9 – FIGURE DELL’IMMAGINARIO LESSINICO: “Le storie: l’Orco”
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FIGURE DELL’IMMAGINARIO LESSINICO
9. Le storie: l’Orco.
L’Orco lessinico nell’interpretazione di Alessandro Norsa.
Sull’onnipresenza dell’orco nell’immaginario lessinco c’è poco da dubitare. Anche nella mia infanzia c’è un “Vajo dell’Orco”, proprio dietro la mia contrada, nel quale talvolta ci si recava a caccia. Quanti altri vaj dell’orco ci siano in giro in Lessinia non saprei dire, di sicuro molti. Probabilmente ogni comunità aveva un bosco infestato dagli orchi, le cui “funzioni” erano necessarie ovunque. Questo essere preferiva la notte, quando si metteva in cammino con un sacco sulle spalle alla ricerca di bambini da “portar ia” e mangiarseli poi con calma. Bambini disubbidienti, si capisce, che magari tardavano a ritornare a casa alla sera.
Quanti orchi, poi, annovera il folklore lessinico!
Ci sono i sette orchi del “Vajo delle Ortighe”, i quali, gelosi della ricchezza detenuta dalle fade, pensano bene di soffocare le malcapitate ponendo all’ingresso della loro grotta un enorme albero e dandogli fuoco. Ma il piano fallisce miseramente decretando, per i sette orchi, una figura pellegrina e non deponendo per una grande intelligenza di questi esseri fantastici.
E non è l’unica situazione in cui l’orco fa una misera figura. Monsignor Giuseppe Cappelletti racconta che una volta un orco balla e canta sopra un ponticello sul torrente Fraselle finché il ponticello crolla facendo finire il malcapitato in acqua, con pochissimo onore e smentendo gli attributi magici o diabolici generalmente attribuitigli.
Ci sono ancora i due orchi dei Marognoni i quali vengono alle mani tra loro per stabilire di chi dei due fosse la responsabilità della fuga di un malgaro appena catturato. Ne nasce un gigantesco scontro con botte da orbi tanto che batti di qua, batti di là, un intero costone roccioso si sbriciola dando origine appunto alla località Marognoni.
Come per le anguane, anche gli orchi presentano una duplicità di comportamenti. Talvolta aiutano gli uomini, come è accaduto a quel marito che credeva alla malattia della moglie e per questo si reca a Recoaro a prendere l’acqua che avrebbe risolto il malanno. Ma, grazie all’aiuto di un orco buono, il marito smaschera l’infedeltà della donna e «così la moglie è stata guarita con un bastone di faggio senza bere l’acqua di Recoaro».
L’orco è anche un incontenibile trasformista può assumere le sembianze di scrofa, cavalla, pecora, basilisco, vento, anitra, quercia, ragazza,… E anche di un umano, naturalmente. Insomma davvero un gran imbroglione!
E, a proposito di località e toponimi, il sito più noto è il Sengio dell’Orco, impropriamente chiamato “Fungo di Camposilvano” a causa della sua forma che ricorda un gigantesco fungo. Ma la tradizione folkloristica racconta un’altra storia, racconta che quel particolare masso lì è stato trasportato da un orco per consentire alle fade di fissare un capo della loro strategica corda (l’altro veniva fissato al Corno Barila, sul versante opposto della valle, in quel di Campofontana). Così fade e anguane potevano, nottetempo, stendere i panni ad asciugare. Una bella storia di collaborazione tra esseri mitici, per una volta.
Veramente, una caratteristica dell’orco è proprio la suo forza prodigiosa che faceva tutt’uno con le sue dimensioni gigantesche, tali da consentirgli di stare in piedi a cavallo di una valle, o sui tetti delle case.
A completare il quadro c’è perfino l’Orco Burlevole che, dopo aver sbarrato il passo a San Carlo Borromeo mentre dalla Lessinia scendeva ad Ala di Trento, scoperto in flagrante dal Santo e messo alle strette dal Segno della croce, si volatilizza con una gran risata assieme ad una rassicurante ammissione di sconfitta ad opera del vescovo: «Sta olta te me l’è fata ti!». Ed era sempre lo stesso Orco Burlevole che faceva sentire il rumore sordo di una lontana frana facendo così spaventare i montanari i quali si accorgevano dell’inganno solo quando udivano proveniente da non si sa dove una grassa risata.
Insomma, l’orco poteva contare su un range comportamentale molto ampio che andava dal rapimento dei bambini per mangiarli all’essere egli stesso vittima dell’astuzia femminile. Tutto questo lo colloca in un’area dove il drammatico convive con il comico e il fiabesco, usufruendo così di un’interpretazione popolare capace di mediare esemplarmente tra le opposte forze che agiscono nel mondo, ieri come oggi.
Aldo Ridolfi – (9 continua)