“Il comboniano Antonio Maria Roveggio” in un volume di Giancarlo Volpato – Visto da Giuseppe Corrà… – 28
…a cura di Giuseppe Corrà
Il comboniano Antonio Maria Roveggio in un Volume di Giancarlo Volpato
Una vita breve ma intensa, vissuta in un mondo ed in un periodo per nulla semplici, in cui la sua incapacità quasi congenita di scorgere il male negli altri poteva essere scambiata quasi per ingenuità, per mancanza di un minimo di abilità diplomatica come ci si poteva aspettare da un vescovo, dal Vicario Apostolico dell’Africa Centrale quale egli fu dal 1895 fino alla morte, avvenuta 7 anni dopo.
Questa l’intensa ed affascinante figura di uomo e di sacerdote del comboniano monsignor Antonio Maria Roveggio quale emerge dalle 796 pagine che il professor Giancarlo Volpato gli dedica nel libro dal titolo Antonio M. Roveggio instancabile erede di Comboni (1858-1902), pubblicato dalla Casa editrice Mazziana. Il volume è stato presentato venerdì 11 dicembre 2015 alle ore 17 all’Accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona dal professor Gian Maria Varanini e da suor Maria Vidale, direttrice del Centro studi in Roma delle Pie Madri della Nigrizia (le Comboniane), presente l’autore.
Antonio Roveggio nacque a Porcetti, frazione di Cologna Veneta (VR), dal 1924 diventata San Sebastiano, nel 1858 il 23 settembre o 23 novembre (nei documenti che lo riguardano si trovano tutte due queste date e non si ha la possibilità di stabilire quale sia quella esatta) da Giacomo, originario di Roncà (VR) e da Dorotea Cadore. Terzo di cinque figli di famiglia contadina, studiò nel seminario diocesano di Vicenza (Cologna Veneta appartiene come San Bonifacio alla diocesi di Vicenza), ai tempi del vescovo Giovanni Antonio Farina. Ordinato sacerdote nel 1884, entrò poco dopo nella Congregazione dei Figli del Sacro Cuore di Gesù (i Comboniani). Al momento di emettere i voti, affiancò al proprio nome di battesimo quello di Maria.
Nel 1887 partì per l’Africa, dove fu dapprima direttore spirituale della comunità missionaria e si occupò molto dell’educazione dei bambini. Dal 1890 al 1895 diresse la Colonia antischiavista “Leone XIII” alla Gezirah, un isolotto nel Nilo all’interno del Cairo, fondata alla metà del 1888 da monsignor Francesco Sogaro, ex stimmatino e Vicario Apostolico dell’Africa Centrale prima di lui.
Assunto nel 1895 l’incarico che era stato di Sogaro, Roveggio si trasferì provvisoriamente ad Assuan perché gli fu impossibile entrare in Sudan a causa della guerra mahdista in atto. Dopo la sconfitta delle forze fondamentaliste della Mahdìa, poté partire per Omdurman (città sudanese situata sulla riva occidentale del Nilo, di fronte alla capitale Khartum), da dove avviò la ricostituzione delle comunità cattoliche distrutte dalla persecuzione che toccò anche le suore comboniane. Al riguardo, si ricordi l’emblematica vicenda della veronese suor Teresa Grigolini, originaria di Mambrotta di San Martino B. A..
Provato dalle opposizioni politiche e dalle malattie, morì di malaria in treno nelle vicinanze di Berber, all’età di 44 anni non ancora compiuti. In quel momento lui, uomo alto più di un metro ed ottanta, pesava solo 40 chili. “Vedevo solo dei pantaloni camminare”, testimoniava di lui una suora. Oggi è avviata la sua causa di beatificazione.
Per poter ricostruire criticamente la biografia di questo grande comboniano, ma anche il tempo che egli fu chiamato a vivere, il professor Volpato ha impiegato tre anni durante i quali ha consultato l’archivio della parrocchia di nascita di Antonio e di suo padre, quello dei Comboniani di Verona, quello diocesano di Vicenza, quelli dei luoghi in cui operò come vescovo, l’archivio di Stato di Vienna, quello del Foreign Office, quello del Vaticano ed ha avuto a disposizione anche la sua Positio (la collezione dei documenti presentati per la causa di beatificazione). Il libro che ne è scaturito si può considerare il primo scritto a carattere veramente scientifico sulla figura e l’opera di monsignor Roveggio, ma anche di un pezzo importante della storia comboniana e di quella di una parte dell’Africa al tempo della dominazione coloniale della seconda metà del 1800 e della vicenda mahdista.
“Quando scrivo di qualche personaggio – confessa il professor Volpato – cerco sempre di mantenere un atteggiamento distaccato che mi permetta di essere il più obiettivo possibile. Ma stavolta devo dire che la figura di questo uomo, di questo vescovo mi ha molto coinvolto emotivamente, soprattutto per la sua grande capacità di valorizzare il lavoro altrui, in particolare delle donne e delle suore che l’hanno affiancato nella sua missione (una cosa non semplice con l’educazione ricevuta in seminario), per il suo profondo rispetto delle credenze religiose altrui (la conversione al Cristianesimo per lui doveva essere la conseguenza finale di tutta una serie di attenzioni rivolte alla persona) ed ancor di più per la sua disarmante incapacità di scorgere il male nei gesti del prossimo. Anche se questi era il Mahdi”.
Giuseppe Corrà