Barbato Paola – “Non ti faccio niente”
…a cura di Elisa Zoppei
Per le tue domande scrivi a >>> elisa.zoppei@gmail.com
Carissimi amici lettori, per la ripresa post estiva del nostro ilcondominionews, vi presento un romanzo che ha esercitato una forte attrattiva su di me, quando, per caso, ne ho sentito parlare su fb, popolare piazza di incontri e scambi di opinione, da Matteo Bussola il famoso papà, autore di “Notti insonni e baci a colazione” già da me recensito mesi fa in questo Angolo della Lettura. Mi ha colpito il titolo “Non ti faccio niente” suscitandomi istintivamente sensazioni ataviche che si ricucivano a un’infanzia a rischio, e trascinata dalla curiosità, l’ho affrontato con una lettura serrata, resa non facile dall’intrico della trama, arrotolata e srotolata intorno a uno stormo di storie allucinanti, filtrate da una lucida composizione dei fatti come si addice a una maestra esperta di scrittura noir come Paola Barbato. Il Bussola giura che è un romanzo che ti prende dalla prima pagina e non ti molla più, che ti emoziona, ti rivolta, ti getta a terra e ti lascia senza fiato, poi sul più bello ti solleva come una carezza. Ma sappiamo che il Bussola potrebbe essere di parte essendo anche il compagno di Paola Barbato, padre delle sue tre bambine. Però sappiamo anche che è una delle sceneggiatrici di punta di Dylan Dog e autrice affermata di romanzi di singolare patina noir accolti dalla critica e dal pubblico con clamoroso successo. È davvero una romanzo importante non solo per come è scritto, la Barbato sa il fatto suo ed è brava sul serio, ma è anche una storia che fa meditare sulle conseguenze di una mancata sollecitudine verso i bisogni dei propri figli quando sono piccoli e indifesi, facili prede di gente malintenzionata. Ma come si fa a dimenticare la propria bambina ferma per ore sul cancello della scuola ad aspettare la propria madre snaturata??? Guarda, se la incontro la faccio nera. E non solo a parole.
Note Biografiche
Troviamo le principali notizie dell’autrice visitando il suo sito (www.paolabarbato.it)
Nata a Milano il 18 giugno 1971 da mamma pubblicitaria e papà idrobiologo, a partire dal primo anno di vita i suoi genitori si stabilirono a Desenzano del Garda, per cui dice di sentirsi “fieramente bresciana”. Ricorda di aver scritto e disegnato fin da piccola, creando appena undicenne, i suoi primissimi fumetti. La predisposizione innata a scrivere diari, racconti, lettere, comunicando esperienze, fantasie, emozioni, scoperte, inventando storie e testi teatrali, si trasformò quasi naturalmente in lavoro quando, su consiglio di una signora che aveva letto i suoi scritti, pensò di presentarli a varie case editrici. E così fece. A 26 anni andò a bussare alle porte di innumerevoli case editrici consegnando i suoi dattiloscritti e per non lasciare nulla di intentato si presentò anche alla portineria della redazione di Sergio Bonelli editore di Dylan Dog, eroe degli albi a fumetti horror creato da Tiziano Sclavi, di cui era appassionata lettrice. Nel giro di qualche mese fu assunta come sceneggiatrice. Nel 1999 entrò stabilmente nello staff redazionale, creò un suo blog, conobbe il futuro padre delle sue figlie ed ebbe modo di allargare la rete di relazioni nel campo dell’editoria entrando in contatto con la Rizzoli. Di cosa in cosa nel 2006 venne pubblicato il suo primo romanzo “Bilico”, seguito nel 2008 da “Mani Nude” (che vinse il Premio Scerbanenco di quell’anno) e “Il filo rosso” nel 2010. Come esperta di noir ebbe incarichi di sceneggiature di fiction televisive, approdando infine nel 2011 sul web con “DAVVERO”, storie a fumetti online per ragazzine in stile shojomang, conosciuto da un numero stratosferico di visitatori.
Paola Barbato da parecchi anni vive a Verona con il compagno, tre figlie e tre cani, si guadagna il pane e il resto scrivendo e nel mese di settembre 2016 ha pubblicato sulla piattaforma digitale Wattpad, (sito preposto per leggere e condividere storie), il romanzo “Non ti faccio niente”, riscuotendo grande successo tra gli utenti.
Nel farsi di un romanzo Wattpad consente all’autore, un’esperienza di rapporto con il pubblico che di norma gli viene preclusa. L’autrice mi ha confidato di aver scritto questo romanzo in progress, pubblicando quindi senza alcuna revisione le pagine man mano che le scriveva. Pertanto molte persone hanno partecipato a questa stesura non solo con le proprie reazioni emotive e con le proprie opinioni, ma anche segnalando a margine del testo tutte le imprecisioni dovute alla sua scelta di andare avanti e non rileggere. Mentre generalmente l’apporto del pubblico avviene a opera conclusa, per cui la distanza tra il momento creativo dell’autore e la fruizione del lettore è grande, qui questa distanza si è accorciata, rendendo l’autrice consapevole di cosa colpisse maggiormente il pubblico, cosa lo sconcertasse, cosa lo fuorviasse. Paola afferma che è stata per lei un’esperienza particolarmente felice che le ha regalato degli strumenti unici per giocare a inventare insieme ai lettori.
Mi azzarderei a dire che, differenze a parte, “Non ti faccio niente” è nato come romanzo a puntate, come un tempo era la via percorsa da molti grandi romanzi d’appendice prima di essere raccolti in un libro. Ha reso possibile l’approdo alla pubblicazione la prestigiosa casa editrice Piemme, facendolo uscire in tutte le librerie nel giugno del 2017. In questi pochi mesi la sua popolarità è arrivata alle stelle.
Riporto ciò che si legge sul risvolto della prima di copertina dove efficacemente si presenta la storia nei suoi due tempi di svolgimento: ieri e oggi:
“1983. L’uomo seduto nella macchina blu è nuovo di quelle parti, ma Remo non ha paura, non sa che cosa sia un estraneo. L’uomo ha tra le mani un passerotto caduto dal nido, almeno così dice, e chiede a Remo di aiutarlo a prendersene cura. Il bambino, sette anni passati quasi tutti per strada, che i genitori hanno altri pensieri, non esita neppure per un attimo. E sale. Tre giorni dopo viene restituito alla famiglia, illeso nel corpo e nell’anima; racconta di un uomo biondo, bellissimo, che lo ha riempito di regali e che ha giocato con lui, come nessun adulto aveva mai fatto. Non è la prima volta che succede e non sarà l’ultima. Trentadue bambini in sedici anni. Tutti tenuti per tre giorni da un uomo che cerca di realizzare i loro desideri e li restituisce alla famiglia, felici. Quando la polizia comincia a collegare i rapimenti lampo, l’uomo scompare.
2015. Il padre di Greta non è mai arrivato una sola volta in ritardo a prenderla. Ma lo sgomento negli occhi della maestra gli fa capire che qualcosa non va, perché Greta a scuola non è mai entrata. Scompare così, la figlia di Remo Polimanti, come lui era scomparso trent’anni prima. Anche lei viene subito restituita alla famiglia, ma priva di vita. Greta non è che la tappa iniziale di una scia di sangue che collega i figli dei bambini rapiti anni prima. Ma perché il rapitore “buono” si è trasformato in un assassino? O forse c’è qualcuno che intende emularlo. O sfidarlo. O punirlo.
In un’inquietante e tormentata danza di ombre e luci, Paola Barbato ci conduce fin dentro le nostre paure più grandi, facendo sanguinare ferite mai guarite” (www.edizionipiemme.it)
Non mi pare il caso che io mi inoltri di più nella storia dove Vincenzo, il protagonista, uomo buono, pacifico generoso, ha rapito trentadue bambini, senza che nessuno lo abbia mai scoperto. Li ha portati con sé per qualche giorno, li ha fatti giocare, li ha coccolati, li ha fatti divertire lasciando in ciascuno di loro la gioia di aver ricevuto qualcosa di bello di speciale da una persona adulta. Contestualmente ha scombussolato il tran tran familiare, seminando ansia, disperazione e panico fra genitori, polizia, amici e parenti. Poi li ha restituiti alla loro vita normale accolti da mamma e papà fra lacrime di commozione, baci e abbracci, garantendogli modi più appaganti e felici di stare in famiglia.
Addentrandoci piano piano nella storia, passiamo attraverso atmosfere di normale routine, nulla che faccia presagire il dramma che si sta preparando. Le cose capitano: un padre trova la sua bambina morta sdraiata sulla scrivania del suo studio: chi l’ha uccisa? Un bambino si butta o viene buttato da un balcone. Un uomo con problemi di relazione, con l’aria inoffensiva si interroga: “sono un uomo sbagliato?” E nella sua memoria sfilano nomi e nomi di bambini…
Il lettore si interroga: Perché Vincenzo fa questo? Cosa lo spinge a impegnare le sue energie, prima per individuare e poi occuparsi delle sue “vittime”? Quale scopo ha? Che cosa spera di ottenere? Che cosa c’entrano le paperelle? E l’assassino che volto ha? È lecito sospettare che sia lui l’assassino? Ha dei complici? E se non è lui chi sarà?
Per arrivare alla luce dei fatti bisogna affrontare un intreccio intricato di inquietudini, pieno di interrogativi, risposte date goccia a goccia, che tengono continuamente sulle spine. Dobbiamo seguire piste sulla sabbia delle parole e delle paperelle, sempre da cambiare, un ritornare sui propri passi per trovare il bandolo della matassa e scoprire l’assassino… Potrebbe essere chiunque, ma lo si potrà scoprire solo verso alla fine.
Vincenzo ci ricorda un po’ il Mago di Oz, altalenante fra buono o cattivo agli occhi del lettore, ma un vero mago delle favole quando appare a quei bambini attentamente “messi a fuoco” con una meticolosa ricerca sulla loro condizione di vita: tutti con genitori troppo impegnati, disattenti e scarsamente solleciti alle cure dei piccoli.
La cosa più bella di Vincenzo? Una donna di carattere, che lo rassicura di tutte le sue incertezze e paure: la Nives, che lo ama come ogni uomo vorrebbe essere amato. Grande la Nives!
In un continuo andirivieni di tensioni, suspense, accadimenti strani e terribili, il romanzo prende il corpo di uno dei thriller più complicati, incalzanti, tremendi e ricchi di risvolti e sorprese, che possa capitarvi tra le mani.
Condivido il giudizio di Beatrice De Carli che, in www.gliamantideilibri.it, testata online sul mondo editoriale, scrive: “Non ti faccio niente” è bello, avvincente, forte di una forza che non fa male perché l’incredibile delicatezza di Paola Barbato le rende possibile parlare di bambini e violenza senza indulgere nel brutto e senza suscitare fastidio nel lettore.
Personalmente sono convinta che anche senza tante gratuite parole, più volgari che gergali, in bocca a personaggi femminili e maschili, per carità sicuramente mirate a caratterizzarne la fisicità etico-circostanziale, insieme a tanti vaffa, la storia funzionerebbe alla grande lo stesso.
Buona lettura!
Elisa