Pesenti Antonio Mario

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Antonio Mario Pesenti

Economista, politico, professore universitario, Antonio Mario Pesenti nacque a Verona il 15 ottobre 1910; il padre, Romeo, era direttore dell’ufficio telegrafico di Treviso e la madre, Amalia Bisoffi, impiegata delle poste. Con i tre fratelli, dopo un breve soggiorno nella città dov’era nato, visse l’infanzia e l’adolescenza a Treviso in un ambiente d’impronta repubblicano-risorgimentale con affiliazioni massoniche dovute allo zio Adolfo, importante giornalista de “Il Gazzettino”.
Nel 1926, in seguito alla rappresaglia per l’attentato di Anteo Zamboni a Benito Mussolini, i Pesenti ritornarono a Verona. Studente di eccellente intelligenza, Antonio Mario (si fece sempre chiamare solo con il primo nome, diventato veneto con Toni), vinse un posto di allievo al Collegio Borromeo di Pavia, frequentò la facoltà di giurisprudenza laureandosi nel 1931. Già durante il lavoro della tesi, Pesenti dedicò la sua attenzione all’economia ed esattamente alla politica finanziaria; allora, nonostante la giovane età, egli era fieramente avverso alle tesi mussoliniane tanto da rischiare di essere internato. Solamente ventunenne e appena laureato, nell’ottobre 1931 ottenne una borsa di studio, quella dedicata a Bonaldo Stringher, messa a disposizione dalla Banca d’Italia e andò a Londra, poi a Vienna, quindi a Parigi: nelle capitali straniere incontrò i grandi economisti di allora che divennero suoi amici ed estimatori. Prima della partenza fu con Luigi Einaudi (al quale rimase sempre legato) che gli confermò la necessità di firmare il giuramento al fascismo per non lasciare i posti di docenti universitari solo agli affiliati di Mussolini. Il biennio all’estero portò il risultato di due opere: una sulla politica monetaria e finanziaria inglese, dove criticava l’operato di Winston Churchill quale ministro dell’economia e uno sulla politica finanziaria austriaca. Entrambi i lavori furono giudicati molto positivamente; nel 1934, a soli 24 anni, Antonio Pesenti ottenne la libera docenza in Scienza delle finanze e diritto finanziario divenendo, nel 1935, il più giovane professore universitario che l’Italia ricordi: fu chiamato all’ateneo di Sassari.
Come il padre e lo zio, egli fu risolutamente antifascista; si collegò, grazie a Lucio Luzzatto, con il Centro socialista diretto da Rodolfo Morandi; poi, lo criticò per l’inerzia che egli, grazie all’ambiente del fuoruscitismo che aveva conosciuto, percepiva nella direzione. Infatti, nel 1932, a Parigi, con lo pseudonimo di Italicus, aveva pubblicato un feroce pamphlet, Antifascismo nuovo, che lo collocò già tra i sospetti. Per non essere cacciato dall’insegnamento universitario, nel 1935, s’iscrisse al Partito nazionale fascista come, già nel 1933, aveva detto e fatto Einaudi. Ma per Pesenti fu solo una forma esteriore.
Intanto egli viveva sempre a Verona e già dal 1934 collaborava con il giornale “L’Arena”: lo fece per anni anche se, più tardi, preferì riviste scientifiche.
Nel 1935, a Bruxelles sostituì Morandi al Congresso del Partito socialista: attaccò la politica fascista, si scagliò contro la guerra in Etiopia e, per la prima volta, richiamò socialisti e comunisti ad un’azione comune contro il fascismo. Ritornato a Verona, venne arrestato l’8 novembre dello stesso anno e il 6 febbraio 1936 fu condannato, secondo l’art. 269 del codice Rocco (“attività antinazionale di cittadino all’estero”), a 24 anni di carcere: l’eco fu immediata e si formò, in Europa, un “Comitato Pesenti” guidato, nientemeno, che da Romain Rolland. Nel 1937 gli vennero condonati 4 anni. Ma, intanto, iniziò a scontare la pena nelle carceri di Fossano, Civitavecchia e San Gimignano. Vi trascorse quasi otto anni e nel 1937 decise di aderire al Partito comunista italiano del quale, in seguito, diventerà uno dei rappresentanti più conosciuti ed importanti. In carcere scrisse di politica economica e fu il primo che cercò di mettere insieme le teorie conosciute con le idee marxiste; quel luogo, oltre il dolore, gli segnò già la vita: colpito da angina pectoris, fu male curato e il male non lo perdonerà.
Caduto il regime, il 4 settembre 1943 Antonio Pesenti venne liberato dal carcere di San Gimignano: diventò una delle colonne portanti delle prime tappe della rinascita democratica. Arrivò fortunosamente a Bari, si adoperò per ricostituire il partito comunista. Il 22 aprile 1944 divenne sottosegretario alle Finanze nel governo Badoglio seguito alla “svolta di Salerno”; venne riconfermato nella carica il 18 giugno successivo nel gabinetto di Ivanoe Bonomi, sorto dopo la liberazione di Roma. Diventò Ministro delle Finanze nel successivo governo Bonomi (12 dicembre 1944-19 giugno 1945) e cercò d’introdurre alcuni principi democratici nel sistema fiscale: lo rese pubblico il 28 dicembre 1944. Il suo piano, tendente a creare dei corretti comitati tributari nell’accertamento dei redditi, non incontrò il favore dell’amministrazione finanziaria, non ottenne decreti attuativi; egli cercò di applicare un’imposta straordinaria sui profitti di regime, ma cadde anche questa sua presa di posizione. Forse troppo democraticamente all’avanguardia, il suo partito comunista non lo confermò nel nuovo governo di Ferruccio Parri del giugno 1945 sostituendolo con Mauro Scoccimarro. Pesenti denunciò non tanto l’affronto quanto, soprattutto, l’incomprensione che sembrava regnare sovrana sulla condotta politica. Egli intanto, veniva pubblicando opere che rimarranno nella storia della politica economica italiana. Divenne membro della Consulta nazionale, fu eletto deputato all’Assemblea costituente: qui occupò il posto di presidente della Commissione lavoro presso il Ministero stesso della Costituente, promosse la pubblicazione di volumi nei quali spiegava come avrebbe voluto il mutamento degli ambienti di lavoro: tema che gli fu sempre molto caro e per il quale Pesenti profuse impegno, costanza e pubblicazioni di libri atti a dimostrare la bontà delle sue iniziative. Creò il CER (Centro Economico per la Ricostruzione) che avrebbe dovuto articolarsi sul territorio e creare un vero dibattito per rimettere in piedi l’economia postbellica. Anche quest’opera nel 1946 ebbe a spegnersi.
Nel 1946 sorse l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) e Pesenti ne divenne vicepresidente. Nel 1948 nacque la prima legislatura repubblicana e lo studioso fu eletto deputato nel Partito Comunista Italiano; vi rimase sino al 1953, quando fu eletto senatore sino al 1968; nello stesso periodo fu membro del partito. L’intensa attività politica non lo allontanò dalla docenza universitaria che gli era stata tolta durante il periodo fascista: insegnò dapprima all’università di Roma; poi, dal 1948, quale professore di scienza delle finanze a Parma dove rimase sino al 1959; quindi, dal 1960 al 1971 a Pisa e, infine, alla facoltà di scienze statistiche di Roma.
L’attività di Antonio Pesenti si esplicò – e tutti lo conobbero anche per questo – quale organizzatore di cultura; nel 1946 fondò e diresse la rivista “Critica economica”, edita da Giulio Einaudi e che ebbe, tra i collaboratori, i più grandi economisti dell’epoca: da Paolo Sylos Labini a Giorgio Fuà, da Sergio Steve a Federico Caffè. Collaborò ai periodici che rimasero nella storia dell’economia italiana quali “Politica ed economia”, “Critica marxista”, “Rinascita” e molti altri; pubblicò opere importanti e una serie di manuali sia per gli studenti sia, soprattutto, per gli studiosi delle scienze economiche. Il suo Manuale di economia politica conobbe molte ristampe così come Scienza delle finanze e diritto finanziario. Fu, sempre, un fiero critico del capitalismo scrivendo anche contro gli economisti che l’avevano sostenuto, primo fra tutti John M. Keynes. Da uomo di straordinaria intelligenza, egli che aveva decantato l’economia marxista, guardando poi la realtà dei fatti, venne elaborando una politica economica sociale di grande livello che, più tardi, molti economisti e politici fecero propria.
Non abbandonò mai Verona, nonostante i molti impegni negli atenei e nel parlamento, cui devonsi aggiungere viaggi all’estero, convegni e commissioni economiche. Un anno prima della morte dette alle stampe un’autobiografia intitolata La cattedra e il bugliolo dove, a p. 93, scrisse tra l’altro: “Verona era per me la città dei momenti di riposo, delle passeggiate con la sola compagnia dei miei pensieri, il luogo dei brevi incontri. Abitavo in via XXVIII Ottobre (oggi via San Vitale, accanto alla sede universitaria veronese), una vecchia strada nella cosiddetta Veronetta, dove gli edifici conservavano una dignità non offuscata dal tempo, anche se i portali di marmo, ornati di fregi di antica e artistica fattura, nascondevano abitazioni non più all’altezza delle esigenze moderne”. In un’altra pagina descrisse le sue passeggiate silenziose guardando le bellezze della città.
Purtroppo quell’angina pectoris che l’aveva assalito durante la prigionia e che mai era stata curata adeguatamente, non l’abbandonò più e lo fece molto soffrire.
Antonio Mario Pesenti se ne andò, per sempre, a Roma il 14 febbraio 1973.
La vedova, signora Adriana, donò tutte le carte del marito alla biblioteca “U. Balestrazzi” della città di Parma comprese quelle durante l’epoca nella quale fu ministro: un archivio di grande rilevanza scientifica e storica, tutto descritto e inventariato.
Molte città italiane gli hanno dedicato una via, come pure alcuni comuni minori; anche Verona non l’ha dimenticato; il Liceo Linguistico e Tecnico di Càscina è a lui intitolato. Renato Guttuso ne ha fatto un ritratto. Dopo la sua scomparsa, per molto tempo, la figura di Antonio Pesenti trovò studiosi, critici, biografi: molti cercarono di collocarne la giusta personalità all’interno dell’epoca, degli studi dei suoi contemporanei e cercarono d’illustrarne la scientificità riconosciuta pressoché ovunque.

Bibliografia: Essendo rilevante, elencheremo solo alcune opere importanti. Antonio M. Pesenti, La cattedra e il bugliolo, Milano, La Pietra, 1972; Giannino Parravicini, Gli scritti e il pensiero di Antonio Pesenti, in “Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze”, 4, 1973, pp. 565-584; Giorgio Gattei, Pesenti, Antonio Mario, in Il movimento operaio italiano: dizionario biografico 1853-1943, v. 4, Milano, Mondadori, 1978, pp. 97-101; Atti del convegno: la figura e l’opera di Antonio Pesenti, Bologna, Pàtron, 1981; Riccardo Faucci, La formazione di Antonio Pesenti dai documenti del suo archivio (1931-1945), in Inventario dell’archivio di Antonio Mario Pesenti della biblioteca U. Balestrazzi di Parma, a cura di Marzio Dall’Acqua, Parma, Istituto Gramsci-Biblioteca Balestrazzi, 1984, pp. XIX-XXXIV; Giuseppe Gaburro, Pesenti, Antonio Mario, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, pp. 640-641; Riccardo Faucci, Pesenti, Antonio Mario, in Dizionario Biografico degli Italiani, 82, Roma, Ist. Enc. It., 2015, pp. 617-620.

Giancarlo Volpato

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Foto da: www.giuriss.uniss.it e Wikipedia

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