Sartorari Matilde
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Pittrice, Matilde Sartorari nacque a Zevio, il 10 giugno 1902, da Agostino, agiato proprietario terriero e da Angiolina, una madre dotata di grandi qualità intellettuali. Nella piana veronese, la piccola crebbe assimilando stimoli e suggestioni di un mondo rurale che rappresenterà sempre la sua principale fonte d’ispirazione. Compì gli studi classici presso l’allora Reale Collegio degli Angeli che la educherà al gusto della bellezza delle cose intellettuali e da dove uscirà con un diploma accompagnato da un elogio su cui sarà scritto d’essersi distinta per “intelligenza geniale e per gentile bontà”.
Nel 1916, per l’acuirsi del conflitto mondiale e per la paura di venire occupata, la famiglia si trasferì a Firenze; qui, ella iniziò a frequentare l’Accademia di Belle Arti, ma ne rimase delusa: la madre intuì il valore della figlia e la mandò a lezioni private da due artisti della tradizione macchiaiola toscana ed esponenti di primo piano dell’arte pittorica non solo locale: Francesco Gioli e Cesare Ciani.
La giovane Matilde esplose: nel 1919, a soli diciassette anni, fece la sua prima mostra nel prestigioso Lyceum di Firenze dove riscosse la lusinghiera ammirazione di qualificati critici dell’epoca quali Roberto Papini e Mario Tinti. Nel 1923, quest’ultimo la portò alla seconda mostra personale presso il Ridotto del Teatro Nazionale di Roma dove i critici precedenti e Giuseppe De Logu, allora considerato tra i più validi di questi, non l’abbandonarono più.
Il matrimonio con l’israelita austriaco Karl Jokl, avvenuto nel 1924, comportò un vistoso cambiamento nella vita di Matilde Sartorari. Ella l’aveva incontrato a San Ciriaco di Negrar dove il padre aveva una tenuta e dove la famiglia era andata a vivere. Il marito, ricco commerciante di calzature, la portò con sé – e con grande interesse da parte di lei – attraverso l’Europa: i continui viaggi influirono in maniera straordinaria sul suo approfondimento culturale ed artistico oltreché aprirle orizzonti dapprima sconosciuti nella sua attività. La pittrice, che aveva assai bene assimilato la scuola toscana (aveva conosciuto Telemaco Signorini, Cristiano Banti, Odoardo Borrani ed altri) allargò la sua concezione delle ricerche tonali e luministiche aggiornandole con le novità degli artisti inglesi e soprattutto francesi. La sua presenza all’esposizione nazionale romana del 1920 l’aveva già fatta conoscere a Llewelyn Lloyd, una delle menti artistiche “divisioniste” più note nella Toscana dell’epoca e nella Londra contemporanea. E qui, nel 1937, tenne una fortunata rassegna presso la Goupil Gallery: la mostra venne recensita ed apprezzata dai più importanti giornali inglesi tra i quali il “Times” che la definì “geniale”; il “Daily Mail” commentò l’equilibrio cromatico e compositivo con i quali l’artista aveva fatto conoscere i propri dipinti.
Parigi, dove conobbe i grandi dell’epoca e dei quali assorbì molte forme, e la Francia, con gli impressionisti, ebbero sull’artista veronese un’influenza irresistibile. Tarbes, Gandes, Calais, Grenoble, ma soprattutto la Costa Azzurra e poi, Lione, Bordeaux, Mentone agirono sulle sue opere lasciando, in Matilde Sartorari, segni incancellabili.
Venne la guerra; il marito era ammalato e perseguitato dai nazisti a causa della sua origine ebraica; i tristi eventi la portarono, con lui, in segregazione in Dordogna, regione storica nel sud-ovest della Francia: furono due anni di dolore soprattutto allorquando Karl Jokl venne a mancare.
I tetti di Parigi, dipinti a pennellate esili come fossero tratti a matita, i paesaggi francesi, nei quali albergò costantemente la visione rurale della sua giovinezza veronese, il famosissimo Canale di Francia, forse l’opera sua più conosciuta all’estero, fecero parte di quel linguaggio, ricco di disappunti visivi, che rivelarono straordinarie assonanze con le opere di Guido Trentini, di Angelo Zamboni, di Agostino Pegrassi e dei molti altri che contraddistinsero la pittura veronese dell’epoca. Le vedute dei luoghi più familiari dell’artista (Ragazze al lavoro, Cesto di frutta, Mercato a Périgueux, Pomeriggio sulle montagne, Piazza S. Pietro a Roma, le nature morte) spesso dipinti in Francia si raccordavano, in quel periodo, ai tramonti sul Lago di Garda, ai dintorni montuosi di Verona. Nelle vedute europee (Londra, Castres, Bordeaux, Calais, Limoges e le serene aperture della Costa Azzurra) ella aveva dipinto – con mano leggera e senza irruenze – la borghesia del luogo e le dolcezze ambientali della Dordogna del dolore.
Quando ritornò a Verona la sua pittura riaprì gli orditi di un tempo: colori brillanti, senza ambizioni retoriche e la materia ricominciò ad addensarsi in pennellate sinuose, senza esasperazioni di segni. Ogni opera della Sartorari, comprese le nature morte, uscivano senza titolo forse perché l’artista pensava che il concetto logico non suscitasse alcun interesse in un fare pittorico risolto nella pura esecuzione.
La nuova presa di domicilio nella città sull’Adige si suddivise con la presenza a San Ciriaco di Negrar. Verona e la Valpolicella, con i loro angoli, con le visuali che l’artista coglieva, diventarono la libertà spigliata della sua arte. Le giornate piovose di Castres, di Bergerac e le rive del fiume Dordogna, in Francia, furono soppiantate dalle visioni delle montagne veronesi ch’ella godeva dalla sua residenza di Borgo Trento; oppure le splendide immagini del Lago di Garda, le fascinose colline della Valpolicella s’apparentavano con le sue nature morte, con i ritratti che l’artista aveva ripreso a fare. Lungo l’Adige, del 1950, uscì, dai suoi pennelli, con colore disteso e fermo.
Per Matilde Sartorari furono anni importanti; la Scuola di Parigi (quella di Maurice Utrillo, di Auguste Renoir e di Marc Chagall) aveva lasciato segni inconfondibili che la pittrice veronese aveva messo insieme con le influenze esercitate dalle novità artistiche italiane. Si legò in amicizia con Carlo Levi, frequentava i veronesi Orazio Pigato, Carlo Francesco Piccoli, Guido Farina; dalla solitudine estiva di San Ciriaco usciva per le mostre: nel 1950 a Genova, a Torino, a Milano: e il nome di quell’attenta e sensibile osservatrice del “vero” ebbe una risonanza nazionale. Lo dimostrarono Raffaele De Grada, Orio Vergani, Mario Radice, Ugo Nebbia e altre personalità della cultura italiana contemporanea che non mancarono di apprezzare la squisita qualità di una pittura che, pure nell’essenzialità della resa formale, sapeva rendere di ogni singola immagine la più riposta e intima poesia.
Fu solo nel 1953 la sua prima personale a Verona a cui altre ne seguirono sino a quella prestigiosa, riassuntiva della sua lunga ricerca, del 1985 presso la “Galleria dello Scudo” con il catalogo straordinariamente bello di Gian Luigi Verzellesi. Fu chiamata a Busseto, per ricordare nella mostra, Giuseppe Verdi; andò a Bolzano, a Roma, all’estero; anche la sua Zevio, nel 1956, ne ammirò le opere.
Il 10 settembre 1988 s’inaugurò, nel castello di Malcesine, un’altra sua mostra personale. E per l’anziana pittrice, che accolse l’applauso con la stessa stupita meraviglia e la schiva signorilità di sempre, fu l’ultima fatica. Ritornò a Verona e quattro giorni dopo (era il 14 settembre 1988) l’artista si spense. Sirmione, Torri del Benàco, i paesi del Garda, la Valpolicella poterono apprezzare, dopo la scomparsa, alcune sue mostre. Nel 1998 la Società Belle Arti di Verona le dedicò una splendida personale.
Zevio, il paese natale, le ha intitolato una via; un atelier delle sue opere è aperto a Verona. Suoi dipinti sono entrati nelle gallerie.
Bibliografia: Giuseppe Brugnoli-Gilberto Altichieri, Matilde Sartorari, Verona, Grafiche Stimmatini, 1974; Gilberto Altichieri, Pittori veronesi del ‘900, Verona, Vita Veronese, 1985, ad vocem; Matilde Sartorari, Appunti di viaggio nell’Europa degli anni Trenta, a cura di Maddalena Brognara, Annamaria Conforti Calcagni, Chiara Turco, Verona, Arte Studio, 1991; Laura Lorenzoni, Matilde Sartorari, Verona, Banco popolare di Verona-Banco di S. Geminiano e Prospero, 1997; Società Belle Arti Verona, Matilde Sartorari, Verona, Grafiche Aurora, 1998; Diego Arich-Anna Chiara Tommasi, Ritratti a Verona tra le due guerre 1919-1945, in Il ritratto nel Veneto 1866-1945, a cura di Sergio Marinelli, Verona, Banco popolare di Verona e Novara, 2005, pp. 261-285; Annamaria Conforti Calcagni, Sartorari Jokl Matilde, in Dizionario Biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona, 2006, pp. 735-736; Francesco Butturini, Matilde Sartorari, la signora del colore, “L’Arena”, 3 marzo 2016, p. 47.
Giancarlo Volpato