39. Della coltivazione de’ monti dell’abate Bartolomeo Lorenzi: “L’Autunno – Lode al vino”
…a cura di Aldo Ridolfi
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38. Lode al vino
È schietto l’abate Lorenzi: innalza il vino a “dignità teologica”:
Caro dono del ciel, che rasserena
la nostra vita di miseria piena (stanza LXXXV)
Per affrontare queste miserie, di cui ogni tanto l’abate si rende conto, poche sono le soluzioni: lavorare si doveva, ma talvolta non bastava. Alessandro Carli così scrive in una relazione all’Accademia: «La miseria del popolo della città e del contado in sì gran calo di viveri era all’estremo». E Federico Bozzini osserva in quel piacevole libretto che è Il furto campestre: «La diffusa miseria finisce per intaccare la salute fisica… i medici dell’Accademia lo denunciano puntualmente». Lorenzi, però, è poeta: anch’egli denuncia, ma en passant, lo stato delle cose e, non disponendo di altri strumenti per modificarle, chiama in campo la speranza, la forza che più di altre può contrastare le difficoltà:
che la speranza è quella
che in mezzo a i mali a gl’infelici avanza
e quando anch’essa decidesse di abbandonare, delusa e sconfitta, gli uomini nel loro soffrire, un buon bicchiere di vino potrà trattenerla:
… se il vin non la tenea liquor giocondo
ancora in terra a far più lieto il mondo. (stanza LXXXVI)
Su questa falsariga Lorenzi trova il modo di citare e giustificare il patriarca Noè. L’abate ben conosce Genesi, 9, 20-21: rimesso piede all’asciutto il costruttore dell’arca «cominciò a fare l’agricoltore e piantò una vigna, ne bevve il vino, s’inebriò e dormiva ignudo nella sua tenda».
Per inciso: noi si conosceva fin da bimbetti la storia di Noè e dell’arca sua, ma nulla si sapeva della sbronza: vorrà pur dire qualcosa, educativamente parlando, o no?
Ma riprendiamo Lorenzi, per il quale l’ubriacatura del patriarca è comprensibile conseguenza della terribile esperienza del diluvio: egli è «dolente ancora e sbigottito» e solo il vino può fargli accettare quell’epico dramma:
Il gran terrore mitigare dell’acque
sol poté ‘l vin nell’animo smarrito.
Ma il vino non soltanto è la medicina che salvò Noè dalla disperazione e forse anche dalla pazzia, ma esso ottiene anche un altro significativo risultato:
E la speme fermar che avea dal suolo
già l’ali per partire aperte al volo (stanza LXXXVII)
Che, fuor di metafora, altro non significa che un buon bicchiere di vino può ridare fiducia, speranza nel futuro, anche quando la situazione sembra priva di ogni prospettiva e anche la speranza sembra abbandonare il campo.
Ma quante sono le virtù del vino! Ascoltiamo Lorenzi ancora una volta:
Te gl’infermi fanciulli, e i vecchi stanchi
lodino, o santo umor, cui solo è dato
lunghe febbri sanar, stomachi, e fianchi,
ipocondri, e ferite al sen piagato. (stanza XC)
Non solo, ma Lorenzi passa dalla Valpolicella agli oceani e il vino diventa panacea per ogni male, sostegno in qualsiasi difficoltà, efficace per il corpo ma anche per l’anima:
Tu forte il capitan, tu il peregrino
nocchier fai più securo in su la nave;
per te il bifolco misero e tapino
l’aspra fatica cimentar non pave.
Tu riconduci il sonno in su ’l cammino
de l’orme tue più placido e soave.
Tu non del corpo sol, ma sei de l’alma
sostegno, e lume, e refrigerio, e calma. (stanza XCII)
Certo, il vino, come molto di ciò che scaturisce da mani umane, presenta anche un’altra faccia meno nobile e di ciò, noi che negli anni Cinquanta eravamo bimbetti ma capaci intendere e volere, qualcosa sappiamo. Ma anche questo è un altro discorso.
(Aldo Ridolfi, 4 continua)