Bellezza Dario
…a cura di Graziano M. Cobelli
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Lacrima amoris
Come si fa a resistere alle lacrime?
Sono radioattive ormai come il cuore
dopo Chernobyl: oggi non piange più nessuno:
neppure i morti sono pianti, anche se la Signora
Eccelsa di nome Morte non piange. Ma io
alle lacrime non so rinunciare, alle lacrime
piante per finta o per davvero condite
di perfidi pulviscoli non so rinunciare.
Le calde lacrime che su gote amate
scendono piano o silenziose
come una mano le scalda un’altra
le butta via. Lacrime leccate, invano
succhiate che resistono alla vita,
si spargono in lacrime purulente
come lacrime venute a pioggia
da un mondo lontano e infetto.
Si piange, e chi piange nell’attesa
non può vincere il pianto. L’Intrattabile
è morto: radiazioni illacrimate
lo spensero nel diluvio della pioggia:
io non piango un pianto contaminato,
né posso raccogliere il tuo pianto
radioattivo che scende, sì, gote amate
ormai avvelenate, baciate su dita
aride e consunte, contate avido
di essere vicino alla contaminazione
finale, o Chernobvyl di morte
più mortale di un cuore desolato
e assente.
***
Dio mi moriva sul mare
azzurro, sul suo pattino dove
mi aveva invitato ad andare.
Ma fu la gelosia, la normalità
dei ragazzi a spingermi a rifiutare,
ad alzare le spalle alle battute
salaci.
L’odore del mare riempiva
le navi e tu cantavi negli occhi
ridarella di vittoria.
***
Se un poeta, io, regalo al cupo silenzio
della notte metà del tempo che m’incalza
ostinato inquisitore di un corpo
sbalordito dall’abitudine, decomposto,
in ansia perpetua di non lasciare traccia
di sé nei corpi altrui o stampo caldo
nelle fresche leggere menti adolescenti
né la Storia, l’ordalia infernale
dei tiranni assetati di sangue e morte
non considero, ne viene anzi, rabbia,
sgomento, urlo lontano nella gola secca,
pianto sommesso o gridato, abbiate pietà!,
vi scongiuro, trattenete l’angoscia che sale
alle mie stanze, feritela, fate qualcosa!
grida la mia voce isterica e arrotata
dallo snobismo clientelare con il Diavolo;
ne viene tutto come meta finale un nulla,
un ghiacciato nulla senza escrementi
o virtù viziosa di drogato. Talché scrivo
in privato, di nascosto, che nessuno sappia,
per carità, madre di un attimo, amante
passeggero dentro un treno o una fratta,
scrivo un testamento o calendario, a seconda
dei temi giornalieri destinati dal Caso,
non umili o meschini o facili o malati
ma sempre datati come ogni cosa deriva
dall’anno il suo profumo e la menzogna,
spera di trovare l’occaso salutare
fuori di qui, terra bruciata, di nessuno
di là dal mondo certo e pellegrino.
Fuori di me
Alla follia, non badate, datemi retta!
Pensate piuttosto ai nuovi ritmi in cui
immergere la vostra vita perduta dietro
l’apparenza delle cose. Cercate l’immortalità,
l’eterna questione del mare splendente
dentro il sole di giugno che diventa nero
a notte e scompare nelle tenebre. Io
dimenticato relitto di una civiltà
passata sono il solo che piango i defunti
miraggi di un’età morta e ancora
coprendomi di ridicolo scrivo lettere
d’amore a traditi amori di un’epoca trascorsa,
la giovinezza, e ricordo lo studente
che piegava la sua retta immagine
a misurare l’angolo della sua carnale diversità,
a versare nel seno asciutto di una madre
occasionale la solitudine futura dei suoi
giorni tutti uguali. Lasciatevi andare
verso il mare della vita! Assaporatene
la musica sbiadita, e trionfatore sarà
solo il Tempo e il suo nero oltraggio, la Morte!
Mentre io ancora scriverò che il poeta
chiude in stremate parole il suo cervello
mirando il muro in alto della sua stanza
e le poesie scivoleranno via, senza pietà,
e nessun Dio le registra, incarnandosi
per un attimo.
Il ritmo non sa di mirtillo acerbo
e piegarsi sulla bianca pagina di un diario
il meglio dell’ispirazione fa in un fiato
dileguare.
Chiamatemi così: pazzo, deserto testimone
di un deserto da percorrere in una torrida
estate, senza acqua raccolta nella gobba
di un domestico dromedario, e la mia poesia
definitela con crudeltà e livore come lubrica,
oscena, interessata e manigolda consigliera
di sventura o furto di anime giovanili
in cerca di nuove reincarnazioni.
Sappiate però che brucio di gioia, di allegria
feroce dentro la mia casa buia, prigioniero
di calamitose idee, slabbrando la mia merda
in privata visione senza lo scempio
di immagini e talenti altrui. Sono un genio
geniale che la vita spassa da un dolore all’altro,
teatrale, senza ferite apparenti che non siano
d’amore, piaghe purulente lasciate da una donna
fatale che nessuno conosce. Slabbro la mia
merda in privata visione: ghirigori
collettivi e birbanti. Muratemi
in una galera con la bibbia e i santi.
***
M’impaura la mia incerta voce
che certo smania il suo tono
implacabile di verità. Una voce
sottile, smagata che corrode
l’anima mia nera di peccati…
Poesie da: www.avampostopoesia.com
Foto da: www.istitutoeuroarabo.it
Biografia da: Wikipedia