Salazzari Mario
… a cura di Giancarlo Volpato
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Scultore, poeta, resistente, Mario Salazzari nacque a Lugagnano di Sona il 16 novembre 1904. Due anni dopo, il padre, capomastro, portò i sette figli in Germania. Qui, il piccolo imparò il tedesco, frequentò le scuole elementari e le medie oltreché il dialetto veronese che parlava in casa.
Allo scoppio della guerra, la famiglia Salazzari ritornò in Italia, ma senza il padre. Nel 1916 il giovane interruppe gli studi e si dedicò, come apprendista, a fare il tornitore di proiettili.
Nel 1918, Mario incontrò un artista veronese, quell’Eugenio Prati (v. questo Sito), scultore e pittore, venuto da Cerro Veronese che lavorava all’arte funeraria del fratello Celeste. Prati apprezzò subito i disegni del giovane amico che si mise a scolpire scene di vita quotidiana.
Dal 1919 al 1923 Salazzari frequentò l’Accademia di Belle Arti, proprio su insistenza di Prati e dove il giovane ebbe come maestri Alfredo Savini ed Egidio Girelli che poi s’affermeranno come artisti di classe. Intanto, mentre era a Cerro presso i fratelli, ebbe modo d’entrare in contatto con i secessionisti di Ca’ Pesaro (spiriti ribelli, ma amanti anche della tradizione) e conobbe Umberto Moggioli, Gino Rossi e soprattutto Arturo Martini che lo indirizzò allo stile neopreclassico di robusta e severa formazione artistica.
Nel 1920, ancora studente, vinse il concorso per la realizzazione del Monumento ai Caduti in Borgo Roma di Verona e lo porterà a termine cinque anni più tardi. Svolse il servizio militare come recluta nel Genio Pontieri a Verona: durante questo periodo, grazie al talento dimostrato, ebbe ulteriori incarichi artistici. Nel 1928 aveva terminato il Monumento al Pontiere a Piacenza e sarà re Vittorio Emanuele che lo inaugurerà. Nel frattempo si era già distinto per altre realizzazioni sia in città sia nel territorio veronese: tra il 1923 e 1925, portò a termine due Monumenti ai Caduti a Gazzo Veronese e a Raldon di San Giovanni Lupatoto, fece targhe importanti in onore dei combattenti.
Nel 1934 presentò un bozzetto per il Gruppo equestre alla Vittoria: due anni dopo gli venne affidato l’incarico e Salazzari realizzò quei quattro gruppi al Ponte della Vittoria, nel centro di Verona, che ne decretarono perennemente la gloria; dalle forme dure e squadrate – tipiche della scultura fascista – l’artista veronese si staccò fortemente e la sfolgorante semplificazione del neoclassicismo dette esiti molto sorprendenti. Quando i gruppi equestri vennero installati (era il dopoguerra), provocarono roventi polemiche perché – da alcuni – giudicati sconvenienti a causa dell’anatomia dei cavalli.
Nel 1946 realizzò il Monumento al Partigiano a Verona in Piazza Bra, una grande statua bronzea dalle linee morbide e assolutamente priva di retorica. Nello stesso anno realizzava tre lunette interne del ricostruito municipio di Verona, l’architrave del portale della chiesa di Ceraino di Dolcé in marmo rosa in stile neoromanico, poi a Gaium di Rivoli Veronese l’archivolto con le Gesta dell’Arcangelo Michele e un Icaro caduto per un collezionista.
Nel 1943, staccatosi completamente da qualsiasi ideologia fascista, Mario Salazzari passò alla Resistenza comandando una formazione partigiana (la “Val di Valdo”) tra Selva di Progno e la valle Squaranto di Verona. Liberò ostaggi a Velo Veronese togliendoli dalla deportazione nei lager tedeschi e fu un resistente preciso, sicuro. Ma il 27 novembre di quell’anno fu preso, portato in carcere e torturato ferocemente per dieci giorni: diventerà menomato alla mano destra. Trasferito nel carcere di Padova, fu condannato a 30 anni: evase e, a piedi, fuggì attraverso le campagne, nell’aprile 1945, e si salvò grazie al lasciapassare del CNL Veneto.
Nel 1946, quindi, ricominciò la sua attività con la medesima alacrità di prima nonostante la menomazione. Iniziò ad insegnare, alla scuola per marmisti, a S. Ambrogio di Valpolicella e assieme ai suoi studenti progettò molte opere; qui occupò la carica di preside, oltreché d’insegnante, dal 1947 al 1972.
Un’opera importante, sia per la fattura sia per quanto voleva dimostrare, fu la statua del Partigiano, collocata in Piazza Bra, nel centro di Verona (e non casualmente): era il 1947.
A Palazzolo sull’Oglio (BS), tra 1950 e 1955, eresse il monumento funebre S. Francesco parla agli uccelli, indi realizzò (1958) il Monumento alla Divisione Pasubio, poi l’Anima addolorata al cimitero monumentale e altri portali per cappelle funerarie, formelle artistiche, figure mitiche. Fece un busto in bronzo del suo grande amico Egidio Meneghetti, rettore dell’ateneo patavino, resistente, poeta (v. questo Sito).
È del 1966 il celebre Monumento all’eccidio dei caduti della divisione Acqui a Cefalonia e Corfù, mentre avverrà nel 1970 il Monumento ai Caduti di Palù. A chi aveva dato la vita combattendo per la patria, Salazzari – come tanti altri artisti e, tra di essi, proprio quell’Eugenio Prati che lo aiutò a scegliere bene la propria strada – dedicò tempo, attenzione e amore.
Altre sue opere sono a Taranto, al Museo archeologico di Cagliari, dove realizzò un bellissimo portale marmoreo. Suo è il monumento ad Ho Chi Minh nella capitale del Vietnam.
La narratività delle sue opere scultoree, la fama acquisita, l’imprevedibile sagacia del suo temperamento e la non sempre facile sua ironia, lo fecero amico di tutte le menti importanti della Verona artistica e anche al di fuori della stessa.
Fu un poeta straordinario: Un mal che lima e ruma (1968) fu la raccolta in dialetto veronese, carica di intensa umanità, ricca di profonda conoscenza dell’animo, perfetta realizzazione – attraverso il linguaggio quotidiano – della sua vena dolcissima e dolorosa di uomo. Qui, il senso della vita, acquista una dimensione che si sprigiona attraverso le pieghe più intime, anche – a volte – nascosta sotto l’ala dell’ironia sottile e intelligente. Da ricordare, forse su tutte, la lirica dedicata al padre che si prendeva il piccolo figlio “in coparela”: struggente amore di vita vissuta, profondamente radicata nel ricordo filiale di un amore senza tempo.
Fu un uomo di singolare amicizia, d’intelligenza acuta e assai ironica. Nel 1978 fece parte del Comitato per ricordare il ventennale della morte di Roberto Da Ronco (v. questo Sito), meglio noto come Berto da Cogolo e fu la mente artistica della mostra: grazie alla ferrea amicizia che l’aveva legato al grande battiferro. Molte sue sculture giacciono in collezioni private, non solo italiane.
Passò gli ultimi anni della sua vita assieme a Giovanna Rossi, una compagna partigiana che aveva combattuto con lui e con lui aveva condiviso l’arte della scultura.
Mario Salazzari scomparve a Verona il 6 giugno 1993.
Vent’anni dopo, Lugagnano – suo paese natale – gli dedicò una mostra retrospettiva e così Settimo di Pescantina nel 2012.
Verona e alcuni paesi della provincia gli hanno dedicato una via. Da qualche anno, esiste un importante centro di cultura, l’“Associazione culturale M. Salazzari” che sostiene e organizza mostre di artisti veronesi e ne pubblica i libri.
Bibliografia: Mario Salazzari, Una vita per l’arte e la libertà, Sommacampagna, Comune di Sommacampagna, 1993; Tarcisio Chignola, Nove giornate con Mario Salazzari, “Bollettino della Società Letteraria di Verona”, fasc. 18, 2005, pp. 27-58; Paola Azzolini, Un mal che lima e ruma. La poesia di Mario Salazzari, “Bollettino della Società Letteraria di Verona”, fasc. 18, 2005, pp. 19-22; Giorgio Trevisan, Memorie della Grande Guerra: i monumenti ai caduti di Verona e provincia, Sommacampagna, Cierre, 2005; Emma Cerpelloni, Salazzari Mario, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G. F. Viviani, Verona 2006, pp. 727-728; Salazzari: l’uomo, l’artista, Settimo di Pescantina, Stevan elevatori, 2012; Maria Vittoria Adami, Inediti di Salazzari, i suoi cavalli fecero ridere l’Italia, “L’Arena”, 26 maggio 2012, p. 47; Maurizio Zangarini, Storia della Resistenza veronese, Verona, Istituto veronese per la Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea-Sommacampagna, Cierre, 2012, passim; Mario Salazzari: opere pubbliche e per la memoria, a cura di Camilla Bertoni, Verona, Associazione culturale M. Salazzari, 2019.
Giancarlo Volpato