35. PREISTORIA? SCIENZA DEL DUBBIO. “Un’appendice imprevista 2 – Divenire ominini …”a crudo””
…a cura di Giorgio Chelidonio
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Un’appendice imprevista 2
Divenire ominini …”a crudo”
La recensione anglofona di nuovo studio paleo-antropologico(1) ha ipotizzato che gli ominini di 4 milioni di anni fa circa abbiano imparato a preferire (e a ricercare attivamente) il gusto di materie grasse animali molto prima di quando iniziarono a predarne la carne (staccandola con i più antichi “coltelli di pietra), spezzando intenzionalmente ossa lunghe delle carcasse di grandi mammiferi (ormai già spolpate da altri predatori) per estrarne il midollo.
Incuriosito da questo vecchio tema ora rispolverato, ve ne propongo una sintesi tradotta, aggiungendo poi alcune mie osservazioni.
Jessica Thompson (Università di Yale) ha evidenziato come il midollo, contenuto nelle ossa lunghe delle carcasse di grandi animali, fosse una riserva di calorie particolarmente rilevante negli ambienti di savana arborata africana, dove questo specifico alimento era assai carente per degli “scimmiottini” già semi-bipedi e poco naturalmente dotati di mezzi fisici (es. canini, unghie aguzze) per sbranare le dure pelli di prede animali. La stessa paleo-antropologa ha anche precisato che la carne e il midollo sono molto diversi per capacità nutrienti, così come molto differenti erano le tecnologie che vi davano accesso: pietre taglienti (per aprire le pelli e staccare brani di carne), ciottoli (o altre masse litiche) duri e pesanti per spezzare le ossa ed estrarre il midollo.
Quest’ultima pratica, però, doveva aver comportato l’abitudine di “girare” portando con sé percussori litici perché non erano sempre disponibili in ambienti più o meno intensamente forestati: lo studio suddetto suggerisce anche che lo spezzare grosse ossa possa essere stato, in seguito, all’origine delle prime esperienze di scheggiare (dapprima casualmente, poi intenzionalmente) quegli opportunistici “manuport”(2) per trarne margini taglienti adatti a incidere pelli e carni.
Sullo sfondo di questa ricerca c’è l’evidenza che il cervello umano (quello attuale) consuma il 20% dell’energia corporea anche a riposo, cioè il doppio di quanto consumino i cervelli di altri primati antropomorfi che, del resto, sono quasi esclusivamente vegetariani. Peraltro, risulta tuttora insoluto il come (e da quali risorse) gli ominini più arcaici abbiano ricavato le calorie necessarie allo sviluppo dei loro cervelli in lenta espansione evolutiva.
Anche perché, ha precisato la Thompson, che la carne degli animali selvatici è magra: metabolizzare “proteine magre” ha un ridotto ricavo energetico, tanto che l’assenza di grassi può portare a stati di acuta malnutrizione: ne sapevano qualcosa gli esploratori delle zone artiche che l’hanno descritta come “morbo del caribù” o “fame di grasso”(3).
Attorno a 4 milioni di anni fa le aree forestali africane si stavano diradando in mosaici ambientali progressivamente caratterizzati da savane, più o meno arborate: in questi scenari, gruppi di ominini arcaici (forse già diversificati per specie territorialmente separate) stavano sperimentando il bipedismo. Erano, perciò, poco specializzati sia come bipedi che come esseri arboricoli, una condizione nutrizionale davvero incerta per potersi affermare come predatori competitivi nelle attività di “spazzinaggio” (in inglese “scavenging”, traducibile anche come “sciacallaggio”)(4) nei confronti di iene o avvoltoi.
L’acquisizione di strategie predatorie abitualmente “attrezzate” con grossi ciottoli o altri pesanti percussori permetteva loro l’accesso al midollo, alimento più durevole perché sigillato nelle ossa e quindi meno esposto ai batteri della decomposizione. Spezzare rapidamente ossa lunghe con grosse pietre consentiva, dunque, l’accesso ad una risorsa alimentare non solo “nascosta” ma anche “pericolosa”: l’aggressività delle iene poteva essere contenuta con azioni di gruppo, specie se attrezzate usando bastoni o lanciando i percussori stessi o altre pietre.
Lo studio conclude sottolineando che l’ipotesi predatoria del midollo anticiperebbe di oltre un milione di anni i più antichi manufatti in pietra oggi noti, suggerendo, in particolare ai paleontologi, una maggior attenzione, negli scavi, alle ossa intenzionalmente spezzate o frantumate.
In attesa di poter leggere l’originale di questo nuovo articolo, mi sento però di fare alcuni appunti:
– la più antica traccia di “scavenging” finora nota è quella del sito etiopico “Dikika”, datato ad
almeno 3,39 Ma(5) consiste in tracce di “tagli” su ossa di animali in qualche modo “macellati”.
Pubblicata nel 2010(6) è stata da alcuni studiosi criticata come “fenomeno naturale” (contatto
incidentale di ossa con pietre aguzze). Ne ho trattato anch’io in un mio studio, anche
sperimentale, pubblicato nel 2011(7);
- i più antichi manufatti litici sono quelli rinvenuti nel sito kenyota di “Lomekwi 3”(8): datati a 3,3 Ma, documentano una modalità talmente arcaica di scheggiare grosse pietre da essere stata definita “Modo 0”. La specie di ominini finora nota come coeva a quel livello crono-stratigrafico è il Kenyanthropus platyops(9), datato fra 3,5 e 3,2 Ma e dotato di una capacità cerebrale di circa 430-450 cc. Purtroppo, i suoi resti fossili finora rinvenuti non permettono ancora una ricostruzione scheletrica adeguata;
- nel periodo compreso fra 3 e 2 Ma circa, vivevano, nell’Africa centro-orientale almeno 4 o 5 diverse specie di ominini, i cui resti fossili risultano finora scarsamente connessi a manufatti litici o ad ossa conservanti tracce di scarnificazione o di fratturazione;
- a 4,4 Ma risale uno scheletro sufficientemente conservato di Ardipithecus ramidus(10).
Rinvenuto nell’Afar etiopico, aveva capacità cranica di circa 350-300 cc.; la morfologia delle ossa della mano rivela capacità di presa di precisione. Questa specie di ominino era già pre-adattato al bipedismo (ma con caratteri ancora arcaici, come gli alluci divaricabili e prensili), ma era ugualmente dotata di braccia lunghe da arboricoli.
Un caso molto importante, ma problematico, per valutare l’importanza del midollo animale nelle diete che hanno accompagnato gli ominini durante le loro prime espansioni “out-of-Africa” è il sito georgiano di Dmanisi:
– datato fra 1,76 e 1,85 milioni di anni fa circa, vi sono stati già trovati 5 crani semi-completi di
ominini, dotati di capacità cranica che spazia fra 730 e 546 cc. Secondo una revisione pubblicata
nel 2016(11), sia come ridotte dimensioni corporee che come abilità deambulatoria (ritenuta
abbastanza arcaica e un po’ simile a quella degli scimpanzé), questi rappresentanti di Homo
georgicus avrebbero caratteri “misti” fra gli Homo erectus africani (detto anche Homo ergaster) e i più antichi Homo habilis;
- i manufatti litici a loro associati presentano i caratteri tecno-tipologici del “Modo 1” (detto anche Oldowan)(12), cioè del tutto simili a quelli prodotti 2,6 milioni di anni fa in Etiopia e forse anche ai più antichi (3,3 Ma) rinvenuti a Lomekwi. Inoltre, i circa 15.000 manufatti litici di Dmanisi sono stati prodotti con 50 varietà di rocce localmente reperibili: ciò indica che le loro strategie attrezzate era assai poco selettive, opportunistiche e sapevano adattarsi ad una varietà di nicchie ecologiche;
- l’analisi delle loro ossa e del gran numero di quelle animali trovate nel sito mostrano tracce di “spazzinaggio predatorio”, prodotte sia da grosse iene (Pachycrocuta brevirostris, avevano le dimensioni di piccoli leoni, ma erano molto più robuste e muscolose)(13) sia da percussione intenzionale operata da ominini, verosimilmente per estrarre il midollo dalle ossa lunghe (femori, omeri, tibie che contengono la massima concentrazione di midollo).
Ma …persino alcune ossa umane portano segni di essere state rosicchiate da iene e/o da grossi felini (es. i Megantereon, una specie di “tigri dai denti a sciabola” estintasi 500.000 anni fa circa)(14).
Dunque, fra 4 e 2 milioni di anni fa circa, ominini e carnivori erano allora in competizione reciproca, forse anche diretta, a tal punto che il prof. N. Toth(15) ha proposto che il rinvenimento di un gruppo di ciottoli, emerso dallo scavo di una conca a Dmanisi, possa farli interpretare come “proiettili” lanciati dagli ominini per far desistere dei carnivori dal divorare le loro prede.
Possiamo, quindi, concludere che midollo “rubacchiato” alle iene possa aver significativamente contribuito ad arricchire la dieta dei nostri archeo-antenati africani ma anche abbia fornito l’energia necessaria allo sviluppo evolutivo cerebrale degli ominini già 4 milioni di anni fa?
In attesa di ulteriori paleo-verifiche, mi vien da dedurre che …forse aveva ragione mio nonno che nella prima metà degli anni ’50 del secolo scorso (quando alla radio si sentivano le prime pubblicità di diete dimagranti) sentenziava: ho sempre sentito dire “bello grasso”, mai “bello magro”.
Riassumendo, pare assai probabile che la nostra predilezione per il grasso e gli zuccheri derivi da abitudini alimentari maturate in differenti fasi arcaiche dell’evoluzione dei nostri paleo-antenati:
– quella per gli zuccheri della frutta matura acquisita nella fase arboricola precedente a 4 milioni
di anni fa;
– quella per il grasso animale appresa durante la fase del primo bipedismo e delle prime esperienze di “spazzinaggio predatorio”, cioè da almeno 3,5 milioni di anni fa.
Mi pare, inoltre, significativo evidenziare che il midollo, come risorsa di proteine e grassi, possa essere stato il primo “cibo animale nascosto” perché accessibile, solo usando rudimentali percussori litici. Ma anche, come già discusso, “cibo rischioso” perché lo si doveva contendere, tramite sciacallaggio attrezzato, alle iene e/o ad altri animali “spazzini”.
Infine, non è poi così sorprendente che l’arcaico gradimento nutrizionale per il midollo bovino sopravviva in alcune ricette storiche: ad esempio nella “pearà”(16), una salsa di pane grattugiato secco unita con brodo di carne ben pepato che, però, senza la giusta dose di midollo bovino diventa un banale “pan cotto” che mal si abbina ad un buon lesso!
Ma l’origine di questa antica ricetta popolare (forse già tardo-preistorica?) aveva alle spalle almeno un milione di anni di fuochi e di cotture abituali delle carni.
Links:
1) Thompson J.C., Carvalho S., Marean C.W., Alemseged Z., 2019: Origins of the Human Predatory Pattern: The Transition to Large-Animal Exploitation by Early Hominins, in “Current Anthropology” > https://www.journals.uchicago.edu/doi/pdfplus/10.1086/701477
2) https://en.wikipedia.org/wiki/Manuport
3) https://it.wikipedia.org/wiki/Morbo_del_carib%C3%B9#Manifestazioni_cliniche >>> È stato osservato che il fegato umano non è in grado di metabolizzare un quantitativo superiore a 200-300 g di proteine al giorno. Allo stesso modo, i reni umani sono altrettanto limitati nella loro capacità di rimuovere alcuni tipi di scorie dal flusso sanguigno, ed in particolare l’urea (un sottoprodotto del catabolismo proteico). Se l’apporto proteico supera le quantità sopra menzionate la concentrazione nel sangue di aminoacidi, ammoniaca, urea ed altre sostanze raggiunge livelli eccessivi.
4) http://www.treccani.it/enciclopedia/le-strategie-di-sussistenza-nelle-societa-preagricole_%28Il-Mondo-dell%27Archeologia%29/ >>> “Più problematico risulta ricostruire come gli antichi ominidi plio-pleistocenici si procurassero la carne; una notevole percentuale doveva essere ricavata attraverso il cosiddetto “scavenging”, l’attività di “sciacallaggio” sulle carcasse di animali già morti, i cui resti si incontrano frequentemente nella savana.”
5) Ma = sigla per “milioni di anni”.
6) https://www.nature.com/articles/nature09248
7) https://www.academia.edu/1810518/Chelidonio_CSAA_-_Dikika_and_Modo_0-_2011
8) https://www.nature.com/articles/nature14464
9) https://en.wikipedia.org/wiki/Kenyanthropus
10) https://it.wikipedia.org/wiki/Ardipithecus_ramidus
11) https://www.sciencemag.org/news/2016/11/meet-frail-small-brained-people-who-first-trekked-out-africa
12) https://it.wikipedia.org/wiki/Olduvaiano
13) https://it.wikipedia.org/wiki/Pachycrocuta
14) https://it.wikipedia.org/wiki/Megantereon
16) https://it.wikipedia.org/wiki/Pear%C3%A0 >>> pearà
Verona, 25 Febbraio 2019
Giorgio Chelidonio