Puntata 01 – Dante (1265-1321)
…a cura di Laura Schram Pighi
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Puntata 1 – Dante (1265-1321)
Vi ho invitato a guardare la letteratura al di là, dal di dietro, da punti di vista insoliti… e allora cominciamo con Dante. “aiutoooo, diranno molti di voi, ma non si è già detto tutto su di lui?”
Certo, moltissimo, ma quasi sempre le stesse cose, magari bellissime, ma… Avete mai provato a chiedervi perché, nella maggior parte di noi, dopo la scuola, a Dante non si pensa più, e figurarsi leggerlo? Mentre fuori d’Italia si moltiplicano le traduzioni, i centri di studio, le interpretazioni artistiche, si scrivono romanzi storici su di lui, su Cangrande, il suo amico… perché?
Ero appena rientrata a Verona dall’Olanda una ventina di anni fa, e un mio vecchio studente olandese di passaggio in vacanza mi ha mandato una cartolina proprio da Verona: “sono passato dalla tua città per trovare Dante quello che tu ci avevi fatto conoscere, ma nessuno ne sa niente… tornerò”. Sono passati tanti anni da allora, ma temo che a scuola nei licei, si continui a cercare di leggere qualche canto spiegando le parole difficili… l’approccio ideale per “odiare” Dante, per sempre.
Un “foresto” non avvicina Dante dalla parte della lingua, troppo difficile per lui, roba da specialisti, ma comincia dalla sua vicenda umana e allora lo sente subito uno di noi e non può che amarlo.
Dante è l’uomo che non può raggiungere il suo amore, che si butta in politica per difendere la libertà della sua città, ma è eliminato dai soliti imbroglioni, Papa compreso, tradito dagli amici, mandato in esilio, senza un soldo e va girando in cerca di pace. E la trova, più o meno, solo a Verona protetto dall’amicizia di Cangrande.
Avete mai letto Dante in esilio di Cesare Marchi? Un modello di scrittura e di esattezza, nella sua apparente semplicità. Mi auguro che almeno per il centenario di Dante nel 2015 ci sia a Verona qualcuno che metta in rete questo libro oramai introvabile, perché solo se si immerge Dante nel contesto del suo tempo, se la sua vita e il suo messaggio diventa un capitolo degli “studi culturali” come dicono gli americani, allora si può affrontare la lettura del testo, anche in traduzione se necessario, per coglierne la poesia, che è l’unica cosa che conta.
Dante, a noi nativi italiani, ci è stato presentato dalla tradizione risorgimentale soprattutto come fondatore della nostra lingua nazionale: cosa verissima, ma la “Storia della Letteratura” di De Sanctis, sulla quale le scuole si sono conformate, è stata una operazione politica che andava benissimo in quelle circostanze storiche, ma solo per chi vive dentro nei confini italiani, e parla e scrive in italiano.
Ma ora quale italiano si parla? E quanti siamo oramai, ci siamo contati? Lo chiamate italiano quello dei nostri figli? Certo non è più quello delle generazioni dai cinquanta in su. Ma non è uno sbaglio che questo succeda, è la realtà linguistica di un mondo che è cambiato, che si è rapidamente globalizzato, nel quale l’Europa non è più il centro della civiltà e tanto meno l’Italia.
La letteratura italiana circola nel mondo principalmente tradotta in inglese o spagnolo, i confini tra le lingue sono diventati liquidi, e molte civiltà un tempo ai margini, sono sempre più al centro della rete delle comunicazioni: penso alla musica o all’arte figurativa, che hanno registrato per prime questa nuova realtà culturali, ma anche la letteratura. Solo che la scuola non se ne è ancora accorta e continua a diffondere modelli anacronistici.
Esiste oramai tutta una letteratura post moderna, magari una volta ve ne parlo, ma quello che occorre osservare è il ruolo minore della lingua italiana come lingua letteraria. I “nuovi scrittori” che parlano lingue lontanissime dall’italiano e scrivono in inglese, trovano i propri modelli non nella lingua di Dante e della sua Divina Commedia, ma nella tradizione letteraria italiana, l’unica che può fornire un modello espressivo valido sia per la prosa che per la poesia. Per questo gli stranieri dedicano tanta attenzione a Dante, perché ne hanno bisogno se vogliono parlare di argomenti morali, di vita e di morte, di peccati e virtù, di Dio e del Male.
Ecco come si può spiegare il fiorire negli ultimi trent’anni di traduzioni ed edizioni di Dante, un succedersi costante di congressi internazionali e di ricerche scientifiche, e interi programmi universitari dedicati alla egemonia letteraria italiana (che è altra cosa dalla lingua). L’autorità della illustre tradizione letteraria nel periodo che va dal tardo Medio Evo al Rinascimento, supera di gran lunga la marginalità della lingua nella quale si esprime.
E pensare che ci sono ancora dei veronesi che non sanno che a Verona Dante si è trovato a vivere in un clima culturale molto simile a quello odierno, in una società plurietnica e plurilinguistica. Provate a girare per le strade della Verona di oggi e domandatevi quante vite simili a quelle di Dante stanno dietro agli occhiali da sole di chi cammina per le nostre strade, o di chi si rinfresca nella fontana di Madonna Verona.
E poi rileggerete con occhi nuovi il vostro Dante di scuola, finito in fondo al cassetto, e lo amerete di nuovo e di più. E amerete di più anche Verona e magari anche Petrarca e Boccaccio che formano con lui i modelli culturali europei.
Laura Schram Pighi