Blixen Karen – “La mia Africa”
…a cura di Elisa Zoppei
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Carissimi amici lettori, permettetemi che ripeta un’altra volta che in questo Angolo della Lettura mi piace presentare quei libri che sono cari ai miei occhi e al mio cuore. Quello che ho scelto per questo mese è La mia Africa di Karen Blixen, un libro che ho assaporato dalla prima all’ultima riga, che torno a rileggerlo continuamente, che mi ha fatto amare l’Africa perché l’ho potuta guardare attraverso gli occhi pieni di stupore innamorato dell’autrice: amore struggente e romantico per il paesaggio africano, amore solidale e rispettoso per la gente africana, per i suoi costumi, le sue tradizioni, il suo modo di concepire il mondo. Ho capito che cosa voglia dire il mal d’africa, quel sentimento ardente e forte che ti lega alle sue foreste, alle sue montagne, alle sue savane, ai suoi tramonti, alle sue notti stellate.
Note biografiche
Karen Blixen, il cui vero nome era Karen Christence Dinesen, nasce il 17 aprile 1885 a Rungstedlund, in Danimarca. Muore a Copenaghen il 7 settembre 1962.
Figlia di un proprietario terriero che partecipava alla vita politica del Paese visse per lungo tempo nella residenza di campagna che il padre prima acquistò e in seguito restaurò a sue spese. Durante i primi anni della sua vita, Karen crebbe negli agi della sua bella residenza di campagna a Rungsted a una trentina di chilometri da Copenaghen con la madre Ingeborg Westenholz, e il padre Wilhelm Dinesen, a cui era molto affezionata, e che si suicidò quando lei aveva solo dieci anni, aveva due fratelli, Thomas e Anders e due sorelle… Oltre alla placida routine della campagna danese Karen conobbe, almeno per la prima parte della sua vita, gli agi, i pettegolezzi e le mollezze degli ambienti “upperclass” della vicina e moderna Copenaghen. Ragazza dal carattere estroverso e romantico, Karen non era bella ma possedeva quello che si chiama carisma, e la dote straordinaria di piacere alla gente. Frequenta dal 1903 al 1906 l’Accademia delle Belle Arti di Copenaghen, di Parigi (1910) e di altre città d’Europa. Nel 1907 scrive i suoi primi racconti sotto lo pseudonimo di Osceola, con il titolo Gli eremiti e L’aratore, mentre è del 1909 La famiglia de Cats. Nel 1912 visita anche Roma durante un viaggio col fratello Thomas. Nel 1913 si fidanza con il cugino svedese, il barone Bror von Blixen-Finecke, e insieme a lui decide di partire per l’Africa con l’idea di acquistarvi una fattoria. Si sposano a Mombasa nel 1914 e si trasferiscono in una grande piantagione nei pressi di Nairobi. Purtroppo l’iniziale idillio dopo qualche anno va in pezzi. Quella che sembrava una grande storia d’amore coronata da interessi e passioni comuni si rivela in realtà una prigione difficile da sopportare. Il 1921 è l’anno del doloroso divorzio. Bror lascia l’Africa mentre Karen continua a vivere nella piantagione di caffè, ormai sua ragione di vita, facendola crescere e dirigendola con intelligenza e tenacia per ben diciassette anni. Ma anche questa laboriosa routine sarà destinata a terminare.
L’improvvisa crisi sopravviene nel 1931 quando crolla il mercato del caffè e Karen Blixen si trova costretta a chiudere l’attività della piantagione dopo alcuni anni di stentata sopravvivenza. A questo punto ragioni economiche più che sentimentali la costringono a lasciare l’Africa e a tornare alla casa di famiglia, dove si dedica con intensità alla scrittura. Fra le molteplici storie che scrive una in particolare è destinata a rievocare i suoi anni africani: una sorta di diario intimo che diventerà il suo capolavoro, intitolato appunto “La mia Africa”, che, venuto alla luce nel 1937, sarà celeberrimo in tutto il mondo.
La prima pubblicazione che però la vede affermarsi sul mercato librario è “Sette storie gotiche”, edito in Inghilterra e in America nel 1934. Malgrado la bruciante nostalgia per il Kenya, nostalgia che ha tutti i caratteri di quel vero e proprio “mal d’Africa”, su accennato, la scrittrice passerà il resto dei suoi giorni in Danimarca, peraltro afflitta da una salute malferma e vacillante, forse attribuibile secondo alcune ricostruzioni, ad una malattia venerea mal curata che avrebbe contratto dal marito durante il primo anno di matrimonio. Gli ultimi anni dunque sono particolarmente tristi e delicati. Minata dall’inesorabile malattia che non le lascia un attimo di tregua, trascorre lunghi periodi in ospedale, talvolta impossibilitata addirittura a scrivere o ad assumere la posizione seduta. Per dare corpo alla sua creatività si affida alla segretaria, depositaria fedele e trascrittrice attenta delle sue dettature. La fine arriva il 7 settembre 1962, quando Karen Blixen ha da poco superato i settantasette anni.
Opere di Karen Blixen:
La mia Africa – (Feltrinelli)
Capricci del destino – (Feltrinelli)
Il pranzo di Babette – (Einaudi)
Sette storie gotiche – (Adelphi)
Dal romanzo La mia Africa è stato tratto nel 1985 l’omonimo film diretto da Sydney Pollack, vincitore di sette premi Oscar.
Dal racconto Il pranzo di Babette, contenuto nella raccolta “Capricci del destino”, è stato tratto nel 1987 l’omonimo film, vincitore dell’Oscar al miglior film straniero.
Foto della copertina: La foto, come si vede, non è quella dell’edizione originale del libro, bensì quella del film interpretato da Meryl Streep e Robert Redford.
Incipit
“In Africa avevo una fattoria ai piedi degli altipiani del Ngong. A un centocinquanta chilometri più a nord su quegli altipiani passava l’equatore; eravamo a milleottocento metri sul livello del mare. Di giorno si sentiva di essere in alto, vicino al sole, ma i mattini, come la sera, erano limpidi e calmi, e di notte faceva freddo. La posizione geografica e l’altezza contribuivano a creare un paesaggio unico al mondo. Nulla che fosse grasso e lussureggiante: era un’Africa distillata lungo tutti i suoi milleottocento metri di altitudine, quasi l’essenza forte e raffinata di un continente.”
Pubblicato in Italia nel 1959 da Feltrinelli, il romanzo ripercorre gli anni in cui la Blixen visse in una fattoria in Kenia (1914-1931) insieme al marito, il barone Bror von Bkixen–Finecke. Il rapporto fra lei e il marito viene inizialmente descritto come una sorta di accordo economico sociale; la famiglia di Karen era infatti ricca mentre quella del barone poteva vantare un lignaggio aristocratico. Nonostante questo, ella sviluppa gradualmente un sentimento romantico nei confronti del marito.
La fattoria si trova alle pendici delle colline Ngong, nei pressi di Nairobi. L’attività principale della fattoria è la coltivazione di caffè; una parte del terreno, non coltivato, ospita una comunità di indigeni, principalmente di etnia Kikuyu che vivono presso la fattoria e lavorano nei campi. Nei dintorni ci sono altri indigeni, fra cui Masai e Somali.
Il barone si mostra più interessato alla caccia grossa che al buon andamento della fattoria, che rimane quasi completamente affidato alla moglie, che si occupa anche della popolazione locale gestendo una scuola serale e fornendo cure mediche.
Il romanzo riporta numerosi incidenti avvenuti durante la permanenza dell’autrice in Africa. Molti di questi episodi riguardano la vita degli indigeni, che lei impara gradualmente a conoscere e comprendere. Altri riguardano incontri con altri europei, fra i quali spicca la figura di Denis Finch Hatton, un cacciatore, con cui Karen vive una storia romantica con classe e riservatezza.
Il tema dominante dell’opera è il sentimento profondo che lega la Blixen all’Africa, alla popolazione locale, e alla natura. Il suo amore per il popolo Kikuyu viene raccontato anche attraverso la figura di Kamante, un ragazzo indigeno che ella cura e che diventa un suo braccio destro nella fattoria e soprattutto in cucina. Tanta è la passione di Kamante per questo lavoro che viene mandato a Nairobi per imparare nuovi piatti. Da quel momento i pranzi dalla baronessa diventano famosi presso tutta la colonia inglese per gli ottimi piatti i cibi raffinati. Karen scrive ancora che Kamante ricordava sempre i gusti degli ospiti della fattoria e di come il pesce al vino bianco fosse uno dei loro piatti preferiti. Il rapporto idilliaco con la natura africana è rappresentato da Lulu, un’antilope salvata da Karen e addomesticata, ma anche dalle sue avventure nei vari safari e dalle discussioni con i suoi indigeni, con suo marito e con Denys. Il racconto, imperniato sulla bellezza della natura africana, ci fa conoscere un’ Africa solare, dai grandi spazi tranquilli, e ci fa autenticamente cogliere gli aspetti positivi delle popolazioni locali, il loro modo di vivere e di interpretare la vita.
Vi affido alla lettura o rilettura di un libro bello e intenso, dove tra le righe l’autrice suggerisce che l’Africa è superiore all’Europa in quanto più pura e più vicina al mondo che Dio aveva preparato per gli uomini.
Elisa