Pubblicazione del libro – “RECENSIONE A GIOVANNI RAPELLI, BIBLIOGRAFIA COMPLETA”… di Laura Rapelli… segnalazione a cura di… Aldo Ridolfi… – 97
…a cura di Aldo Ridolfi
VERONA
RECENSIONE A GIOVANNI RAPELLI, BIBLIOGRAFIA COMPLETA
A distanza di quattro anni dalla scomparsa, esce ora per i tipi de La Grafica editrice questa Bibliografia completa di Giovanni Rapelli a cura di Laura Rapelli. Il volumetto contiene anche brevi ma significativi profili di Rapelli: della stessa Laura, di Marcello Bondardo, di Enzo Caffarelli, di Vito Massalongo e di Giancarlo Volpato, ognuno dei quali illumina una faccia della “complessa semplicità” umana e scientifica di Rapelli.
Forse si potrebbe sostenere, con un po’ di buona volontà, che non vi è, per un lettore, piacere più grande che la lettura di una bibliografia. Egli vi trova, indissolubilmente legati, due aspetti fondanti la civiltà occidentale e forse anche la stessa nostra struttura antropologica: da un lato il bisogno, incoercibile ed ineludibile, di ordine, di precisione, di sistematicità, dall’altro un amore profondo, spirituale e pragmatico insieme. Il primo aspetto è ben evidente nella stessa precisione grafica di una bibliografia, ubbidiente, come mai altro testo è capace, al rigore di una procedura codificata e, nella sua essenzialità, di particolare efficacia. Il secondo è ugualmente palese nello spirito che anima il ricercatore – in questo caso Gianni e Laura assieme – il quale, rovistando nelle carte, rileggendo i contributi, utilizzando il ricordare come strumento mai logoro, accarezzando pagine ingiallite, talvolta fragili, secche, “vecchie”, ostinatamente ricercando quel primo fantomatico contributo, “ricrea” atmosfere, stati d’animo, emozioni. Traccia un percorso. Compila la scheda di una vita.
E allora che cosa c’è di più bello, di più grande, di più amorevole che aver riportato alla luce quella lettera dell’ottobre del 1966 che Gianni aveva inviato a “Vita Veronese”, lettera che, come dire, “apriva le danze” alla ricerca di che cosa c’è negli abissi del tempo e della parola.
E dopo quell’ottobre, per altre 461 voci, ognuno di noi, che abbia o no conosciuto Gianni, è come se gli camminasse accanto. Veniamo così a conoscere una varietà straordinaria di aspetti: i suoi compagni di viaggio, quegli studiosi che lo chiamavano a far parte dei loro staff: Brugnoli, Volpato, Viviani, Rama, Hornung, Sauro, Piazzola… desiderosi di avere nelle proprie curatele un contributo che affondasse uno sguardo linguistico nel passato; possiamo prendere atto delle istituzioni e delle riviste che hanno accolto le sue riflessioni: gli “Atti” della nostra Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere, già dal 1974; la “Rivista italiana di onomastica” cui approda nel 1988; la lunga militanza in “Cimbri/Tzimbar” di cui era instancabile correttore e promotore, in continuità con “Terra cimbra” e con “Vita di Giazza e Roana”; l’assidua ed entusiasta partecipazione alle vicende culturali della sua città, testimoniata dalle numerose lettere ai giornali “L’Arena” e “Verona Fedele”; la sua difesa del dialetto non solo per la dimensione popolare (nel senso più nobile del termine), ma anche per la dignità linguistica di cui un idioma dialettale è portatore. E a questo proposito vale la pena di citare il n° 366, La lingua veneta e i suoi dialetti, che si avvale di una Prefazione di G. Volpato il quale definisce quell’idioma «la lingua della famiglia e degli affetti»; il filone storico spesso percorso assieme all’indagine linguistica; le frequenti incursioni come traduttore.
Leggendo quella Bibliografia – che qualche blasfemo osservatore potrebbe definire arido testo – ci imbattiamo in quel Languages of the World, di John H. Koo-Robert e N. St. Clair di cui Gianni aveva, tra l’altro, rivisto «accuratamente le bozze al fine di rilevare errori o omissioni» (p. 33), e che spesso, chiacchierando con gli amici, citava con umile orgoglio e profondo rispetto. Solo una bibliografia è in grado di concedere uno sguardo “totale” sull’opera di uno studioso. Meglio ancora se si tratta di una bibliografia ragionata, capace cioè di aprire finestre, di consentire collegamenti altrimenti negati, di svelare marginalità essenziali. Essa, per sua natura, mette tra parentesi, anzi ignora, gli aggettivi e si limita ai fatti, nella cristallina coscienza che gli aggettivi verranno poi, indotti ed esigiti dalle opere via via richiamate. E subito, immediatamente, ecco al numero progressivo 4 un contributo di eccezionale levatura che spalanca, sul valore intellettuale di Gianni, una finestra immensa. È un articolo, accolto negli “Atti” della nostra Accademia, in cui «le lingue giapponese ed eschimese vengono ricondotte a un’unica lingua comune»! Siamo nel 1971. Tempo qualche anno, l’orientamento linguistico trova conferma quando compare “Sul rapporto tra indoeuropeo e nippoeschimese”: qui davvero si cammina lungo un crinale delicatissimo e altamente specializzato. Anche se molti di noi sapevano di Rapelli fine linguista, solo ora ci arrivano conferme sbalorditive. E tale vocazione trova numerose conferme sia negli studi di onomastica (pietre miliari rimangono i due volumi del 1980 e del 1995 sui cognomi cimbri e veronesi) e toponomastica – i quali, se dovessimo usare un lemma oggi molto di moda, hanno avuto una risonanza “virale”-, sia nelle indagini attorno alle lingue degli Etruschi, dei Reti, degli Hittiti.
Ma, quando mai mi venisse chiesto se, attraverso questa bibliografia, fosse possibile almeno intravedere un poco qual è il filo rosso che mette insieme ogni cosa, il comune denominatore capace di unire articoli diversi tra loro, o, ancora, a cosa mirasse di profondo e di lontanissimo Gianni Rapelli quando meditava nel suo luogo di lavoro (così ben rappresentato nella fortemente metaforica illustrazione di copertina di Michael Grieco), ebbene troverei il coraggio di sostenere che egli, con il suo sorriso, con la sua umiltà, con la sua riservatezza, cercava l’arché di tutte le cose. Infatti nella nota che accompagna la voce n° 38, contributo che indaga la «monogenesi del linguaggio», Gianni e Laura scrivono: «la stessa radice [bat-] compare in un numero talmente alto di lingue del mondo da permettere di ricostruire una delle prime parole formulate dall’umanità»: siamo nei pressi dell’atto di nascita del linguaggio. Potrei continuare ancora. È, questa, una traccia affascinante da seguire, se si vuole. Ed è traccia sostenuta anche dalla frequenza nei titoli dei contributi ma soprattutto nelle note sottostanti, del lemma “etimologia”, disciplina che rimanda a ciò che c’è prima, che è in origine, ciò che ha costituito il sostrato da cui si è sviluppato il resto. I suoi contributi, ordinati e distesi sul bianco originario di queste pagine, ce lo garantiscono meglio di qualsiasi altra voce a commento.
Infine mi sia consentita una nota personale. Tengo da conto alcune bozze della rivista “Cimbri/Tzimbar” corrette da Giovanni Rapelli. Lo faccio per diverse ragioni, in parte per la loro dimensione scientifica e in parte per un aspetto affettivo. Ma quelle carte consentono un’altra osservazione ancora su Gianni, non meno affascinante delle altre: la sua grafia, le virgole che aggiungeva e il modo di disegnarle, le virgolette alla sergente che tracciava, gli accenti che distingueva tra acuto e grave, la chiarezza di ogni lettera ad alleggerire il lavoro del compositore in tipografia, il nitore calligrafico del segno hanno una valenza estetica di assoluta, metafisica bellezza: amo pensare che quella chiarezza grafica fosse il portato di tanti aspetti della sua personalità, non ultimo la sua indimenticabile limpidezza intellettuale.
Aldo Ridolfi