6 DAL GUARDARE ALL’OSSERVARE, NELLO SPAZIO E NEL TEMPO: “Muri geo-antropici: i millenni & i milioni di anni dell’identità paesaggistica locale”

…a cura di Giorgio Chelidonio

Per le tue domande scrivi a: gkelidonio@gmail.com

(clicca le foto)

fig. 3 – Via-postumia – porta borsari – 1989-1990
fig. 1 -muro lungo Vic. Moise dettagli

 

 

fig. 2 – basalt pebble – muro Campostrini

 

 

Muri geo-antropici: i millenni & i milioni di anni dell’identità paesaggistica locale.

In città i muri “non intonacati” non sono molti e quei pochi sono spesso guardati come elemento di degrado, specie se “vecchi” o “antichi”, una differenza scarsamente presente dalle abitudini osservative della maggior parte dei cittadini. Peraltro, i muri degli edifici abitativi (case o palazzi che siano) e ancor più quelli delle chiese sono in prevalenza coperti da intonaco, forse con eccezione di qualche edificio medievale (tipici del XIII secolo ?)costruito in mattoni “faccia a vista. Dunque, in area urbana le tracce edilizie interpretabili in chiave “geo-antropica” sono ormai quasi una rarità. In Veronetta (VR) ad esempio, un lungo muro di ciottoli e pietre calcaree (allineato in Via case Rotte), storicamente attribuito a parte delle mura cittadine che, in età comunale, cingevano il colle di San Pietro, è stato, da qualche anno, malamente rinzaffato di malte qualsiasi, come se si dovesse coprire una “vergogna” del paesaggio urbano.
Anche in Vicolo Moise, dove abito, ci sono due lunghi muri non intonacati:
a) uno, attribuibile ad età tardo medievale, che cinge il retro di un antico “cortile di palazzo” (Fig.1). A dispetto della sua antichità, è stato anche “tagliato” per ricavare l’entrata di un garage sotterraneo o “sollevatore” (quando l’accesso all’edificio e al suo spazio interno era da secoli lungo la via principale, quella che ricalca il tracciato della Via Postumia in riva atesina sinistra).
b) l’altro, altissimo, fa da limite sud-est del monastero di Santa Maria in Organo. Si tratta di un muro (Fig.2), eretto nella seconda metà del XV secolo, quando i monaci benedettini permutarono, con il Comune di Verona, la chiusura di una viuzza che costeggiava il campanile della loro chiesa in cambio dell’apertura di una nuova strada (oggi detta Via Porta Organa) (Brugnoli, 1999) parallela alle vecchie mura comunali ancora oggi visibili lì di fronte erette non con ciottoli ma con rustici conci di “tufo” estratti dalla vicina collina).
Ben diverse , però, sono le condizioni di manutenzione: mentre il secondo deve essere stato sistemato, in anni lontanissimi, il primo si mostra eroso, sbrecciato e con lembi residuali di intonacatura storica, una condizione insomma inadatta al decoro urbano.
Ciononostante, entrambi sono ottime “mappe geo-antropiche”, permettono di visualizzare e leggere non solo la loro storia di manufatti ma anche, con i ciottoli e le pietre scelti per erigerli, una specie di mappa geologica del territorio. Infatti, i ciottoli atesini sono stati ben scelti per dimensioni e per durezza, mentre il pietrame è costituito da conci (tagliati o sbozzati) di calcare più o meno erodibile estratto dalle vicine colline, misto a più rari blocchi di reimpiego storico evidenti per colore e compattezza (es. Rosso Ammonitico veronese).
Siccome le ghiaie atesine sono costituite da rocce sufficientemente dure da aver resistito a oltre 200 chilometri di trasporto fluvio-glaciale, quei ciottoli “raccontano” la storia del loro modellamento sia quella delle diverse rocce da cui derivano. In sintesi estrema, la petrografia di quei ciottoli permette di distinguerli in:
a) rocce metamorfiche (es. porfidi, graniti, quarziti) che rappresentano un arco di tempo geo-evolutivo da 300 a 213 milioni di anni fa (di seguito Ma), arrivando a comprendere l’età della cosiddetta Pangea, il mega-continente che allora riuniva tutte le zolle della crosta terrestre;
b) rocce sedimentarie (es. calcari, selci quest’ultime rare nel bacino atesino medio-alto) risalenti ad ambienti marittimi d’età compresa fra i 213 e 65 Ma, una sequenza che va dalla deposizione e litificazione delle dolomie (quando Pangea tornò a dividersi in zolle continentali), alla formazione dei Calcari Grigi (180 Ma, sulle cui spiagge si sono impresse le orme dei dinosauri, come quelle dei “Lavini di Marco”, a Rovereto). La serie comprende anche i duri calcari del Rosso Ammonitico (depostosi in fondali marini medio-profondi, fra 150 e 135 Ma), coevi dell’apertura dell’oceano Atlantico, quando la zolla africana prese a separarsi da quella sudamericana. Le rocce sedimentarie successive, cretacee (135-56 Ma) ed eoceniche (da 56 a 34 Ma) non erano sufficientemente dure e compatte da resistere al lungo trasporto fluvio-glaciale. Fanno, infine, eccezione i basalti vulcanici (40-35 Ma) che talvolta si possono osservare anche in muri urbani, in forma di ciottoli neri ben levigati. Quest’ultimo tipo di rocce è stato anche usato dai Romani per lastricare le vie principali, come la Postumia, la cui pavimentazione tornò alla luce, una ventina di anni fa, lungo tutto Corso Cavour (Fig.3) ma anche, recentemente, all’incrocio fra Via Santa Maria in Organo e Via Ponte Pignolo.

Perché queste mappe geo-antropiche, ben evidenti in alcune opere murarie cittadine più o meno antiche, sono “viste ma non osservate”? La domanda può risultare retorica perché la geologia, ma anche la stessa geografia, non è fra le discipline più considerate dai programmi scolastici e dalla loro abituale applicazione: ho avuto molte volte occasione di accorgermene nelle esperienze didattiche che ho condotto nelle scuole veronesi, in area cittadina o extraurbana.
Anzi, a dirla tutta, anche in Scuole Primarie situate in provincia (dove i muri di recinzione non intonacati sono ben più frequenti) ho trovato la stessa scarsa conoscenza su queste evidenti e diffuse “mappe geo-antropiche”.
Concludo citando pubblicazioni didattiche (tuttora presenti “in catalogo”) a cui ho partecipato, nella speranza che possano servire a far visualizzare le mappe geo-antropiche (2 e 3) anche ai veronesi.

Bibliografia

Bertinato L., Braggion T.V., 2005: La matita e la bussola: esploriamo il territorio. Schede di osservazione ambientale per la scuola primaria, Carocci Faber, Roma. (**)

Braggion T.V., Chelidonio G., 2005: Esplorare per conoscere, Schede di osservazione e analisi ambientale per la scuola secondaria di I e II grado, Carocci Faber, Roma. (*)

Braggion T.V., Chelidonio G., Poce U., 2005: L’ambiente e i segni della memoria. Contenuti, metodi e strumenti, Carocci Faber, Roma. Carocci Faber, Roma. (**)
http://www.carocci.it/index.php?option=com_carocci&task=schedalibro&Itemid=72&isbn=978887466213

Brugnoli P.P., 1999: Le strade di Verona, Newton & Compton Editori, Roma (pag. 468).

Zorzin R., 2016: Rocce e fossili del monte Baldo e dei monti Lessini veronesi, Cierre Edizioni, caselle di Sommacampagna(VR)

Note:  (*) “Il muro” Scheda didattica n.18 , pp. 77-78.  (**) “Il muro” Scheda didattica n.18 , pp. 85-87.

Links consultabili (accesso 29.6.2020)

https://it.wikipedia.org/wiki/Tetide#/media/File:Laurasia-Gondwana-it.svg

https://it.wikipedia.org/wiki/Apertura_dell%27Oceano_Atlantico_settentrionale#:~:text=L’Oceano%20Atlantico%20meridionale%20si,Laurentia%20si%20separ%C3%B2%20dall’Eurasia.

http://www.digilands.it/natura-illustrata/geologia/alpi/Orogenesi-alpina.html#chiusura

https://it.wikipedia.org/wiki/Eocene

https://www.veramente.org/it/notizie/2012-muri-didattici.html

https://ingegneri.vr.it/wp-content/uploads/2019/10/Notiziario-Ingegneri-2-2016.pdf

Verona 14.09.2020

Giorgio Chelidonio

***

Fig. 1: muro medievale costruito con ciottoli metamorfici atesini e “tufelli”, blocchi segati di calcari della vicina collina, integrati con mattoni (foto G.Chelidonio). Mentre i calcari teneri sono soggetti a fenomeni erosivi relativamente rapidi, i ciottoli sono molto più resistenti, al punto che l’esfoliazione di un ciottolo (es. quelli di porfido) suggerisce una scala dell’esposizione agli agenti atomosferici misurabile in diversi secoli

Fig. 2: basalt pebble – muro Campostrini

Fig. 3: la pavimentazione romana della Via Postumia fatta riemergere da scavi (1989-1990) lungo Corso Cavour. Le pietre nere sono di basalto, mentre quelle chiare sono probabilmente di spesso lastame (Rosso Verona, decolorato).

↓