7. L’espansione del XIV° secolo
…a cura di Aldo Ridolfi
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I Cimbri della Lessinia
7. L’espansione del XIV° secolo
Come si vede, a fine secolo XIII°, la presenza dei XIII Comuni Veronesi cimbri è una realtà ancora molto lontana. Essi erano un mondo in divenire, tutto da costruire, tutto da organizzare. Per ora si contava soltanto un comune, quello, appunto, di Roveré (Roveredum). I restanti dodici appariranno con il tempo, saranno il frutto di un insediamento che si protrarrà per decenni e decenni, come è sempre accaduto nelle cose umane, come accade anche oggi.
L’espansione cimbra, subito dopo Roveré, puntò a est e fu la volta di Badia Calavena (il cui toponimo, allora, era Sprea con Progno), Abato come la chiamavano i coloni teutonici. Era accaduto, infatti, che gli abati benedettini della locale abbazia (fondata dal vescovo Walterio nel 1040, ricordate? Eventualmente rileggete la 3° puntata), a partire, per quello che è dato sapere, dall’abate Giovanni che resse l’abbazia dal 1291 al 1315, accolsero nelle loro terre disabitate, coloni teutonici.
E così avanti a far nascere, in tempi diversi e con alterne vicende, altri centri, soprattutto “a mattina”: Velo, Azzarino, Camposilvano, Selva di Progno, San Bortolo delle Montagne, San Mauro di Saline, Tavernole; ma anche a nord-ovest: Boscochiesanuova, Valdiporro, Erbezzo e Cerro.
Un elenco completo di tutti i XIII Comuni verrà fornito solo in epoca più tarda, in un documento addirittura del XVII secolo.
Dette così, le cose sembrano semplici e lineari. Invece sono un po’ più complesse. E, giusto per dare la sensazione che la complessità non appartiene solo ai nostri tempi, accennerò ad un paio di questioni.
Innanzitutto: come dobbiamo pensarli questi comuni cimbri nel secolo XIV? Come dei nuclei insediativi accentrati, con tanto di strutture religiose ed amministrative, attorno ai quali vi erano boschi, prati e qualche campo? No, dobbiamo pensare il comune cimbro come un insieme di nuclei sparsi (i masi e le contrade) attorno ai quali si stendeva la superficie da coltivare. Immaginarlo, il comune, simile ad oggi è un comprensibile condizionamento. Mi pare efficace, a questo proposito, l’espressione usata dal professor Gian Maria Varanini che definisce questi centri, questi “comuni”, «un fatto fiscale e non insediativo» (v. Settecento anni di storia cimbra veronese), come dire che il loro “profilo fiscale” era ben definito (manco a dirlo….!), l’insediamento, invece, insisteva su un’area ampia, masivamente suddivisa, per nulla necessitante di un centro. La casa si trovava dentro il maso, a diretto contatto con le strutture produttive.
E poi il brigantaggio rappresentato da un lato dalla presenza di bande di assassini e stupratori e dall’altro dall’assenza dello Stato che, non occupandosi della malavita locale, lasciava prevalere la legge del più forte.
L’economia di questo popolo si fondava essenzialmente sull’allevamento ovino; furono le pecore, animale rustico, capace di adattarsi ad ambienti difficili, poco rispettoso del territorio, a costituire il primo e principale sostentamento.
Ma ci fu anche un altro aspetto che orientò i coloni verso l’allevamento degli ovini, e cioè la presenza, nella città di Verona, di una “industria” della lana che faceva affidamento anche ai prodotti provenienti dalla Lessinia. La riprova dell’importanza di tutto questa attività per l’altopiano è la cosiddetta “Via della Lana” (ma non solo) che correva sulla dorsale della Valle d’Illasi e approdava a Campofontana.
Queste semplici osservazioni dimostrano anche che era in atto, già qualche decennio dopo l’atto voluto dal vescovo Bartolomeo, una interessante interazione tra città e montagna e che l’idea dell’isolamento è vera ma non univoca.
Non solo, ma i coloni dovevano vedersela con i greggi transumanti e con la pratica dell’alpeggio delle comunità di fondovalle perché la Lessinia non apparteneva certo tutta né alla Fattoria scaligera, né tantomeno ai Cimbri. E infatti «è immaginabile il complesso delle liti che via via si scatenarono e che finirono presto con il coinvolgere da vicino le comunità cimbre» (Giovanni Zalin).
Un bel mosaico, non c’è che dire!
Gregge in Val Fraselle
Aldo Ridolfi (Continua)