Fiorio Concetta
…a cura di Giancarlo Volpato
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Partigiana, donna della Resistenza, Concetta Fiorio nacque a Bovolone il 10 dicembre 1922. Figlia di un piccolo industriale, abitava in una villa e condusse un’infanzia felice fino a che al padre, per ragioni diverse, non venne confiscato tutto: così la famiglia si trasferì a Verona lasciando ogni cosa. Nell’unica intervista rilasciata, ella parlava dell’estrema generosità del genitore che elargiva, senza pretendere, a chi ne avesse bisogno; anche la madre conduceva una vita molto altruista poiché era spesso al servizio degli altri. Probabilmente tutto questo fu una scuola di sommo interesse per la giovane che prestò la sua esistenza in un modo così disinteressato da esserne colpita.
Era ancora studentessa nel collegio “Seghetti” per diventare maestra, quando incontrò Emilio Moretto detto Bernardinello: ufficiale degli alpini, partito per la Russia, combattente nella seconda guerra mondiale, fu uno dei pochi superstiti della terribile ritirata che passò alla storia come una delle più feroci per i morti italiani che trascinò con sé. Ferito, semicongelato, Moretto arrivò a Giulianova, in provincia di Teramo, assieme agli altri.
Concetta Fiorio lasciò la scuola che non aveva ancora portato a termine, andò in Abruzzo con il padre per trovare il fidanzato; lo sposò, proprio in quel luogo, nella cappella dell’ospedale: era il maggio del 1943. Nonostante egli fosse ancora convalescente, i due vennero nel nord e si stabilirono a Torri del Benaco: furono mesi molto pesanti a causa dei bombardamenti a cui fu sottoposta anche la zona lacustre.
Arrivò l’8 settembre 1943 e per Emilio Moretto, nonostante non fosse guarito, accadde ciò che avvenne per molti altri uomini: il desiderio di non soggiacere ai tedeschi e di non essere sottoposti alla Repubblica Sociale Italiana che aveva sede proprio poco lontano. Uomo molto attivo, egli divenne uno dei resistenti più capaci: teneva i contatti tra Verona e le zone del lago; perfettamente in linea e in contatto con Radio Londra, Moretto fu l’uomo che distribuiva gli ordini e le attenzioni a quanto stava accadendo; sempre informato su ciò che avveniva, grazie soprattutto ai contatti ch’egli teneva con l’estero, trovò nella giovane moglie una straordinaria collaboratrice. Nonostante fosse incinta, Concetta Fiorio andava a Verona, ritornava, si muoveva laddove era necessario. Fu ella stessa che curò con attenzione affinché la ricetrasmittente londinese non venisse bloccata. Teneva i rapporti con gli altri compagni che si muovevano assieme al marito: Lorenzo Fava e Danilo Preto, in particolare: spesso li nascose a Torri del Benaco, come in realtà faceva per altri.
Concetta Fiorio fu una staffetta, soprattutto tenendo uniti – nei limiti imposti dalla realtà – i resistenti del lago. Portava i messaggi, riferiva le azioni, raccoglieva quanto – ed accadeva spesso – veniva paracadutato dagli americani e dagli inglesi: bisognava portare ai partigiani.
Come noto, dopo l’8 settembre, per difendere quella repubblica che Mussolini aveva voluto e la cui sede era a Salò (ma, nella realtà, era Verona la centrale) il convento dei Carmelitani Scalzi era stato adibito a carcere. Il tribunale speciale, che vi aveva fatto rinchiudere coloro che avevano votato contro nel Gran Consiglio del Fascismo, lo fece utilizzare anche per gli antifascisti: tra loro trovò posto anche Giovanni Roveda, sindacalista torinese ed esponente di spicco del Partito comunista italiano, catturato a Roma, dalla banda Koch, nel dicembre del 1943. Il Gap di Verona (Gruppi di Azione Patriottica) organizzò un’azione per liberarlo: era il 7 luglio 1944; vi facevano parte Aldo Petacchi, Berto Zampieri, Vittorio Ugolini, Emilio Moretto, Lorenzo Fava e Danilo Preto: quest’ultimo venne ucciso, Fava e Moretto furono feriti. Il marito di Concetta Fiorio venne recuperato da un medico che lo curò presso di sé trattenendolo sino alla guarigione; avvenuta la quale, per non cadere nelle mani dei nazisti, Moretto si nascose a Brescia.
Tuttavia, anche perché uomo conosciuto dal nemico, egli venne ricercato: senza esito, in verità. Ed allora accadde ciò che forse neppure la giovane moglie avrebbe supposto. Si presentarono a Torri del Benaco alcuni uomini spacciandosi per partigiani con l’intenzione di portarla in Svizzera affinché non venisse perseguita. Felice di questo, andò con loro: ma la portarono a Verona giustificando il fatto di non fare sapere agli abitanti vicini l’accaduto. “E suo marito dov’è?”, fu la prima domanda: e la Fiorio comprese immediatamente chi fossero coloro che si erano presentati con l’inganno.
La portarono in carcere, alle Casermette di Montorio, allora costruzione assai antica e poco raccomandabile: era il primo giorno d’agosto del 1944. Le donne occupavano un’ala del caseggiato vicino al fossato. Le fecero credere che tutto sarebbe andato bene, ma per la giovane donna cominciarono giorni difficili. I nazifascisti, rovistando nella casa di Torri avevano rinvenuto alcune lettere di Emilio Moretto nelle quali egli raccomandava di non fare sapere dove si trovasse. Per tentare di farla parlare fecero arrivare al carcere i familiari: trattennero il padre e il giovanissimo fratello per indurla a rivelare dove il marito si fosse nascosto. Ma la Fiorio non tradì mai il giuramento che aveva fatto con se stessa: quello di stare dalla parte di coloro che combattevano contri i nazifascisti e, per l’occasione, giurò di non rivelare mai non solo la posizione del marito, ma anche quella degli altri partigiani.
Ed ogniqualvolta i carcerieri le chiedevano “Dove si trova suo marito? e la domanda non otteneva risposta, erano botte di ogni tipo: dai nerbi di bue usati sul corpo di una giovane donna incinta sino ai calci in qualsiasi parte cadessero, alle violenze senza remissione. Nell’intervista da lei rilasciata, Concetta Fiorio raccontò che cosa accadeva in quel reparto femminile: donne legate al palo, schiaffeggiate, offese. Molte di loro, purtroppo, vennero portate in Germania e alcune non tornarono più dai campi di concentramento: ella stessa, ribadì, aveva grande paura di essere scelta per quel viaggio spesso senza ritorno. Affinché parlasse e rivelasse il rifugio del marito o di qualche altro partigiano, un giorno la misero a confronto con Lorenzo Fava: questi – e accadde anche in altre occasioni – fece sempre finta di non conoscerla; anche questo contribuì a salvarla. Seppe, qualche giorno dopo, che era stato ucciso, al Forte San Procolo, proprio la mattina successiva nella quale ella l’aveva visto. Egli aveva portato con sé un diario dove aveva scritto e riportato quasi tutto: anche, malauguratamente, i luoghi dove si erano nascosti gli amici.
Era con loro don Giuseppe Chiot, il sacerdote che salvò tanti veronesi, che curò – con infinito amore – tutti coloro che a lui si rivolgevano e che si dedicava, quotidianamente, a passare delle ore all’interno del carcere (anche in quello degli Scalzi) per portare conforto ma, anche, per cercare la loro salvezza. E per Concetta Fiorio ciò accadde. Con la garanzia di don Chiot che fece presente ai carcerieri l’estrema vicinanza del parto per la giovane signora, ella fu resa libera, il 26 ottobre. Ritornò in Via San Pietro in Monastero, alla casa dei genitori dov’era nascosta la ricetrasmittente londinese, perché seppe che sarebbero arrivati i tedeschi; impavida, incurante perfino della propria salute, sfidò i nazifascisti andando a nascondere le armi del marito, degli amici partigiani e la radio stessa gettando tutto nell’Adige. Mise in sicurezza la cognata che stava per essere portata via.
Don Chiot aveva promesso che la giovane Fiorio avrebbe dato alla luce il figlio nell’ospedale di Tregnago: così avvenne e il bimbo nacque il 28 ottobre: giorno infelice, ella sottolineò, perché ricordava l’anniversario della marcia su Roma del 1922: ma era, altresì, il giorno in cui diventò mamma. Tutte le donne del paese erano venute a salutarla poiché la fama di Concetta Fiorio aveva toccato il cuore della gente; ma il bambino, pure bellissimo, nacque cerebroleso, in seguito ai maltrattamenti subiti in prigione.
Ritornò a casa dalla madre che, proprio quel giorno, si recò alle Casermette di Montorio a prendere il marito e il figlio lasciati liberi promettendo ai carcerieri un aiuto all’indomani della fine della guerra nel caso avessero avuto bisogno.
Terminò il conflitto e Emilio Moretto ritornò anch’egli: a Torri del Benaco.
Concetta Fiorio riprese a studiare sempre al collegio “Seghetti”; nel 1947 diventò maestra ed iniziò la professione che perseguì per sempre; il marito, buon imprenditore, partì per l’America e riapprodò in Italia alcuni anni dopo. Nell’intervista concessa, (ma si legge pure nel suo Diario) ella descrisse gli anni successivi alla fine della guerra come giorni di straordinaria felicità dove tutti gli amici partigiani diventarono artefici di una solidarietà raramente conosciuta: “lo facevamo tutti – ella disse – per un ideale e perché non si ripetessero più le cose orrende perpetrate dai nazifascisti. Se tornassi indietro, se mi trovassi in quella situazione, non farei niente di diverso da quello che ho fatto”: fu questa la conclusione dell’intervista. Nel 1974 venne decorata con la Croce al merito di guerra per attività partigiana con brevetto n. 43961 e del Distintivo della guerra di Liberazione con due stelle d’argento. Il suo Diario è conservato presso l’Istituto veronese per la Resistenza.
Concetta Fiorio scomparve a S. Bonifacio il 25 settembre 2002.
Bibliografia: sulle donne della Resistenza e sul supporto delle stesse in epoca della guerra, la bibliografia è assai scarsa, poiché molte si trovano solamente citate. Riportiamo quelle conosciute: Roberta Gaspari, Intervista a Concetta Fiorio, in Donne veronesi nella Resistenza (tesi di laurea, Univ. di Verona, a.a. 1995-1996, rel. Prof. Emilio Franzina); Valentina Catania, Le donne veronesi tra guerra e ricostruzione, in Eravamo fatte di stoffa buona: donne e Resistenza nel Veneto, a cura di Maria Teresa Sega, Portogruaro, Nuovadimensione, 2008, pp. 139-156; Valentina Catania, Il racconto delle donne veronesi, in Voci di partigiane venete, a cura di M. T. Sega, Sommacampagna, Cierre, 2016, pp. 305-345 (Concetta Fiorio è trattata alle pp. 311-317); Un carcere, un assalto: repressione fascista, gappismo e Resistenza a Verona, a cura di Andrea Martini e Federico Melotto, Roma, Viella, 2019.
Giancarlo Volpato
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Foto da: www.patriaindipendente.it