7 – FIGURE DELL’IMMAGINARIO LESSINICO: “Le storie: la fada Àissa Màissa e il giovane di Velo”
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FIGURE DELL’IMMAGINARIO LESSINICO
7. Le storie: la fada Àissa Màissa e il giovane di Velo
Oggi la viabilità che collega Selva di Progno a Velo Veronese è tale da consentire un facile percorso su strada asfaltata e con pendenza contenuta tanto che, d’estate, è percorsa da decine e decine di ciclisti che salgono verso l’alta Lessinia, certo faticando, ma con indicibili soddisfazioni.
Bene, ma le cose non sono sempre andate così. In passato, chi da Selva di Progno avesse dovuto raggiungere Velo Veronese doveva affrontare un ripido sentiero dentro la Valle dei Cóvoli. Ripido, oscuro e reso pauroso dai racconti che circolavano nelle lunghe sere dei filò, nel corso dei quali si susseguivano racconti raccapriccianti attorno agli esseri mitici che avrebbero popolato quelle terre.
E’ appunto uscendo, a notte inoltrata, da uno di questi filò che un giovane di Velo, coraggiosamente, si avviò lungo il sentiero che, passando dalle contrade Dosso e Sami, risaliva tutta la Valle del Cóvolo per raggiungere Velo. Un po’ di paura a percorrere quella valle ce l’aveva, il giovane, ma confidava nella luna piena che spandeva la sua luce anche laggiù, nel vajo.
Il giovane, dunque, procedeva spedito ma guardingo e pronto a trasalire ad ogni rumore inaspettato e ad ogni ombra che sembrasse avere parvenze umane o di animale. Sapeva bene che di notte non era consigliabile percorrere certe zone, ma il desiderio di stare un po’ più a lungo con la fidanzata gli aveva fatto dimenticare la necessaria prudenza.
Ma comunque procedeva di buon passo e presto sarebbe stato fuori dal vajo e si sarebbe lasciato alle spalle anche gli orribili cóvoli, che di notte e con le ombre proiettate dalla luce lunare, sembravano enormi fauci spalancate pronte ad inghiottire l’incauto che si era avventurato in quei luoghi. Del resto i cóvoli erano abitati da misteriosi esseri femminili che talvolta collaboravano con uomini e donne lessinici, ma spesso compivano sanguinosi misfatti ai loro danni.
Proprio in quel momento, dopo una curva del sentiero ecco apparire, seduta sopra un sasso, una fanciulla dalla straordinaria bellezza. Era la fada Àissa Màissa di cui si parlava diffusamente su quei monti! Il giovane non solo rimase sorpreso, ma, in un primo momento, si impaurì pure. Tuttavia la storia dice che, vuoi per le virtù magiche che la giovane, in quanto fada, possedeva, vuoi per la sua straordinaria bellezza o vuoi, infine, perché l’attrazione reciproca a quell’età è dato incontrovertibile, necessario e in grado di agire senza dover ricorrere a nessuna magia, i due trascorsero assieme quella notte e molte altre successivamente.
Ma, un brutto giorno, le fade compagne di Àissa si accorsero che la giovane e bellissima loro collega era incinta, ciò la metteva immediatamente fuori dalla comunità, anzi fu per questo incarcerata nell’antro più buio e umido dei cóvoli.
Quando diede alla luce il bambino le fade avrebbero voluto strangolarlo (le fade avevano molta dimestichezza con orrendi fatti di sangue), ma un orco buono riuscì a strapparlo alle megere e a metterlo in salvo.
Àissa Màissa, cacciata dalla comunità e saputo che il suo amore era morto, forse dal dolore di non averla più potuta incontrare, assunse le sembianze di una forte contadina e divenne serva presso una contrada del posto. Nel suo nuovo ruolo diede prova di collaborazione con gli uomini e con le donne della contrada e acquistò fama di serietà ed abnegazione.
Ma un giorno le venne riferito uno strano messaggio: Trolge Morge, il suo figlioletto, era morto! Presa dalla disperazione, Àissa Màissa salì su un cavallo bianco e sparì per sempre da quei luoghi per lei dolorosissimi.
Tuttavia Benetti e Anderloni così concludono, oggi, il racconto: «C’è chi giura che, nelle notti di luna piena, passando per la Valle dei Cóvoli, e guardando in alto, lassù, verso il cielo, si possano vedere i due innamorati danzare, accanto alle stelle, su un lungo filo argentato che attraversa la valle».
A me non è mai capitato, ma mi fa piacere pensare che ciò possa, una volta o l’altra, accadere, perché, talvolta, il confine tra realtà e sogno è invisibile.
(Liberamente tratto da Attilio Benetti, I racconti del “filò” nei Monti Lessini, La Grafica)
Aldo Ridolfi – (7 continua)