6 – FIGURE DELL’IMMAGINARIO LESSINICO: “Divagazione prima”
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"I due roccioni nei quali la fantasia vede i due pastori pietrificati dalla maledizione dell'anguana Seralda".
FIGURE DELL’IMMAGINARIO LESSINICO
6. (1) Divagazione prima: “L’angoana Seralda” nell’interpretazione di Piero Piazzola
Ecco il testo promesso, la poesia di Piero Piazzola
L’angoana Seralda
(Da una leggenda di Campofontana)
Seralda, Seralda,
maga de le tane,
fada de le lane;
angoàna spavalda. (Ritornello)
Coante strussie, coanto sfadigàr,
coanto desténdar, coanto lavàr!
Tute le note da le séngie ai fagàr;
tanti nissói da sbàtar e da sugàr.
(Seralda, Seralda…)
Coanto da far, coanti dolori,
coanta ‘ngòssa, coanti sudori!
Lana sùsia bianca, lana da netàr,
lana da filar, lana da scartedàr.
(Seralda, Seralda…)
Gnente de négro, sol che nissói;
gnente de négro, gnanca dei fioi.
Lissia de angoana, l’è sol lissia bianca:
Macia de négro, creatura che manca.
(Seralda, Seralda…)
Caresse, basi, cunar, cantar.
Te crussia ‘l fiol; te chégni laoràr.
La véra del pósso l’è cuna fatal.
E tuti lo piande ‘n t’el Vaio Guantàl.
(Seralda, Seralda…)
Par rabia du vèci te incanti.
Le séngie te ‘mpiéni de pianti.
La véna maledéta de coél vaio
te ‘ngòssi de lana, eterno strupaio.
(Commiato)
Angoana Seralda, pì mare che fada;
l’amor destrùie dei maghi la strada.
Angoana Seralda, fada desperà,
striamenti e vìssare, tuto sassinà.
Piero Piazzola
Commento
Le leggende avvolgono il mondo, ma poi si fermano nelle singole comunità ed è da questa incarnazione che esse traggono la loro forza simbolica e riescono a parlare agli uomini.
La leggenda dell’angoana Seralda prende forma a Campofontana, piccolo centro della Lessinia a oltre 1200 m slm. Piero Piazzola, studioso e poeta di questa terra, la raccoglie e la mette in versi. E’ una storia dolorosa. Seralda è un’angoana, una creatura fantastica, un po’ stria e un po’ fata, buona ma un poco anche malvagia. Le angoane che vivono nelle grotte di Campofontana – sono chiamate anche Bele Butèle a sottolineare la loro sostanziale ma non totale positività – hanno un obiettivo prioritario: quello di aiutare le donne nei lavori domestici e in particolare a lavare e stendere le lenzuola e a pulire la lana delle pecore, ma solo quella bianca. Ma una donna di Campofontana possiede solo pecore con il manto nero e ciò indispettisce Seralda che distrugge quella lana. La montanara, offesa per il trattamento ricevuto, si vendica e un po’ per errore un po’ per superficialità, getta la bambina di Seralda nel pozzo detto ancora oggi “Pozzo dei Seraldi”, sito nel Vajo Guantàl. La vendetta di Seralda è feroce: trasforma la donna e suo marito in due macigni e fa dissecare per sempre il pozzo.
Ma questa è solo la cronaca.
Piero Piazzola, con una sorta di abilità prodigiosa, toglie ai fatti leggendari ogni ombra di malignità e dissolve ogni cosa – l’umana debolezza e la feroce vendetta – in una pacata anche se dolorosissima e malinconica vicenda.
In questa ballata l’Autore fa sopravvivere un mondo incantato dove il dolore e la disgrazia non sono mai le conseguenze di una malvagità radicata e premeditata, ma paiono piuttosto eventi insondabili, capaci di avvolgere in un destino comune l’uomo e l’essere fantastico. Piazzola non è capace di raccogliere e di descrivere il male, ma lo vede e ne soffre e per non farlo diventare una costante dell’esistenza lo sublima e, così, lo annienta. La sua vocazione poetica e la sua sensibilità di uomo delle montagne, arrivano ad umanizzare l’essere fantastico il quale, prima di essere “fada”, è “mare”, madre: “pì mare che fada” dice avvicinandosi alla conclusione della triste storia. Anche Seralda, nel drammatico momento del dolore e della disperazione, perde ogni connotato magico e viene avvolta, nel bene e nel male, dalla stessa umanità che percorre le contrade lessiniche di quelle epoche. La spavalderia iniziale dell’angoana si stempera nelle “strussie”, nei “dolori” e nell’”ingòssa” dei versi successivi e si placa, scardinandosi del tutto, in quel “fada desperà” che completa e rende irreversibile l’umanizzazione dell’essere fantastico. Il collegamento, il legame, l’imparentamento tra uomini e dèi è, dunque, poeticamente dimostrato, all’insegna di una comune partecipazione alla misteriosa e difficile vicenda esistenziale.
Aldo Ridolfi – (6 continua)