5 – FIGURE DELL’IMMAGINARIO LESSINICO: “Le storie: l’anguana Seralda”
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"Panoramica di Campofontana, terra de le Bele Butèle"
FIGURE DELL’IMMAGINARIO LESSINICO
- Le storie: l’anguana Seralda
Area Lessinia Orientale, ai confini con la provincia di Vicenza: Campofontana di Selva di Progno (VR), a 1224 metri sul livello del mare. Da ‘na olta molte cose sono cambiate, ma alcune sono rimaste identiche. Per esempio, il profilo della montagna Alba che sale su, fino alle Lobbie, assieme alla carrareccia che parte dal cimitero e porta il segnavia CAI 205, o il Sengio del Kamilgiar o il coelo de le Bele Butèle. Sono ancora tutti lì, identici a se stessi, come le mandrie (poche) all’alpeggio.
Ma se i sengi, i profili e i coeli sono ancora lì, altrettanto non può dirsi dei miti che si narravano fino agli anni Quaranta/Cinquanta. Kamilgiar era un mago buono e nel coelo (caverna) abitavano le Bele Butèle, una popolazione di anguane tutta speciale per la benevolenza che dimostravano con le massaie di Campo.
I rapporti tra i montanari e le Bele Butèle filavano lisci, bastava seguire poche regole e avere ognuno il rispetto per l’universo dell’altro. Si raccontava, in quei tempi lontani, che la piena collaborazione tra montanare e anguane era perfino invidiabile, mai uno screzio, mai una ripicca. Le anguane, anzi, si facevano in quattro per alleviare le fatiche di quella gente. Tanto che un giorno, in prossimità dell’attuale cimitero, sgorgò una sorgente copiosa: una vera manna per quelle comunità che si dovevano confrontare ogni santo giorno con l’approvvigionamento dell’acqua. E c’erano buoni motivi, a quel tempo, per credere che quella sorgente sia stata fatta scaturire proprio dalle Bele Butèle, ché le anguane proprio al controllo delle acque erano, come dire, “istituzionalmente” preposte.
Lì, al pozzo, le donne di Campo potevano portare, alla sera, la lana di pecora e al mattino successivo la trovavano ben lavata e pronta per la cardatura. C’era solo un piccolo particolare da rispettare, una semplice regola da applicare sempre: le anguane lavavano solo lana di colore bianco. E si indispettivano se qualcuno si permetteva di proporre loro il lavaggio di lane nere.
Il destino ha però voluto che una sera una povera donna di Campo portasse alla sorgente della lana nera, snobbando ogni insegnamento della tradizione. Infastidite da tanta arroganza, quella notte le anguane ridussero quella lana nera in una peluria senza alcun valore. Ben si capisce, però, quali possano essere stati i sentimenti della montanara al mattino successivo: la sua delusione si trasformò ben presto in desiderio di vendicarsi per il torto subito, ma su questa strada matura la tragedia.
Una notte, l’anguana Seralda si recò alla sorgente per adempiere all’impegno preso da tempi immemorabili portando con sé la sua bambina e deponendola sulla soffice lana. Seralda si allontanò poi per raggiungere il filo teso verso la Purga di Durlo lasciando la bambina accanto al pozzo. Intanto la montanara si era appostata per consumare la sua vendetta. Appena ebbe campo libero, si gettò sulla lana la imbrattò e la gettò nel pozzo, ma, senza avvedersene, vi gettò anche la figlioletta di Seralda. Al ritorno, accortasi della tragedia, Seralda prima si disperò e poi trasformò la montanara e suo marito nei due roccioni che ancora si vedono lungo il crinale che porta al Telegrafo.
Questa è la leggenda, drammatica, dell’anguana Seralda che nelle serate di Campofontana veniva raccontata e poi raccontata ancora.
Nella prossima puntata vedremo l’umanissima e magistrale interpretazione che ad essa ha dato il maestro Piero Piazzola che a Campofontana è nato ed ha a lungo vissuto.
Seguiteci!
Aldo Ridolfi – (5 continua)