Vassalini Caterina
…a cura di Giancarlo Volpato
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Filologa classica, traduttrice, docente al Liceo Classico, Caterina Vassalini nacque a Verona il 26 giugno 1904: era l’ultima dei tre figli nati da Ilaria Abati e da Bartolomeo, uomo assai rilevante nell’ambito economico veronese, segretario e poi presidente della Camera di Commercio (della quale scrisse pure la storia) e di altre Associazioni economiche cittadine. La sorella Ida fu una filosofa importante e un’indologa di rilievo (v. questo Sito) e il fratello Ugo, giovane universitario, fu ucciso nella battaglia della Bainsizza nell’agosto del 1917). Sin da giovane, Caterina espresse la volontà di occuparsi dei classici: iscrittasi all’Università di Padova, si laureò a 22 anni e cominciò, immediatamente, a insegnare latino e greco al Liceo-Ginnasio “S. Maffei” di Verona ininterrottamente per 37 anni; rifiutò altri posti, anche più rilevanti, poiché ritenne che quella scuola – vicina anche alla sua casa – fosse il luogo migliore per esprimere se stessa.
Docente di eccezionale bravura, dimostrò – tuttavia – di essere un’insegnante severa, molto spesso assai poco consona con le studentesse e gli studenti disattenti o con scarse attitudini alle discipline classiche: un’allieva, divenuta collega nel medesimo Ginnasio-Liceo e che alla Vassalini dedicò un lungo e fascinoso ricordo (v. Bibliografia: Tacconi), tracciò un esauriente profilo sul metodo che la Nostra non mutò mai nel lungo periodo del suo insegnamento scolastico; donna di facili ire, di quotidiane rabbie per coloro che non reputavano i classici e la grandezza di quel mondo come l’inizio della cultura della gente oltreché come inizio fondamentale della storia dell’uomo e della vita intelligente, Caterina Vassalini sapeva assai bene come cogliere, poi, i suoi studenti il cui ricordo fu, quasi sempre, positivo. La sua figura troneggiava dalla cattedra, allora elevata di tre gradini su una pedana, così come la sua voce dominava il silenzio dell’aula e stregava le menti in ascolto avide di sollecitazioni. Convinta sostenitrice del libero e ardito pensiero, contestatrice, per principio, del privilegio automatico del potere costituito e dell’ideologia imposta dall’alto, contraria ad ogni conformismo e bigottismo, riteneva rigorosamente paradossale la situazione “politica” del suo tempo: ma la subiva anche se l’arrogante credo sulla grandezza del passato e la necessità di una sottomissione al fascismo non misero mai in dubbio la schietta umanità della sua comprensione e l’acuta penetrazione del suo pensiero e della sua sensibilità nonché l’assoluta capacità di rendere – non solo ad allievi e allieve – la grandezza dello spirito assai più grande e al di sopra di qualsiasi forma di potere: anche di quello degli imperatori del passato, sconvolti e inabissati dalla straordinarietà degli scritti e dei versi degli autori sia greci sia latini. Da qui nacque l’incomprensione che molti, più tardi, non le risparmiarono.
Entrò nell’“Azione Nazionale Fascista Donne Artiste e Laureate” della quale occupò un posto importante in quella veneta non per cariche, ma per il personale prestigio: come noto, quest’associazione, nata con l’avvento del fascismo, fu la conseguenza della “Federazione artistica femminile italiana” (1914-1919) che era stata la figlia del contesto dell’aristocrazia e della borghesia, definita, anche, come “Lyceum femminile”: l’anima ne era stata, comprensibilmente, Margherita Sarfatti; furono questi – sino alla fine della guerra – gli anni nei quali i docenti non potevano, per nessuna ragione, essere lontani dal regime imperante, pena il loro allontanamento.
In questo periodo, Vassalini cominciò a darsi alla traduzione di opere latine, soprattutto, ma non dimenticando quelle greche, anche se quasi tutte videro la loro edizione dopo la fine della seconda guerra eccetto, tra le altre, il volume riguardante la sua tesi di laurea sulla satira di Giuseppe Parini ch’ella aveva confrontata con quella degli scrittori latini. Non si risparmiò nelle conferenze che quell’“Azione Nazionale” le conferiva: a Verona, a Milano, a Venezia, in altri luoghi anche fuori del Veneto; nacquero così La poesia di G. Leopardi, quella di Orazio nel bimillenario nel 1936, la visione di Stazio nella quinta cornice del Purgatorio dantesco tra i prodighi e gli avari (non a caso la Nostra volle parlare di un grande classico: l’autore della Tebaide e dell’Achilleide) ed altri ancora; tutti gli incontri conobbero sempre la stampa. A Venezia, in particolare, l’Associazione delle donne laureate era molto seguita: e nel loro “Bollettino trimestrale” del 1941 vollero la composizione Corsica della Vassalini dove, con una certa qual propria visione, ella compose una lunga nota di omaggio ad un’isola che aveva sempre voluto la libertà, ma che cadde, anch’essa, nel potentato. L’attenzione agli studenti fu sempre molto chiara e ciò risulta anche da quanto sopra detto; per essere vicina a loro, la docente tradusse il De magistro di S. Agostino che questi scrisse nel 389 a Tagaste: il colloquio sull’importanza della semiologia e della semiotica del linguaggio e, più ancora, della scrittura, era avvenuta tra lui e il figlio Adeodato; la traduzione e il commento di Vassalini furono chiarissimi; similmente avvenne nel 1952, quando con Michele Lecce, studioso e piccolo editore residente a Verona, ella pubblicò L’anno felice: letture per la quinta elementare.
Finì il conflitto, terminò il fascismo e, anche per Verona, cambiarono i giorni.
Quell’umanesimo che la letterata lodò sempre come uno dei meriti più alti di poeti e scrittori nonché di tutti coloro che pensarono all’umanità delle persone e alla grandezza di essa non eluse mai l’importanza di chiunque l’avesse capita: rimase celebre, tra gli altri, l’articolo sull’Umanità di Valgimigli del 1943 nel quale metteva in luce la gradevolezza con cui il critico aveva compreso quella degli scrittori del recente passato, ma – nel contempo – riprendendolo poiché egli non aveva capito quella di D’Annunzio: buon amico della Vassalini, tra l’altro; alla fine del conflitto questo spirito trovò in lei un’attenta propagatrice. Era nata, in Italia, l’associazione chiamata “Humanitas”: ella fondò la sezione a Verona inserendola nel fervore della ricostruzione economica e della risorta democrazia come voce viva della letteratura del tempo. E la città sull’Adige conobbe, in quegli anni del primo dopoguerra, giorni felici e attese soddisfatte.
Grazie all’attività incessante di lei, Verona ebbe la fortuna di accostare nomi illustri dell’arte, della cultura, delle lettere creando forti rapporti con se stessa e gli ospiti: da studiosi della classicità a poeti, scrittori, critici, attori; il maggior numero di questi era, in buona parte, italiano, ma – e lo disse più volte – dopo decenni nazionalisticamente provinciali, la città aprì le sue porte all’Europa e al mondo. Giulio Nascimbeni, giornalista e scrittore oltreché cronista de “L’Arena”, ebbe il coraggio di annotare sul giornale nel 1948: “È incredibile quante porte apra il nome di Caterina Vassalini”; e di tanti prestigiosi rapporti ella volle fare partecipi la città e le persone: da Carlo Diano a Concetto Marchesi, da Enzo Paci a Enzio Cetrangolo, da Gualtiero Tumiati a Diego Valeri che ridiede luce all’ermetismo e al simbolismo francese e molti altri. L’attività letteraria di lei, proprio in quegli anni, crebbe assai anche grazie ai molti lavori usciti: sono del 1947 le traduzioni del Pervigilium Veneris (La festa notturna di Venere) di Virgilio, del De rosis nascentibus (La nascita delle rose) attribuita a Decimo Magno Ausonio del IV sec. d.C. ed entrambe presenti nella Appendix Vergiliana; nei primi anni Cinquanta vedranno la luce le traduzioni delle Elegie di Tibullo e di Ovido, nonché le altre parti della straordinaria Appendix Vergiliana: Catalepton, Culex (La zanzara), Ciris (L’airone): epigrammi di straordinaria bellezza e portati in italiano con grazia e acume. La bellezza della traduzione del Pervigilium Veneris, fatta con un’umanità straordinariamente innovativa, trovò una riedizione tipograficamente preziosa, nel 1972, in 160 esemplari, (63 numerati), in-folio, in carta a tino Magnani di Pescia, composta a mano in carattere Garamond e Janson con due litografie a colori di Enrico Della Torre: ne fu stampatore Franco Riva, delle Edizioni Dominicae.
Furono gli anni della grandezza letteraria, musicale e piena di amicizie; e tutto questo passò alla storia della cultura: a Verona, Clara Zoboli Boggian (v. questo Sito) aprì il salotto letterario-musicale.
Caterina Vassalini, forse anche per propria autodefinizione, era nota come l’“Intellettuale solitaria”: un modo per dire che, pure avendo rapporti intensi con persone di grande fascino intellettuale, ella visse, nella sua casa di Vicolo Due Mori; qui affluirono in molti, come fosse un importante salotto per cólti, condividendo – seppure con assai minore fascino – quello di Clara Zoboli Boggian.
In quest’ultimo, noto a tutti gli studiosi e alla storia veronese, giunsero – soprattutto nelle domeniche – i poeti e i grandi della cultura italiana: Mario Donadoni (v. questo Sito), Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Diego Valeri, Ildebrando Pizzetti, Maria Callas e moltissimi altri. Il bovolonese Donadoni, nell’ottobre 1947, sempre in questo salotto, presentò Salvatore Quasimodo a Caterina Vassalini; poco più tardi, sempre grazie allo scrittore della bassa veronese, ella conobbe Giuseppe Papini, in uno dei rari viaggi veronesi del fiorentino: l’amicizia con questo grande della letteratura fu, da lei stessa, raccontata e della loro lunga corrispondenza esiste un ricco carteggio sia a Firenze, sia a Roma, sia nell’Archivio della Società Letteraria di Verona, alla quale Vassalini lasciò molte cose personali. Il fascino che Papini esercitò su di lei fu, soprattutto, quello dell’amore per la verità e per l’uomo: la consonanza spirituale fu enorme e, nonostante ella fosse sempre molto restia nei rapporti personali, si coglie chiaramente nelle lettere. Grande, in verità, fu anche l’amicizia con Ugo Spirito.
Nella coralità della cultura del dopoguerra Caterina occupò un posto importante: innumerevoli – assai più di quelli sopra citati – furono i rapporti di amicizia, ma anche di stima e li manifestò sempre con la sua presenza.
Con Salvatore Quasimodo, tutto girò in un altro modo. Sui rapporti tra di loro sono state scritte molte pagine ed anche un libro: sia positivamente sia negativamente. Tra il Modicano – come spesso si autodefiniva il poeta, premio Nobel per la letteratura nel 1959, nonostante abitasse a Milano in quell’epoca – e la grande traduttrice classica nacque una simpatia per la grecità che oltrepassò qualsiasi limite: non vi erano confini nella loro empatia caratterizzata, anche e soprattutto, dall’enorme massa epistolare che Caterina Vassalini spedì al suo amico-interlocutore.
Attratto dal fascino intellettuale che la veronese emanava e dalla sua grandezza culturale, è molto probabile che Quasimodo abbia approfittato – certamente più di quanto si possa supporre – dell’apporto della stessa. Le lettere che Vassalini spedì al modicano-milanese tra il 13 agosto 1955 e il 30 dicembre 1957, cioè tra il giorno in cui l’amica accettò di vergare la presentazione per il libro (di cui parleremo) e la commercializzazione dello stesso parlano assai poco di quanto – nella realtà – la traduttrice avesse fatto; nell’archivio quasimodiano milanese, custodito presso il figlio del premio Nobel, Alessandro, ben altro esiste: il laboratorio metafrastico e la consulenza scientifica oltreché il vero spazio delle traduzioni di Vassalini utilizzate da Quasimodo.
Con questi ella fece dei viaggi, il più importante dei quali fu in Grecia, là dove entrambi sentivano emanare la grandezza dell’umanità che si era propagata attraverso i secoli se, tutti, fossero stati coscienti della capacità di leggere i sentimenti, le sensazioni che i versi degli uomini di quel mondo già conoscevano e avevano tramandato: si può leggere il libro di Vassalini, In Grecia (Padova, Rebellato, 1959), con una premessa di G. Ungaretti.
Quasimodo aveva contattato la professoressa veronese nel 1953 proponendole di collaborare alla traduzione, dal greco, dell’Antologia Palatina o, meglio, al Fiore dell’Antologia Palatina. E Vassalini condivise. Tuttavia, la frattura tra il poeta e la filologa si era aperta in fretta; quest’ultima lo aveva ripreso per una non corretta traduzione di versi, ma Quasimodo era molto fermo: avrebbe voluto, così pare, che ella traducesse e che i versi fossero da lui messi insieme. Caterina preparò la traduzione di 163 epigrammi di cui furono pubblicati solo 118 (su 231). E quando fu pronta l’opera, in una lettera del 4 maggio 1956, la professoressa scrisse: “Non si è sanata la delusione. Io pensavo, certo a torto, ma lo pensavo: che l’antologia sarebbe stata nostra, di tutti e due”. Così uscì, invece: Salvatore Quasimodo, Fiore dell’Antologia Palatina; saggio introduttivo e note di Caterina Vassalini, Bologna, Guanda, 1958 (erano 262 pagine, con 20 carte di tavole, illustrata, 23 cm.). L’anno successivo, nel 1959, Salvatore Quasimodo verrà premiato con il Nobel anche tenendo conto di quest’ultima opera, di straordinaria bellezza lirica: probabilmente, una delle più belle traduzioni dal greco, in assoluto. Nell’ottobre 1956, la filologa veronese aveva scritto a chi le aveva presentato il poeta modicano-milanese: “A Mario Donadoni/cui debbo il più/prezioso incontro/della mia vita, con/affettuosa amicizia/Caterina Vassalini”.
Chiusa nelle sue stanze riccamente arredate, ma tetre e vuote della sua casa in Vicolo due Mori, là dove il poeta assai sovente era venuto, Caterina Vassalini passò gli ultimi anni della sua vita, con qualche giorno meno afflitto grazie al sorriso del nipote. La professoressa pianse, quando Aldo Moro venne ucciso dalle brigate rosse: lasciò alcune note dove scrisse il suo dolore. Ebbe un ultimo grande amico, Franco Sartori, illustre latinista.
C. Vassalini era membro dell’Associazione Italiana di Cultura Classica; fu socia dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, della Società Letteraria, dell’Istituto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia. Al di là delle amarezze e delle incomprensioni che ella patì nella debolezza della carne e della vita, il suo fu sempre uno spirito libero e, in quanto libero, fu uno spirito grande.
Se ne andò, in silenzio, nella sua casa, il 10 settembre 1979. Verona non le ha dedicato nulla. La sua numerosa corrispondenza si trova nell’Archivio di Alessandro Quasimodo a Milano, nell’Archivio del Novecento a Roma (Fascicolo Vassalini Caterina, Codice 10533) ove esistono pure lettere di Quasimodo, di Papini e di molti altri letterati.
Bibliografia: Scritti in onore di Caterina Vassalini, a cura di Luigi Barbesi, Verona, Fiorini, 1974; Alberto De Mori, [Caterina Vassalini], “Vita Veronese”, a. XXXII, 9-10, sett.-ott. 1979, pp. 270-271; Ada Tacconi, Ricordo di Caterina Vassalini, “Annuario Liceo Ginnasio S. Maffei di Verona”, 1993, pp. 63-75; Inventario dell’Archivio Papini, a cura di Gloria Marchetti, Roma, Ed. Storia e Letteraratura, 1998; Chiara Contri, Vassalini Caterina, in Dizionario Biografico dei Veronesi (sec. XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, p. 848; Giancarlo Volpato, Di Lionello Fiumi e di altri veronesi: dediche d’esemplare a Mario Donadoni, in Magna Verona vale. Studi in onore di Pierpaolo Brugnoli, a cura di Andrea Brugnoli e Gian Maria Varanini, Vago di Lavagno, La Grafica, 2008, pp. 273-290; Elena Villanova, “Nell’ombra del poeta”. Quasimodo traduttore dell’Antologia Palatina; prefazione e commento di L. Bossina, Roma, Carocci, 2018; Paolo Di Stefano, Le amiche dei poeti, vittime (nel silenzio) di abusi intellettuali, “Corriere della Sera”, 11 gen. 2019; Francesca Diano, Quasimodo, Vassalini e la gogna mediatica. Che significa tradurre i classici?, “Uncategorized” (Blog su WordPress.com.), 17 marzo 2019; Frédéric Ieva, A proposito del libro di Elena Villanova su Quasimodo, “Tradurre: pratiche, teorie, strumenti”, n. 21, 2021 (https://rivista tradurre.it); Andrea Cerica, Recensione a Elena Villanova, “Nell’ombra del poeta…”, “Una/Κοινᾖ”, n. 2, 2021, pp. 287-296; Luigi Ferrari, L’Intellettuale solitaria che fece ombra a Quasimodo, “Verona fedele”, a. LXXVIII, n. 26, 2 luglio 2023, p. 12.
Giancarlo Volpato
FOTO DA: https://27esimaora.corriere.it/