7. Strani incontri: 1

…a cura di Aldo RidolfiPoesiaPer le tue domande scrivi a: aldo.ridolfi@libero.it

Ponte di VejaGiuseppe Luigi Pellegrini, Abate e Conte, in escursione al Ponte di Veja

   7. Strani incontri: 1

   Ricapitoliamo, dunque, dopo sei puntate: la comitiva, composta dall’abate Pellegrini, dal conte Gaspare, dalla contessa Chiarastella da Persico, Dimice, da suo figlio Nicola, Inalco, e da alcuni servi, parte per raggiungere il ponte di Veja; sul far del giorno ammira paesaggi stupendi, frutto del lavoro e dell’abilità degli uomini; il gruppo arriva a Giare, contrada poco distante dal ponte, e lì incontra un’architettura essenziale e povera ma anche un’umanità autentica e onesta che sembra scomparsa e che di fatto si salva solo in quelle aree montane.
Però, prima di fermarsi presso la famigliuola di Giare la comitiva fa uno strano incontro.

   L’abate non fa in tempo a ritornare – ancora una volta direte voi – sulla splendida figura di Dimice dal «roseo viso», e dalle «perle [che] schiudea più bianche la vermiglia bocca…» che un evento inaspettato lo distoglie dall’ammirazione per la nobildonna.
A togliergli la serenità di quei momenti eccelsi ci pensa l’apparizione di un serpente, animale ctonico e misterioso: «In quella ascolto / sonoro fischio, e stupefatto miro / di terra uscir con aureo-azzurra cresta / lungo serpente». Ma se la vista del serpente, infelice creatura, – «maledetto sii tu tra il bestiame e tra tutte le fiere della steppa»- fa sobbalzare la dama che subito si precipita a proteggere, con pronto zelo materno, il suo bambino, l’abate rimane fermo davanti al biblico tentatore. Il quale, peraltro, non sembra possedere tutti gli attributi generalmente riconosciuti, da antica memoria, ai rettili. Intanto quell’«aureo-azzurra cresta» fa pensare vagamente al basilisco, ampiamente documentato anche nei miti lessinici, e poi, nel suo insieme, quel serpente non sembra possedere alcuna caratteristica tale da mettere soggezione alla piccola comitiva. Certo, egli rimanda al mondo infernale, ed infatti scaturisce dalla terra e lì intende ritornare: «Ei d’onde prima / lubrico uscì là sdrucciolò sotterra»!

   Ma vi è, da parte del poeta, tutto un sostare su un’aggettivazione che rende l’immondo animale non solo inoffensivo ma persino simpatico. Esso infatti «non torvo porta / il foco che ha negli occhi; e mite in vista / senza orror vibra la trisulca lingua». Insomma, la Natura, che non è matrigna ma madre, quassù, un poco prima di Giare, in un contesto di suggestiva bellezza paesaggistica e antropologica, esprime la sua bontà, svela l’osmosi con il mondo degli umani e “umanizza” il terribile serpente al punto che diventa anche esteticamente interessante: le squame infatti «sotto i rai parean squame d’argento». Ma va ancora oltre lo sguardo di Pellegrini e ne coglie le movenze: «Indi sublime /erge la testa»! Ed è perfino commovente questo essere strisciante e colpito da atavica ripugnanza, quando dimostra la sua estrema correttezza, la sua indubbia buona creanza, andandosene in fretta, quasi a non voler disturbare la nobile compagnia: «Né guari non istette». Si ferma cioè per pochissimo tempo, quello strettamente necessario per attraversare il sentiero e scivolare, come abbiamo appena visto, sotto terra.

   Ma c’è di più. Il serpente, se da un lato rimanda alla dimensione tentatrice e peccaminosa, dall’altro è anche simbolo di astuzia e saggezza. Andandosene esso traccia, con i movimenti del suo corpo strisciante, le forme vaghe di un tempio… E tutti lo ritengono un buon presagio. Che si realizzerà di lì a poco con la scoperta di Giare, la contrada che tanta autenticità umana conserva dentro le sue mura, come abbiamo sottolineato nelle due puntate precedenti.

Aldo Ridolfi (continua)

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