Ferrais Emilio

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Emilio Ferrais

Ecclesiastico, vescovo, professore, Emilio Ferrais nacque a Verona il 27 marzo 1869. Abitante in via Sottoriva, egli fu uno degli otto figli di Raimondo e di Ginevra Mestre. Il suo primo vagito – lo disse sempre – “si fuse con gli squilli alleluianti della Resurrezione”. Ragazzino dal sorriso brillante, fu un lettore molto attento e perpetuamente dedicato ad accrescere la cultura. La famiglia teneva una posteria (un banco/negozio di generi alimentari) nella Piazza delle Erbe ed egli ricorderà sempre la bellezza della sua infanzia nonostante le dolorose morti dei fratelli e delle sorelle che se ne andarono – non tutti – in età poco più che infantile. La sua vita giovanile ruotò, a causa degli spostamenti della famiglia, sempre nel centro di Verona ed i periodi più belli furono quelli trascorsi nelle zone di Sant’Anastasia e di S. Zeno; il fiorentissimo oratorio di quest’ultimo fu la base fondamentale della sua crescita interiore e di quella spirituale. Qui, tra l’altro, ricevette la cresima, l’11 luglio 1880, dalle mani tremanti – com’egli ricordò – di Mons. Daniele Comboni, dalla salute già compromessa: il santo se ne andrà, infatti, il 10 ottobre dell’anno successivo, a Khartoum, capitale del Sudan. Il futuro vescovo ricorderà sempre gli eventi della sua vita che ritenne voluta da Dio e mai dal caso.
Dotato di grande intelligenza, intraprese gli studi dai Salesiani, poi fu mandato, da esterno, a frequentare il seminario fino al 1888, quando iniziò la teologia: don Alessandro Bussinello e Mons. Michelangelo Grancelli, direttore di “Verona fedele”, ne avevano capito sia la capacità intellettuale sia la propensione a dare la propria vita alla propagazione delle fede cattolica quale sacerdote. Fu inviato, dal Rettore del seminario vescovile Mons. Bartolomeo Bacilieri (allora anche vescovo ausiliare del Card. Luigi di Canossa), a studiare all’Università Gregoriana di Roma e accolto al collegio Capranica. Si laureò, magna cum laude, in diritto canonico nell’agosto 1891: il mese successivo, il 18 settembre, fu ordinato sacerdote e celebrò – senza nessuna pompa – la sua prima messa a S. Anastasia. Il 15 luglio del medesimo anno, era uscita l’enciclica Rerum Novarum da parte del papa; con grande fiuto e intelligenza, egli colse subito lo stupore della gente davanti a quanto il pontefice aveva fatto conoscere.
Emilio Ferrais pensava, finalmente, di dedicare la sua vita tra la gente, nelle parrocchie della diocesi: lo aveva detto più volte. Ma le sue idee non ebbero sostanza; andò a fare ciò ch’egli mai avrebbe voluto: l’insegnamento, l’occupazione tra le carte della Curia.
Fu chiamato ad insegnare Diritto Canonico, poi anche Liturgia e Sacra Eloquenza in seminario; chi lo conobbe scrisse che il giovane presbitero fu un modello d’insegnamento fatto con il sorriso: sempre ed in ogni occasione. Un anno dopo, fu nominato anche vice-cancelliere vescovile; in definitiva, ciò ch’egli non avrebbe mai desiderato lo accolse – proprio per quel senso di obbedienza che lo contraddistinse – ed egli fu un fervido docente ed un cancelliere perfetto. Queste esperienze, che porterà sempre con sé, lo vedranno, qualche tempo più tardi, quale uomo all’avanguardia in entrambi i campi. Nelle non poche cose che scrisse (tutte legate ai valori della fede e della crescita spirituale) egli ricordava sempre che la vita non era creata dall’uomo, ma sempre da Colui che stava sopra l’uomo e che l’obbedienza serena sarebbe stata la catena indissolubile per la salvezza.
Grande scrittore manuale (tanto da rendere, per un po’ di tempo, la mano destra impoverita da una paresi ed allora inizierà a scrivere anche con la sinistra) si dedicò alla collaborazione con Mons. Giovanni Battista Pighi, dotto teologo veronese: con questi, egli pubblicherà opere piuttosto rilevanti; in latino per gli studenti del seminario e per i presbiteri, ovviamente; pare corretto ricordare almeno un paio di questi libri: Liturgia sacramentorum et sacramentalium, (Verona, Cinquetti, 1902), Liturgia sacerdotalis (Ibidem, 2007); i nuovi decreti per la messa lo videro subito attento, soprattutto per i suoi studenti del seminario, ma anche per i sacerdoti che dalla Curia episcopale attendevano chiarezza: uscì, quindi, a opera solamente del Ferrais, Liturgia messae juxta novissima S. Sedis decreta (Ibidem, 1903).
Insieme alle scuole, al seminario, alle cose curiali, per un giovane dinamico e generoso come Emilio Ferrais, erano necessarie altre occupazioni alle quale egli dedicherà la capacità della mente e la ragione della carità: il lavoro apostolico non mancava. Mandato ad officiare nella parrocchia di S. Nicolò, trovò dei fanciulli che avevano bisogno di qualcuno che si occupasse di loro; qui vi erano due ricreatori, tra l’altro assai avviati: uno maschile ed uno femminile (allora piuttosto vicini, ma staccati l’uno dall’altro) dove profuse il suo entusiasmo; aveva trovato quanto, ancora prima degli incarichi d’insegnamento e delle carte curiali, aveva desiderato. A S. Pietro Incarnario, dove si radunavano i giovani soldati, fondò una biblioteca per questi. Chiese ed ottenne di diventare assistente dell’Azione Cattolica, la cui Giunta si chiamava, allora, “Comitato Diocesano” e, poi, “Direzione Diocesana”; egli sapeva – ma già lo aveva capito – che l’apostolato era quanto mai difficile: ostacolato da una politica piuttosto avversa e quasi sempre sorda agli insegnamenti della fede egli si adoperò così tanto che l’orfanatrofio delle “Nostre bambine” di don Giuseppe Giacomelli, ad esempio, trovò in lui un padre, un operatore, un uomo dal sorriso e dalla dolcezza: ne fu il direttore spirituale e fece in modo che molte di loro trovassero una famiglia.
Di queste continue vicinanze apostoliche, dei ritiri, degli esercizi spirituali che predicò ivi e altrove, rimangono ancora le piccole “prediche”, gli insegnamenti, i consigli: pubblicate, in buona parte, anni dopo, quand’egli ormai non esisteva più, appaiono non tanto delle prediche prettamente ecclesiologiche, né tanto meno pesanti: paragonava i sorrisi ai fiori, le lacrime alle carezze che servivano a bagnare gli occhi, i giochi come il modo di rallegrare lo spirito; purtroppo scritta in latino (la Chiesa non permetteva l’uso delle lingue nazionali: ciò accadde, come noto, a far tempo dal 1966), l’opera si chiama Estote factores verbi (Catania, Opera Vocazioni Ecclesiastiche, 1939). Era il tempo dell’epoca Umbertina, dei rivoluzionari, dei cattolici cui era negata la presenza nella vita politica, dei rigoristi e dei modernisti: anche per questo, il nome di Emilio Ferrais fu sempre benvoluto da coloro che pensavano alla salvezza non solo dell’anima, ma anche di una vita terrena serena e sostanzialmente felice soprattutto familiare. Portava il suo pensiero scrivendo su “Verona fedele”, collaborando a riviste religiose e, quando poteva, amava camminare nei sentieri facili della montagna (la paresi della mano si era allargata anche alla gamba destra) e trascorreva delle giornate sulle amene colline della Valpantena, a Erbino di Romagnano in comune di Grezzana, dove la famiglia Ferrais aveva acquistato una bella casa: lo aspettavano i valligiani poiché, ormai, la sua fama si era allargata; tra curia, seminario, parrocchie, oratorii, circoli, istituti, Azione Cattolica e insegnamento, ben poco tempo libero gli rimaneva. Probabilmente egli pensava che quella sua vita sacerdotale piena e feconda fosse la cima terminale su cui fermarsi per dare, nella continuazione, ciò in cui aveva sempre creduto.
Quand’ecco improvvisa, inattesa, non sospettata e perciò neppure temuta, davanti a lui apparve una sommità: quella dell’Episcopato. Qualche settimana prima, il cardinale Bacilieri gli aveva parlato dell’ubbidienza al Papa, dell’universalità della Chiesa: ed egli non si era neppure chiesto le ragioni, dal momento che, come credente e soprattutto come sacerdote aveva sempre rispettato quanto il vescovo di Verona gli aveva ricordato. Pio X, Giuseppe Sarto di Riese, conosceva bene il clero veneto: silenzioso, allegro, laborioso, sempre attento; quando il cardinale Giuseppe Francica-Nava di Bondifé, arcivescovo di Catania, rimase senza il suo ausiliare Mons. A. Cesareo, ne chiese un altro e il Pontefice si rivolse a Bacilieri: accolto tra le grida dei giovani e gli applausi della gente, Emilio Ferrais ricevette una lettera, il 5 aprile 1911, della S. Congregazione Concistoriale nella quale gli veniva comunicato che, in data 1 aprile, il Sommo Pontefice lo aveva promosso alla Chiesa Titolare di Listra (sede soppressa del patriarcato di Costantinopoli) destinandolo ad ausiliare dell’arcivescovado di Catania. Il giorno dopo della sua nomina egli assistette all’esumazione delle salme del padre e della madre: il neoeletto passava così – meditando sulla fugacità delle cose umane – il primo momento della notizia.
Incredulo, pieno di pianto, coinvolto – com’era in quel momento – in un corso di esercizi spirituali, egli era diventato, in quei giorni, sicuro d’avere perso la speranza di rimanere con la gente con la quale aveva ritenuto di potere convivere. Si fece ricevere, a Roma, dal Papa che lo accolse a braccia aperte: implorò il Pontefice dicendogli di essere non degno di tanto onore; sorridendo, Pio X (poi santo) gli chiese: “Mi dica: scorre l’Adige a Verona?” e poi, in dialetto veneto, entrambi parlarono della bellezza della città, della bontà dei veneti, della necessità di avere, in quella Sicilia poco fluente (e l’accenno al fiume era stato chiaro), un sorriso quotidiano.
Fu consacrato Vescovo, nella cattedrale veronese, il 21 maggio 1911 dal card. Bacilieri, assistito dai vescovi di Mantova e di Brescia. A Catania fece il suo ingresso il 14 giugno: meno di un mese dopo, quando i veronesi, che l’avevano conosciuto, gli dedicarono giorni di festa. Fu subito nominato pro-vicario della Diocesi; le altre nomine avverranno più tardi: il 14 dicembre 1914 vicario generale, il 29 aprile 1920 assistente al Soglio Pontificio, l’11 dicembre 1925 Vescovo coadiutore di Catania con diritto alla successione.
Complicata, difficile, neppure facile da comprendere era la vita ecclesiale nella città siciliana. Il Cardinale Nava, erede di una delle più ricche famiglie patrizie della zona, non godeva – soprattutto e non solo all’interno della diocesi – di grande amore: autoritario, onnipresente, per nulla prono alla comprensione anche dei sacerdoti, non lasciava molta libertà. Era l’epoca della forte massoneria (Catania era la più importante sede massonica dell’isola), dell’età nella quale qualsiasi cosa avrebbe dovuto passare dalle mani dell’Arcivescovo e/o da quelle delle fortissime presenze anticlericali. In questo clima di tensione e in questo ambiente arroventato giunse il nuovo vescovo veronese. Fedele al proprio superiore, mai disattento da quanto accadeva, il Cardinale Nava comprese subito la grandezza spirituale del nuovo arrivato.
Nel 1911 Catania conobbe il colera: nei quartieri dove la sporcizia regnava, Ferrais andava sempre, visitava il lazzaretto, portava ai bambini e alle famiglie quanto poteva. Furono anni di collaborazione attiva, silenziosa, senza arretramenti; non ebbe timori; chiese, e ottenne, di cominciare la visita dell’archidiocesi; andò a Biancavilla, ad Adrano, a Bronte nella plaga occidentale dove, come lupi randagi, vi erano furfanti e ladri: li volle conoscere, li aiutò a uscire dalla via del dolore; Emilio Ferrais vinse sempre: con il sorriso, con lo sguardo rassicurante. Imparò il dialetto per essere vicino e meglio comprendere: a nessuno, mai, lesinò l’amicizia poiché entrò nei luoghi dove nessuno, prima, aveva messo piede. Egli aveva capito che il suo messaggio di bontà, di perdono, di pietà (non solo cristiana) era il modo migliore per ciò che la sua consacrazione sacerdotale richiedeva: non amava i viaggi, amava le contrade, le baite, i luoghi che tutti credevano della perdizione e stava con la gente; non negò a nessuno la sua benedizione e a chiunque era vicino. Raccontano le poche cose scritte su di lui che davanti al suo abbraccio – mai negato – capitolavano i contadini scontrosi e ruvidi, i signori che avevano da aggiustare coscienza e matrimonio, le donne deviate dalla passione, i furfanti dall’apparenza paurosa: era il vescovo veronese ad andare, entrare in quei luoghi, spesso anche senza esserne richiesto; egli sosteneva: “Io sono socio dell’opera poveri e infermi a domicilio” e, spesso, parlava al pubblico, fermandosi sui marciapiedi, davanti alle case; si faceva invitare dai sindaci, socialisti e/o anticlericali e dai pochi cattolici, poiché riteneva che fossero i veri ed unici responsabili della vita quotidiana della gente. Volle rimanere, come vita privata, fuori della Curia e andò a Cifali, (una contrada della periferia catanese), con i bambini di Don Bosco con i quali passò, sino al 1918, tutte le notti e i momenti liberi; con loro si recò sull’Etna per celebrare lassù una messa; ritenne un miracolo del Signore quello di essere stato salvato mentre, a causa della paresi alla gamba destra che l’aveva reso un poco claudicante, stava per cadere nel cratere. Chiese ed ottenne la direzione del seminario: furono anni di lavoro intenso poiché credeva – al contrario di quanto l’anticlericalismo riteneva – che i sacerdoti avrebbero aiutato il mondo ad essere migliore; vi rimase dal 1918 al 1928. Fu un educatore illuminato (l’esperienza veronese gli era stata preziosa); comprese che l’affetto sarebbe stato il metodo più corretto e giusto; restaurò il seminario, fondò l’“Opera delle Vocazioni Ecclesiastiche (O.V.E.)”, (anche se l’Arcivescovo se ne attribuì il merito), volle che tutti amassero il sacrificio proprio e quello degli altri, instaurò i ritiri spirituali. Scrisse un sacerdote: “Se noi siamo preti lo dobbiamo a mons. Ferrais. Al ritorno dalla guerra, il vescovo-rettore accolse i reduci con tanta delicatezza ed amore che lo spirito di fronda e i programmi di riforma che noi recavamo nello zaino riuscirono a risolversi in positiva e fedelissima formazione. Ci insegnò che i sassi lanciati contro i vetri del seminario quando forti erano le faziosità politiche, ci avrebbero aiutato a capire gli altri, a parlare con loro, a essere vicini alla gente”. Fondò l’“Opera del Divino Amore” per i poveri: le donne dell’aristocrazia misero a disposizione degli indigenti quanto egli riteneva giusto: locali, case, luoghi di accoglienza, istruzione.
Il 24 dicembre 1914 Mons. Ferrais aveva cresimato Giovanni Stefano Allegra nato a S. Giovanni La Punta, alle falde dell’Etna: diventato presbitero francescano, questi prese il nome di Gabriele Maria (con cui è conosciuto), fu missionario in Giappone e in Cina, tradusse in lingua cinese la Bibbia e morì a Hong Kong nel 1976: fu beatificato da papa Benedetto XVI il 29 settembre 2012.
Il 7 dicembre 1928 moriva il card. Nava ed egli ne raccoglieva la successione. Sembrò smarrito sia per la scomparsa dell’arcivescovo sia per quanto stava per accadergli. Andò a Roma per ricevere la benedizione del Pontefice. Fece il suo solenne ingresso nella sede di S. Berillo e di S. Agata il 27 gennaio 1929, fra l’entusiasmo incontenibile del popolo. I diciotto anni di vita catanese lo avevano preparato dandogli una conoscenza profonda della Diocesi. Mise in moto ogni cosa, ma la sua attività durò poco. Scomparve il 22 gennaio 1930 e il 27 dello stesso mese la sua salma ricevette il saluto della diocesi e della città.
Il ricordo di lui è vivo a Catania: nella cattedrale, un bellissimo monumento di Pietro Pappalardo, sopra le sue spoglie, lo avvicina alle persone: terminato nel 1942, esso è in travertino, bronzo e marmo bianco; Felice Dell’Utri, pittore nisseno, dipinse un quadro ad olio a colori con Ferrais vestito da arcivescovo, nel 1992. Verona lo ha dimenticato.

Bibliografia: Francesco Pennisi, Un vescovo seminarista: cenni biografici di Mons. Emilio Ferrais Arcivescovo di Catania, Catania, Opera Vocazioni Ecclesiastiche, 1942; Guglielmo Ederle, Un vescovo veronese a Catania, “Vita Veronese”, XXII, 1969, 1-2, pp. 38-41; Angelo Orlandi, Ferrais Emilio, in Dizionario Biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, p. 353; Gaetano Zito, L’Opera Vocazioni Sacerdotali da 85 anni al servizio della Chiesa di Catania a sostegno delle vocazioni presbiteriali (1928-2013), “Arcidiocesi di Catania. Bollettino Ecclesiale”, a. 117, n. 1, gen.-mar. 2014, pp. 249-260; Sebastiano Mangano, I sacerdoti, i diaconi e i chierici della diocesi di Catania nella grande guerra, Catania, L. La Magna, 2018; Gaetano Bongiovanni, Pietro Pappalardo e la Tomba Ferrais, “Frammenti catanesi, 2”, Palermo, Printea, 2023, pp. 16-17.

Giancarlo Volpato

FOTO DA: Wikipedia

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