Puntata 12 – Utopia 1
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Puntata 12 – Utopia
La descrizione così colorita degli editori “veneziani” della Utopia di Thomas More del 1548, è tratta da uno studio di Luigi Firpo, il massimo critico italiano che dedicò la sua vita allo studio del santo Cancelliere inglese. Edito in Idea di Thomas More 1478-1978 (Vicenza, Neri Pozza 1978), in occasione del centenario della nascita, fa parte di un libro di acuta analisi critica e di piacevolissima lettura, e, forse per questo, temo sia del tutto dimenticato.
Vi troverete raccolti alcuni preziosi contributi di studiosi italiani e stranieri uniti dal comune intento di avvicinare al lettore non specialista l’opera e la figura umana di More. E scoprirete come attorno al Grande Cancelliere fioriscono ancora oggi centri di studio come quello dell’Università di Yale, o come una rivista brasiliana intitolata “Morus” o un centro studi a Milano, punto di riferimento per chi, grazie alla rivista “Moreana”, si occupa di una personalità gigantesca e affascinante di intellettuale e di santo, grande politico e umorista di raffinata eleganza.
Io ho “ritrovato” More e il suo indivisibile fraterno amico Erasmo da Rotterdam, negli anni ’80, parecchi anni dopo il mio trasferimento in Olanda. Da ragazza questi due grandi umanisti mi erano famigliari perché mio padre li ricordava spesso, erano i suoi modelli di vita e di studioso, ma non avevo avuto l’occasione di approfondire la lettura dei loro testi, pur così famosi.
Ho riletto a fondo l’Utopia in una edizione scolastica a cura di Tommaso Fiore (Utopia di Tommaso Moro, (Bari, Laterza,1986) solo per rispondere ad una domanda dei miei studenti olandesi che mi avevano chiesto se ci fossero nella letteratura italiana degli scrittori di viaggi immaginari, come Verne in Francia o Swift in Inghilterra con i Viaggi di Gulliver. Io ricordavo subito Emilio Salgari e la sua Malesia, (paese orientale ben noto agli olandesi) ma non mi bastava come risposta, e così sono stata spinta per la seconda volta ad entrare nel Cinquecento, dal quale ho sempre tentato, invano, di sfuggire.
Solo che quella sbirciatina nelle storie della letteratura italiana sulla narrativa italiana di viaggi, utile per la lezione del giorno dopo, si è trasformata in un mio viaggio di ricerca pieno di avventure, di insidie e di sorprese, che non è ancora terminato.
Allora mi ero accorta subito che a parte qualche rapido accenno alla fantasia dell’Ariosto nell’Orlando furioso, non c’era traccia nella critica letteraria italiana di quegli anni di un qualche studio esaustivo sul ruolo dell’immaginario nella prosa narrativa italiana dopo Boccaccio. Dopo il Decamerone, dove l’immaginario certo non prevale, la critica sorvolava su un paio di secoli “senza prosa” per farti arrivare, finalmente ai Promessi Sposi. Mancanza di documenti o rimozione voluta?
Tre secoli di assenza di un genere letterario come la narrativa fantastica, era un fatto molto sospetto, e così ancora una volta a marcia indietro, partendo dal Settecento e da Venezia sono arrivata al 1516 anno della edizione latina dell’Utopia di Thomas More e al 1548 anno della prima traduzione italiana a cura del Doni, edita a Venezia, che era allora l’officina del romanzo.
Vorrei ora farvi osservare alcune fatti legati a queste due date.
Notate che More, scrive l’Utopia nel 1516 un anno prima che Lutero esponesse le sue 95 tesi di “protesta” contro la Chiesa di Roma. Il Cancelliere Inglese cattolico, uomo politico di prima grandezza, anticipa con un gesto di fedeltà verso la Chiesa di Roma un futuro imminente. La Chiesa di Roma doveva cambiare (questo era evidente a tutti a partire da Dante due secoli prima) ma non era necessario mettere i cristiani gli uni contro gli altri con una guerra che durerà trent’anni portando distruzione e morte in tutta Europa. Con l’Utopia, More propone un mondo diverso, all’incontrario, dunque fondato sulla pace, e si rivolge a lettori europei del Nord, alla vigilia di una crisi che si stava preparando da tempo, e che avrebbe sconvolto tutti gli equilibri europei.
Il successo del suo libro fu rapidissimo e l’Utopia divenne un manifesto politico di un valore incalcolabile, ancora più carico di emozioni dopo la decapitazione di More (1535), ordinata dal Re, un delitto di stato di cui l’Inghilterra ancor oggi porta il peso.
Laura Schram Pighi