L’Alpino: “In bici per non dimenticarlo mai” – 2

…a cura di Ilario Péraro

Alpini 2

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Alpini 8

In bici per non dimenticarlo mai
(Storia di un nonno)

Nome: Gianluca
Città: Fiè allo Sciliar (Prov. Bolzano)

   Primavera 1931, nella zona del Polesine, dove i confini tra le province di Verona Padova e Rovigo si confondono, un giovane adolescente con le idee da adolescente, sta pedalando lungo l’Adige, su una strada bianca, nell’afa umida della pianura.
C’era il problema del cibo, all’epoca, ma mio nonno pedalava per andare a suonare uno strumento, a lui piaceva il violino e per trovarne uno e fare delle prove doveva pedalare  chilometri, ogni giorno. Quel giorno però, lo fermarono due carabinieri che gli chiesero dove fosse il bollo, sì, all’epoca si pagava il bollo per la bicicletta. La famiglia di mio nonno non aveva i soldi per mangiare figuriamoci se aveva i soldi per il bollo della bicicletta. Quindi mio nonno dovette seguire i carabinieri in caserma  per gli accertamenti del caso e per scontare tre giorni di reclusione, a pane e acqua.
Ecco, che durante gli accertamenti si scopre che mio nonno ha 17 anni. A quell’età avrebbe dovuto essere già sotto le armi. Gli diedero del renitente alla leva e del disertore, lui però spiegò che la cartolina non gli era mai arrivata. Non era un pacifista attivo, semplicemente aveva in casa due zii reduci dalla prima guerra mondiale. Uno era senza un occhio e l’altro senza una gamba.
Essere renitenti alla leva era un reato molto grave, e mio nonno questo lo sapeva. Allora cercò in tutti i modi di  evitare l’accusa, anche esclamando che lui lo voleva fare di corsa il militare. Non vedeva l’ora di arruolarsi. Oltre a vedersi sequestrata la bicicletta, venne subito portato a Mantova per le visite mediche, senza nemmeno salutare la famiglia, fu arruolato nell’11 reggimento artiglieri Messina, lui che sapeva a malapena cosa c’era a 20 chilometri da casa sua. Si armò di buon senso e cercò di non fare sciocchezze, eppure venne imbarcato subito per Mogadiscio.
Mio nonno si confrontò con persone del colore della pelle e da usi e consuetudini che non  aveva mai visto, e che erano completamente differenti dai suoi.
Non era sgradevole conoscere un modo nuovo, fino a che non c’era da battagliare, ma più si avvicinava al fronte, e maggiori erano i segnali della guerra vera: mezzi distrutti e abbandonati lungo le strade, sandali di cuoio e stivali in mezzo ai cespugli, il resto se lo portava via la notte.
Arar e Jhiga si avvicinavamo, lì c’era il fronte.
Il primo giorno al campo, dopo tre settimane di viaggio, fu messo di guardia di notte: era normale sentire i versi dei leoni e delle iene che si affrettavano a ripulire i terreni di battaglia.
Le guerre sono tutte dolorose e piene di sofferenze, ognuna ha le sue. Ciò in cui si differenziano, probabilmente, è l’umanità che si riesce ad avere fra un cannoneggiamento e un assalto alla baionetta, le abbuffate di marmellata quando arrivavano i rifornimenti, le uscite dal campo per fraternizzare con la gente del luogo, i bagni alle sorgenti vicine.
Mio nonno fu fortunato e sopravvisse. Al ritorno a casa, in Italia, però la famiglia era spezzata e non era restato nessuno al paese. La guerra se l’era portato via. Che fare, allora?            Prendere nuovamente la bicicletta e andarsene, sta volta per sempre.
Castagnaro Bolzano 280 Km, pedalando senza guardarsi indietro e senza rimpianti.
Il lavoro da reduce di guerra lo aspettava in una fabbrica, e una nuova vita, di cui faccio parte anch’io, che adesso tengo sempre una sua foto, con me, per ricordarmi che, per quanto difficile possa sembrare una situazione, c’è sempre un modo per uscirne.
Ed è per questo che ogni giorno che ci sia sole, neve, vento, freddo, caldo o pioggia vado in bici, per non dimenticarlo mai.

Ilario Péraro

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