Sartori Angelo (Angelin)
…a cura di Graziano M. Cobelli
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Il cui ricordo rimane vivo dopo tanti anni dalla sua scomparsa, per la sua schiettezza e impegno di vita coerente.
Nato a Verona il 15 febbraio 1905 e morto il 18 ottobre 1982.
Ebbe ricchezza di affetti famigliari.
Professò l’avvocatura per una gran parte della vita. Conosciuto e apprezzato da moltissime persone, non solo veronesi sia per le sue doti professionali, sia per la grande umanità, che comunicava con quello spirito frizzante che caratterizza tante delle sue composizioni.
Fu uno dei fondatori del “Cenacolo di Poesia Veronese” intitolato a Berto Barbarani che prese, il via nell’autunno del 1948 e del quale quest’anno ricorre il “Sessantaquattresimo di fondazione.
Angelin Sartori viene ricordato, come una figura che ha dato onore e lustro a Verona “Intingendo la toga nella poesia”, secondo le parole di Renato Gozzi che fu nel passato Presidente dell’Ordine degli Avvocati.
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El primo baso
Come ricordo, Nina, el primo baso
quel primo e grosso che se l’emo dà
quel giorno, in quel logheto ‘ndo, per caso,
soli… un minuto serimo restà…
Come ricordo e ricordando sento
i neri ocioni toi che i me fissava,
el cor che me bateva forte drento
fin che, senza parlar, col tuo el parlava…
Serimo lì, sospesi, zà da un poco,
quando che i labri, come calamite,
dopo de un par de ociade bele e… drite,
i s’ha tirado e… ciak, mama che cioco!…
l’è stado el primo, ma così ben dado
che mi no me l’ho più desmentegado!
IL PRIMO BACIO: Come ricordo, Nina, il primo bacio/quel primo e grosso che ci siamo dati/quel giorno, in quel localino dove, per caso,/soli…un minuto eravamo rimasti…//Come ricordo e ricordando sento/i neri occhini tuoi che mi fissavano,/il cuore che mi batteva forte dentro/finché, senza parlare, con il tuo parlava…//Eravamo lì, sospesi, già da un po’,/quando le labbra, come calamite,/dopo un paio d’occhiate belle e…dritte,/si sono attirate e…ciak, mamma che schiocco!…/è stato il primo, ma così ben dato/che io non l’ho più dimenticato.
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Almanco un boto
O vecio campanil de la me Cesa
mi g’ho par Ti na gran riconossensa
par quel che sento drento a la cossiensa
quando le To campane le botesa…
Ho fato, mi con Ti, na bela intesa
e così, se g’ho l’anima in pendensa
parché ‘1 diaoleto el pensa a quel ch’el pensa,
la To vosse la tol la me difesa…
Coi oci grandi, là, alto nel vento,
Ti te me vedi ben mi qua de soto
e alora, semo intesi, stàme atento,
e se ‘ndasesse storto o sabaloto,
ciapa le To campane e daghe drento
in modo che me riva… almanco un boto…!
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