2021 ANNO DANTESCO – “Il sommo poeta Durante (Dante) Alighieri” – contributi degli Editori de “ilcondominionews.it”
…a cura di Giancarlo Volpato
2021 ANNO DANTESCO – Ricorrenza a 700 anni dalla morte
I luoghi degli Alighieri a Verona e la loro memoria
1. Palazzo Bevilacqua, Corso Sant’Anastasia 38
Pietro di Dante fu cittadino veronese per propria elezione. Il figlio del poeta fu attivo, nella città, almeno a partire dal 1332 (ma certamente era presente assai prima), inizialmente nella veste di vicario del podestà e poi di giudice del Comune. Soggiornò in varie zone del centro cittadino prima di approdare a quella che, universalmente, è conosciuta come la sua casa di abitazione. Questa sua presenza, certamente postuma a quella del padre, pone certamente un quesito: dove trovò posto il sommo poeta? Negli anni nei quali fu a Verona, la sua permanenza non aveva permesso un luogo personale dove passare i giorni? Con lui, certamente, era presente Pietro (essendo il primo maschio della prole e, quindi, soggetto all’esilio come il padre) e forse vi era pure Jacopo. La domanda non ha risposta poiché nessuna traccia rimane del pure non breve soggiorno del fiorentino che, proprio nella città sull’Adige, scrisse pagine memorabili della Comoedia e, forse, anche di altre opere.
La documentazione certa dell’abitazione di Pietro Alighieri data al 1362, in quella che oggi è in Corso Santa Anastasia 38, palazzo Bevilacqua. Qui, al domicilio in Clavica (S. Maria in Chiavica) non soggiornò molto: la morte lo colse a Treviso nell’aprile del 1364, dov’egli si era recato da alcuni mesi e dove venne sepolto.
Dante II, suo figlio, fu il determinato artefice del radicamento veronese della sua stirpe. Sua madre era Jacopa di Dolcetto de Salerni, scomparsa intorno al 1358: Dante II, dopo tre sorelle, monache benedettine a S. Michele della Campagna, ed un fratello (quasi certamente non legittimo) rimase orfano della madre in età infantile e quando scomparve il padre fu allevato dai Salerni, ricca casata d’origine pistoiese che si stava affermato in terra veronese ed abitò, con loro, nella contrada Santa Cecilia dov’è attestato nel 1370. Egli era l’ultimogenito. Il fratello Bernardo risultava residente in altra contrada. Dante II era senz’altro in Clavica nel dicembre 1382: vi ritornò, verosimilmente, in seguito al matrimonio con Costanza Maccacari: la casa avita rimase la sua abitazione almeno sino ai primi anni del 1400 quando, per plausibili aumentate esigenze di spazi abitativi dopo il matrimonio del proprio figlio Leonardo con Jacopa Verità, Dante II acquistò un’area edificabile nei pressi della sua casa dove fece costruire un nuovo corpo. Dalla documentazione appare certo l’acquisto anche di edifici semi diroccati nei pressi dell’abitazione. La domus magna di Dante II risultava in costruzione nel 1417, anno del contenzioso con il proprio vicino per problemi inerenti all’utilizzo degli spazi confinanti. Negli atti si afferma che la casa di Dante e quella del vicino, Giacomo a Spata, appartenevano, in precedenza, a Dolcetto Salerni e Martino Somaglia; il primo aveva dettato delle regole anche successoribus suis i quali erano stati gli zii materni del figlio di Pietro e che avevano ceduto la casa al nipote con determinati accordi.
Da quanto si legge nella documentazione, l’edificio allora innalzato risulta molto simile a quello oggi esistente seppure con delle naturali forme modificate, posto a spina tra i due cortili del complesso, perpendicolare alla facciata ad occidente del portale. Nel 1427 Dante II Alighieri vendette una porzione della sua casa a Bonafine Bonafini con promessa di retrovendita: cioè un chiaro accordo di prestito mascherato molto netto poiché proprio questa casa risultava nominata nella cessione delle proprietà Alighieri de Clavica ai Pellegrini di Santa Cecilia.
Si ignora, invece, quando possa essere avvenuto il passaggio dai Pellegrini ai Bevilacqua anche se può supporsi un accordo di scambio tra le due casate cittadine legate da amicizia e parentela.
Il palazzo, che oggi si vede, presenta due diversi interventi ottocenteschi riconducibili all’intervento dell’architetto Francesco Ronzani intorno al 1847. Solo alla metà del Novecento, però, in occasione della sistemazione degli intonaci esterni, vennero messe in luce le tracce di aperture centinate riconducibili al Trecento, visibili attualmente sul muro esterno del corpo all’angolo tra Corso Sant’Anastasia e via San Pietro Martire: vennero eliminati la scala esterna e l’antico portico-loggia. Appare assai probabile che le due colonne con capitelli e basi tre-quattrocentesche a foglia d’acqua angolare, attualmente conservate nel cortile assieme ad una terza colonna con lo stemma Bevilacqua, appartenessero all’antica loggia, forse originale dell’abitazione di Pietro Alighieri o, almeno di Dante II. Nel cortile si conservano una vera da pozzo rinascimentale decorata con l’arma dei Bevilacqua, affiancata da due eleganti colonnine, alcune trabeazioni ornate a motivi vegetali ed una stele di marmo sulla quale è scolpito l’emblema degli Strozzi (grande famiglia fiorentina), riconducibile a Paola Strozzi, moglie di Giacomo Bevilacqua, da cui, alla metà del Quattrocento, prese avvio il ramo Bevilacqua di Santa Maria in Chiavica.
2. Palazzo Serego Alighieri, Via Leoncino 13
Il palazzo, oggi proprietà Zenatelli, occupa solo una parte dell’ampia porzione di suolo che era appartenuta, per secoli, ai Serego Alighieri ed era inserito, fino all’inizio dell’Ottocento, negli spazi formati dalle vie Leoncino, Malenza, stradone San Fermo confinando con edifici privati. Attualmente il tutto è frazionato tra varie proprietà.
Il lotto era stato ereditato, intorno al 1560-1562, dall’ultimo discendente maschio veronese degli Alighieri: il canonico Francesco che, essendo privo di figli, lasciò questo bene (come tutti gli altri, in verità) a Pieralvise Serego, figlio di sua sorella Ginevra Alighieri, moglie di Marco Antonio Serego, alla condizione che il giovane unisse i due cognomi: cosa che avvenne; il sacerdote morì nel 1562 e, da quel giorno, le cospicue proprietà cessarono ed entrarono in quelle della famiglia veronese.
In questo palazzo, allora contrada suburbana di San Fermo, gli Alighieri erano arrivati tra 1447 e 1456 lasciando la casa in Clavica (ora Bevilacqua) per soddisfare esigenze familiari ma, anche, per soddisfare il prestigio sociale ormai conseguito nell’ambito cittadino. In questo luogo, allora collocato tra i resti delle mura romane e la chiesa di San Fermo (luogo eccezionalmente rilevante all’epoca per l’importante monastero francescano e l’establishment signorile), arrivò Pietro III Alighieri: accanto abitavano famiglie patrizie celebri quali i Della Torre, i Turchi, i Malaspina. Alla fine del Settecento e in epoche successive, il palazzo subì mutamenti e restauri con soluzioni che, a volte, andarono a cozzare contro l’originale struttura; insegne araldiche, elementi scultorei, bassorilievi legati alla famiglia popolarono la struttura ed, oggi, i cortili, gli angoli e la stessa sistemazione muraria non sempre corrispondono all’originale; persino gli stilemi barocchi e le strutture neoclassiche, pure presenti, risentono delle risistemazioni successive. Da ricordare la statua di Dante, opera di Francesco Zoppi, artista veronese della seconda metà del Settecento e quelle di due personaggi Serego. Sono presenti, pure, due sculture in terracotta patinata a bronzo situate nella loggia.
3. Villa Serego Alighieri, Gargagnago di Valpolicella.
In data 5 maggio 1395, Dante II, figlio di Pietro di Dante Alighieri, acquistò un terreno con casa in ora Fossati. Quasi certamente non fu, questo, né il primo né l’ultimo delle acquisizioni fondiarie degli Alighieri i quali, oltre alla Valpolicella, indirizzarono le loro attenzioni in aree suburbane e della bassa pianura veronese. Il patriziato veneto aveva certamente influenzato i vecchi fiorentini che, nel territorio, cominciavano a sentirsi parte integrante e non secondaria. Tra le antiche proprietà extra-urbane, quella di Gargagnago è, ancor oggi, nella piena disponibilità dei discendenti del poeta.
Assai probabilmente l’edificio d’origine trecentesca, venne aggiornato nel secolo successivo dove apparivano il Palazzo della corte e la casa dei lavorenti, oggi non più esistente. Le innovazioni architettoniche avvennero negli anni successivi al 1574 poiché furono registrati da uno dei più grandi cartografi del tempo, quel Cristoforo Sorte che firmò la mappa nel 1591: nel suo disegno appaiono chiaramente determinati gli edifici, i blocchi nei quali erano costruiti, il brolo, i cortili, le strutture di servizio e quelle padronali, dotate di giardini. La ristrutturazione certamente avvenne dopo la morte di Francesco Alighieri nel 1562, il canonico che lasciò ogni proprietà ai Serego con la clausola dell’annessione dei due cognomi. Pieralvise, il fortunato erede, scomparve nel 1577 e certamente, subito dopo, iniziarono ulteriori lavori da parte di Pandolfo e Brunoro Serego Alighieri che potenziarono, anche, la ricettività e l’importanza agraria. Nel 1637 fu costruito l’odierno “pubblico oratorio”, adiacente alla strada ad opera dell’architetto Ludovico Perini; interessanti gli ornati a stucco, risalenti al Settecento, la rinascimentale Madonna col Bambino di Liberale da Verona. Il palazzo, durante i secoli, subì molti interventi con l’intento di trasformare – anche a seconda delle esigenze – l’edificio in residenza padronale; avvennero, quindi, aperture diverse, affreschi, straordinarie bellezze che arricchirono le sale, i cortili: da ricordare finte statue di divinità dell’Olimpo, i vialetti cinquecenteschi e postcinquecenteschi con bellissimi parterre. Risalgono agli inizi del XIX secolo l’aia molto ampia, i porticati: tutto per adornare e rendere bene individuabile un edificio di signori attenti alle esigenze dell’agricoltura che, attorno al palazzo, ha trovato particolare attenzione.
Una considerazione, datata oggi con una riflessione trecentesca: quando il nipote di Dante Alighieri acquistò quella proprietà (non certamente ignorando l’importanza del suo nome) avrà davvero pensato al nonno, in quell’epoca pressoché dimenticato quale sommo e divino poeta, e alla fama mondiale (non solo italica) che quest’ultimo ha cosparso nell’universo non solo letterario? Questo edificio – certamente il più noto, se non l’unico conosciuto tra quelli dove posarono i loro piedi gli Alighieri – rispetta, oggi, davvero, lo spirito con il quale l’esule fiorentino s’avvicinò a Verona nella speranza che i signori di allora portassero veramente benefici reali anche alle sue idee politiche oltreché mettessero la pace spirituale a chi, come l’autore della Comoedia, angosciava per essa?
La domanda, forse, non può trovare risposta: ma nella storia del mondo, il nome degli Alighieri fiorentini non è venuto meno e a Gargagnago, per chi sa guardare, quello spirito mai tramontato, probabilmente, si può ancora cogliere.
Giancarlo Volpato
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Foto tratte da IMMAGINI DANTESCHE Catalogo della Mostra “VERONA… LO PRIMO TUO RIFUGIO” a cura di Giuseppe Battaglia