Dal Cero Lisetta (Elisa Maria)

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Lisetta (Elisa Maria) Dal Cero

Resistente, insegnante, politica, Elisa Maria Dal Cero nacque a Monteforte d’Alpone il 23 febbraio 1918. Quartogenita di Guglielmo e Cecilia Moschin, fu la sorella della Medaglia d’oro Luciano. Un mese prima il padre, del 6° Reggimento Alpini (del quale nel 2024 si è celebrato il centenario della targa-lapide infissa sulle mura scaligero-viscontee di Verona) era tornato dalla guerra; nel novembre del medesimo anno morirà la madre a causa della “spagnola”. La violenza del dolore non conobbe confini in quella famiglia dove il padre, provato da una guerra atroce, si ritroverà solo con quattro piccoli: Elisa Maria aveva solo otto mesi. Incapace di reagire a tanta disperazione, egli affidò le cure dei figli alle sorelle Cristina e Giulia; le nuove madri, piene d’amore, vendettero una campagna, si traferirono sulle Torricelle, alla “Bella Verona”, lavorando un campo di olivi. Nel 1924 andarono a Grezzana per gestire una bottega di generi alimentari. Il nuovo luogo sarà, per Elisa, la patria dei giochi, quasi sempre con i maschietti; frequenterà le scuole elementari, diventerà forzatamente una “Piccola Italiana” che ella respirerà con grande dolore anche perché l’antifascismo volava dentro le mura domestiche: e di questo, la giovane donna parlerà sempre con fierezza. Fu contagiata dall’attivismo dell’Azione Cattolica: un fede diversa, da credenti sinceri, lontana dalle forzature coercitive di molti aspetti religiosi piegatisi al volere dei governanti. I fratelli Dal Cero non ebbero mai la paura di non essere fieri delle scelte e lo confermò sempre anche Renato Gozzi, grezzanese lui pure, politico rilevante e futuro Sindaco di Verona.
Elisa conseguì il diploma magistrale all’Istituto Montanari in città e fu incaricata subito di una supplenza per l’insegnamento; durò poco la vicinanza ai bambini perché venne sospesa: non aveva la tessera del partito (e non l’avrà mai). Rifiuterà, altresì, di fare la ginnastica imposta dal fascismo; ella ebbe, già nella prima gioventù – poi rafforzatasi con la maturità – la resistenza per qualsiasi forma di imposizione contro la libertà: la sua famiglia ne era stata la base; nel frattempo ella aveva conseguito anche la maturità al liceo scientifico e, nel 1937, s’iscrisse a Padova alla Facoltà di Scienze nel corso di laurea in Matematica e Fisica, per dirottare nel 1939, a quello di Fisica pura; è noto che nel 1938 le leggi razziali esclusero i docenti di origine ebraica dall’insegnamento: anche questo contribuì, in Lisetta (dal 1937 utilizzò sempre e solamente questo nome) ad accrescere l’astio contro il fascismo. La Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana) l’accolse e in questa comunità ella trovò la forte concretezza quotidiana delle scelte coraggiose. Il fratello Luciano Dal Cero (v. questo Sito) soffriva già di tubercolosi, si occupava di cinema pure essendo anch’egli iscritto all’Università di Padova, che aveva come Rettore il villafranchese Carlo Anti, uomo molto noto per la sua ferrea fede fascista.
Si laureò in Fisica nel 1941, aveva già fatto supplenze alle magistrali: era l’unica, in quel periodo a portare uno stipendio nella famiglia, ma la ferma contrarietà al fascismo l’escluse ancora una volta; tuttavia riuscì ad insegnare topografia all’Istituto tecnico “I. Pindemonte”, poi – per un anno – matematica e topografia all’Istituto “A.M. Lorgna” nonostante non volesse indossare la divisa e portare la tessera: quella sua caparbietà – nata e cresciuta con una forza senza limiti – contro il regime antidemocratico non venne mai meno; fu costretta a insegnare presso l’Istituto religioso magistrale Canossa.
E venne l’8 settembre 1943. Tra le grida di quelli che credevano finita la guerra e cominciarono ad inneggiare ai liberatori vi furono, invece, coloro – come i Dal Cero e altri – per i quali la presenza dei tedeschi avrebbe riaperto un’altra guerra: più violenta, più cruenta, forse più nascosta, ma brutale. Si formò così il primo Comitato di Liberazione Nazionale (CNL) cui risposero gli avvisi della pena di morte a coloro che avessero portato aiuto a fuggitivi e resistenti ad ogni forza nemica ed ergastolo a chi avesse ascoltato le radio estere o avesse parlato di politica contraria o avesse agito contro, in qualsiasi modo, agli ordini dei nuovi arrivati. La violenza nazista, assai più terribile di quella fascista, aveva creato un mondo totalmente spaurito. Sorsero parecchi Comitati di fronte ad uno spettacolo terribile: Gianfranco De Bosio, Giovanni Dean, Giuseppe Tommasi, Mario Salazzari, Egidio Meneghetti, Vittore Bocchetta e molti altri furono in prima linea.
Lisetta, giovane donna venticinquenne, cominciò ad aiutare i prigionieri nella fuga; i tedeschi, che avevano capito l’intelligenza e le capacità dell’avversaria, si vendicarono subito: requisirono la casa a Grezzana e, per la famiglia composta ormai da anziani, fu la somma del dolore.
“Nutrivo e nutro sempre un amore profondo per la libertà”, dirà Lisetta in un’intervista futura: questa sua certezza la spinse all’aiuto, senza confine, proprio come la carità cristiana – che ha illuminato sempre la sua vita – le aveva detto di fare.
Da Roma, il 20 settembre 1943, arrivò il fratello Luciano: a lui, De Gasperi, Gonella ed altri che avevano trovato rifugio in Vaticano, dettero l’incarico di costituire i primi nuclei di Resistenza partigiana. Egli trovò, nella sorella, l’anima aperta, attenta, precisa; era anche colei che egli ascoltava per i suggerimenti, per alcuni metodi di comportamento in un momento che passò alla storia come il più feroce per tutti coloro che, per amore della patria, per un senso profondo della carità verso gli altri sacrificarono anche se stessi. Luciano e Lisetta furono messi in carcere assieme ad altri e conobbero, nella prigione degli Scalzi – passata alla storia per l’orrenda violenza dei carcerieri – ogni tipologia di dolore: ella stessa subì un attentato di violenza, da cui riuscì a liberarsi; lasciato il fidanzato, il medico Plinio Fenzi, poiché ella scrisse “erano più importanti i valori resistenziali che quelli dei sentimenti personali”, riuscì, per errore altrui, ad evadere dal carcere veronese; fece la staffetta, andò sempre con il fratello.
Qualche giorno dopo i canti di gloria della liberazione, ed esattamente il 29 aprile 1945, poco dopo il mezzogiorno, a Maso di Gambellara, il “Comandante Paolo”, com’era chiamato Dal Cero che guidava la brigata “Luciano Manara”, affrontando un reparto di tedeschi, fu colpito da una raffica di mitraglia: si capirà che la morte di Luciano non avvenne per colpa del nemico, ma di un uomo della sua brigata. Fu una delle vergogne, risolta con falsità, nel 1951. E, con il nome del fratello ucciso, Lisetta prenderà la guida della “L. Manara” e la vallata dell’Alpone ricorderà sempre il sacrificio del Comandante Paolo e l’altruismo fecondo della sorella.
Finita la guerra fu una delle anime profonde di coloro che erano stati i Resistenti; fu presente all’inaugurazione del monumento al partigiano in piazza Bra e che fu opera di Mario Salazzari (v. questo Sito); s’iscrisse all’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia) che lasciò, nel 1948, fondando a Verona con il generale Raffaele Cadorna, l’Avl (Associazione volontari della libertà): troppi comunisti vi erano ormai nell’Anpi e Lisetta Dal Cero, partigiana per la libertà fin da piccola, ma cattolica e fortemente credente, non seguì l’indirizzo politico. Ella diventò democristiana e, nonostante la non facile accoglienza nei confronti di una donna (anche se brava, anche se altruista, anche se poco propensa a concessioni vuote), rimase sempre nel partito che sarà il più importante in Italia per molti anni.
Tre furono le attività costanti di Lisetta Dal Cero negli anni che seguirono: tenere viva la memoria di tutti coloro che avevano fatto libera un’Italia che fu, per troppo tempo, fascista e poi condannata a subirne la tragica conseguenza; fare politica (in questa credeva fermamente) affinché quella patria che ella aveva amato fin da piccola migliorasse e potesse essere sempre padrona di se stessa; insegnare – non solo perché questa era stata la professione da lei scelta – ma anche perché la preparazione culturale dei giovani avrebbe dato miglioramenti veri alla società.
La politica della memoria – una grandezza dello spirito troppo spesso diventata per alcuni un intrigo del passato – trovò in Lisetta una donna sincera, caparbia se si vuole, ma profondamente coinvolta in una storia dove le donne raramente erano state presenti; andò dappertutto, in ogni luogo ci fosse stato da ricordare qualcuno; fu, ella stessa, “anima costruttrice” tenendo viva la realtà dei giorni infelici con scritti, interviste, monumenti; non lasciò mai da parte il verbo “aiutare”, come forma serena della vita per tutti quelli che, ma non solo, nel ricordo del passato trovavano lacrime e dolore: in questo fu una consigliera attenta, anche per coloro – assai importanti nel clima di un’Italia ritrovata – che in lei avevano ritrovato non solo una donna, normalmente più attenta dell’uomo alle cose quotidiane della vita, ma una persona che sapeva consigliare e vedere avanti.
Lisetta Dal Cero fece politica; vi entrò a capofitto, ma seppe anche guardare attorno e vide che poche donne si prestavano davvero per il bene altrui. Fu attratta da quanto Maria Trabucchi Clementi (v. questo Sito) assieme ad altre stava facendo e, probabilmente, pensò che il suo detto “è necessario che le donne vedano nella politica un apostolato” andava sorretto con forza, con una determinazione che, allora soprattutto ma non solo, al sesso femminile non era concesso. Furono poche quelle che dettero molto per le altre donne, per coloro che avevano bisogno: Elena Da Persico, Concetta Fiorio, Maria Pettenella (si vedano tutte in questo Sito). Probabilmente entrò in politica per questo e fu eletta più volte nel Consiglio comunale della città. Attivista della Democrazia Cristiana (e ancora prima donna combattente allorquando, finalmente, le donne furono ammesse alla votazione), Lisetta Dal Cero fu delegata femminile di quel partito in vari momenti: ella si fermava a vedere le modalità per meglio agire, guardava con dolore e sperava di migliorare la situazione economica del paese con l’aiuto delle donne cattoliche che reputava come protagoniste per un rinnovamento autentico della politica e per la crescita della democrazia. Ella pregava molto non perché fosse un modo per mettersi in mostra, ma poiché credeva nella fede in Dio quale salvatore: lo aveva fatto quand’era combattente con le armi, quand’era in carcere, quando diventò una politica e lo farà pure come insegnante.
Rivestì qualche posto importante nel Consiglio comunale di Verona; fu, più volte Assessore, ma in una carica un poco complicata (almeno allora) scarsamente impulsiva verso il pubblico; ricoprì, infatti, l’Assessorato all’Anagrafe; chiese – ma non ottenne mai – di essere collocata in maniera rilevante: era una donna e, per di più importante, teoricamente potente, senz’altro più intelligente di tanti consiglieri, ma il suo sesso valeva molto meno rispetto a quello degli uomini: lo ammisero tutti, quasi sempre tardi, giacché la sconfortante situazione di coloro che portavano le gonne era irrilevante. Eppure Lisetta Dal Cero non sconfessò mai di essersi trattata come fosse uomo: da piccola giocava al calcio, da grande portava i pantaloni, da giovane fu una combattente vera quando troppi uomini negarono la loro presenza per la salvezza dell’Italia. Tuttavia, all’interno del suo partito, qualcuno la guardò con occhio diverso; fu dirigente femminile della Democrazia Cristiana, fu la presidentessa della banda cittadina, fu al di sopra di ogni rissa e di ogni posizione; una certa lotta politica di contrarietà alla sua linea non mancò mai.
I giovani della scuola furono un altro dei suoi impegni. Nel 1945 fu supplente di matematica al Liceo Scientifico Messedaglia, poi andò all’Istituto Tecnico Lorgna, ebbe la presidenza del nuovo Istituto per geometri a Verona, poi quello intitolato a Cangrande Della Scala; il primo ottobre 1972 Lisetta arrivò a San Bonifacio: fu la prima Preside dell’Istituto tecnico-commerciale e per geometri e lo lasciò con il nome di Istituto “Luciano Dal Cero” nel 1975; due anni dopo, era settembre del 1977, uscì definitivamente dalla scuola dopo avere consolidato l’autonomia del nuovo Istituto intitolato a Luigi Einaudi. Fu una viaggiatrice, spesso solitaria con un camper, ricercando le bellezze del mondo, quale metafora della vita.
Se ne andò il 2 agosto 2002, per ricongiungersi con Luciano, un fratello che amò sempre. Parlano di lei le 7 Onorificenze ottenute: Medaglia di bronzo al Valor Militare (1952), due Croci al Merito di Guerra (1948 e 1961), una che attesta il riconoscimento del Comandante delle Forze Alleate del Mediterraneo (1945), una di Ufficiale della Repubblica (1960), una di Commendatore (1967), una di Grande Ufficiale (1978). Ha goduto, recentemente, di uno splendido libro di Giovanni Tosi, sulla sua persona e sul suo posto nella storia dell’Italia e della Verona del Novecento: qui l’iconografia straordinaria ha reso omaggio ad una donna non sempre considerata importante; l’hanno applaudita – alla presentazione del libro nel novembre 2024 – gli studenti e i docenti dell’Istituto dedicato a Luciano Dal Cero e dove, ella stessa, aveva offerto una parte bella del suo amore per la vita.

Bibliografia: assai rilevante è quella sull’epoca della Resistenza, ma ci limitiamo a citare quella a lei più pertinente; Francesco Vecchiato, Tra guerra e guerra fredda. La rinascita di Verona dalle macerie del conflitto mondiale (1945-59), in Verona. La guerra e la ricostruzione, a cura di Maristella Vecchiato, Vago di Lavagno, La Grafica, 2006, pp. 8-127; Eravamo fatte di stoffa buona. Donne e Resistenza in Veneto, a cura di Maria Teresa Sega, Portogruaro (Ve), Nuova Dimensione, 2008; Valentina Catania, La scelta antifascista e la conquista della cittadinanza nei racconti di alcune donne veronesi, in Donne a Verona. Una storia della città dal Medioevo ad oggi, a cura di Paola Lanaro e Alison Smith, Sommacampagna, Cierre, 2011, pp. 311-326; Luciano Dal Cero. Una vita per la libertà, a cura dell’Istituto Statale Luciano Dal Cero, San Bonifacio, Grafiche Miniato, 2019; Giovanni Tosi, “Dicevano che ero una poco di buono”. Lisetta Dal Cero (1918-2002), Sommacampagna-Verona, Cierre-Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, 2024.

Giancarlo Volpato   

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