimento di sangue. E i fiori e l’erbe costituiscono attendibile testimonianza.
Sono stanze di straordinaria bellezza non solo per le scelte lessicali talvolta soffuse di sottile ironia, né solo per le rime o per la struttura sintattica dei versi, e neppure per la passione che tracima a favore della vita di campagna. Soprattutto c’è, qui, nell’abate, uno sguardo amorevole, affettuoso, materno verso gli animali, degno di Esopo.
Quando la cruenta battaglia si conclude, allora i pulcini:
li vedi dai cespugli uscire
tutti in un punto, e far corona al padre
lieti, poiché per lui vider fuggire
il sì temuto rostro, e l’unghie ladre.(CXL)
In questo scontro, nel racconto della dignità eroica del gallo, nella meticolosa osservazione di gesti e perfino di “sentimenti”, nell’intonazione ora ironica, ora grave, ora orientata a cogliere intimamente “quel” mondo, Lorenzi raggiunge uno dei vertici, anche estetici, del suo immenso poema.
Cari lettori, solo una vostra frequentazione attenta del testo di Lorenzi, e una rilettura fedele e insistente, e il ricorso ad una fervida fantasia volta ad immaginare prati e pulcini (a fronte di una scomparsa pressoché totale di simili paesaggi), consentiranno il recupero di immagini – ahinoi – lontane, lontanissime. Se ciò dovesse accadere, farete contenti e l’abate e chi, qui sotto, si firma.
(Aldo Ridolfi, continua)