Canetti Elias – “La lingua salvata. Storia di una giovinezza”
…a cura di Elisa Zoppei
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Cari amici lettori scelgo per voi un libro che ho molto amato e che mi è servito da testimonial nei miei molti incontri con genitori e nonni per parlare dell’importanza dell’educazione alla lettura in famiglia: La lingua salvata. Storia di una giovinezza. L’autore è il grande Elias Canetti (Premio Nobel per la Letteratura 1981), che in questo libro racconta la storia della prima parte della sua vita dall’infanzia alla giovinezza. Il protagonista è lui bambino che si innamora dei libri e della lettura perché vede i suoi genitori leggere, parlare di libri in salotto, prestarseli a vicenda, commentarli a tavola. Avete già capito che tra le pareti domestiche l’esempio dei grandi è la miccia più istantanea per accendere l’interesse dei bambini verso la lettura. Canetti ce lo testimonia. E non solo lui. È ad ogni modo una storia avvincente che conquista anche i lettori più esigenti.
Note biografiche
Elias Canetti nacque il 25 luglio 1905 a Rusçuk, (odierna Ruse) in Bulgaria, da una famiglia ebrea sefardita che in casa parlava lo spagnolo del XV° secolo dal momento che i suoi avi nel 1492 furono scacciati dalla Spagna e dovettero mutare in Canetti il cognome Cañete. Era il primo dei tre figli di Jacques Canetti, rinomato e facoltoso commerciante e di Mathilde Arditti, appartenente a una ricca famiglia ebrea sefardita, stabilitasi in Bulgaria, ma di origine italiana con antiche radici livornesi. Naturalmente la lingua d’infanzia del piccolo Elias era stato il ladino o il giudeospagnolo parlato normalmente in famiglia specie da parte della servitù, mentre i genitori usavano fra loro il tedesco, la lingua privata del loro amore di quando studiavano a Vienna. Il bambino aveva una particolare predisposizione alle lingue così apprese a parlare bene anche il bulgaro e a seguito del trasferimento paterno a Manchester nel 1911, ovviamente l’inglese. Un nuovo paese una nuova lingua, nuove abitudini e tante altre cose da conoscere trovarono un’accoglienza entusiastica da parte di Mathilde, che da donna colta e liberale quale era non vedeva l’ora di sottrarre il piccolo Elias all’influenza del prepotente nonno Canetti che lo voleva avviare alla scuola talmudica. Ma la loro permanenza in Inghilterra non durò molto. Nel 1912 la famiglia fu colpita dalla tragica improvvisa morte del padre e la vedova, afflitta da un dolore insopportabile, cercò di affrontare la perdita spostandosi con i tre figlioletti da un Paese all’altro in cerca di cose sempre nuove da scoprire: si fermò prima a Vienna e poi a Zurigo.
Gli anni tra il 1916 e il 1921 per il giovinetto Elias furono i più felici. La madre continuò da sola e con vigore la sua missione educativa, nonostante le crisi depressive che periodicamente la colpivano. Si intensificò fra loro un rapporto anche conflittuale per non dire ossessivo, che sfociò in una sorta di legame così stretto da sfiorare la dipendenza reciproca. La figura materna, nella quale Elias poneva una fiducia cieca, influì moltissimo sulla personalità in formazione del futuro scrittore. E continuò anche dopo le nozze con la poetessa scrittrice Veza di 8 anni maggiore (Venetiana Taubner-Calderon, 1897 – 1963) avvenute nel 1934, con la quale condivideva gli entusiasmi socialisti e la venerazione per Karl Kraus, ma non riuscì a esserle fedele perciò il loro matrimonio fallì e Veza morì suicida nel 1963.
Ad ogni modo negli anni giovanili Elias accanto alla madre ebbe modo di viaggiare e di intrecciare relazioni con importanti circoli intellettuali e personalità di spicco nel campo della letteratura. Ciò contribuì a formare il suo pensiero, ad affinare il suo spirito, ad aprirlo al mondo, rendendolo consapevole che il sapere era il mezzo sicuro per la conquista della libertà. Nel 1931 aveva 26 anni quando diede alle stampe il primo libro Autodafè, romanzo che sbalordì la scena letteraria e che, presago dei tempi che stavano avanzando, suonò come un campanello d’allarme: due anni dopo infatti Adolf Hitler sarebbe diventato cancelliere e dittatore del Reich e nel 1934 Führer della Germania. Il fuoco che invade le ultime pagine del libro in cui brucia il protagonista con tutta la sua biblioteca fu considerato una chiara, preoccupata quanto visionaria anticipazione allegorica del totalitarismo e la premonizione dell’autodistruzione della ragione occidentale. Nel 1938, dopo l’annessione dell’Austria alla Germania nazista per formare la ” Grande Germania”, Canetti si trasferì a Londra e vi rimase fino al 1971. Nel 1960 uscì un saggio di risonanza internazionale “Massa e potere”, centrato sulla psicologia del controllo sociale, molto affine ad alcune tematiche di Autodafé.
Nel 1971 tornò a vivere a Zurigo il “paradiso perduto” della sua adolescenza e sposò la museologa Hera Buschor, dalla quale ebbe l’anno seguente all’età di 67 anni una figlia, Johanna. Nel 1975 le Università di Manchester e di Monaco gli conferirono due lauree honoris causa.
Si dedicò anima e corpo alla composizione della sua straordinaria autobiografia ritenuto uno dei documenti più intensi del Novecento che, divisa in più volumi (“La lingua salvata”, “Il frutto del fuoco” e “Il gioco degli occhi”) uscì fra il 1977 e il 1985, consacrandolo definitivamente come una delle voci più alte della letteratura di ogni tempo. I giurati di Stoccolma se ne erano già resi conto e nel 1981 gli avevano assegnato il più che meritato premio Nobel per la letteratura. Ricevendo il premio, nel discorso di ringraziamento, egli indicò come suo territorio di elezione l’Europa e confessò apertamente che la passione per la lettura, e l’amore per i grandi autori della letteratura europea avevano avuto un’influenza determinante sulla sua opera.
Morì a Zurigo il 14 agosto 1994, dove fu sepolto nel cimitero accanto a James Joice (1882-1941)
Cittadino del mondo intellettuale europeo, scrittore di vocazione precoce e romanziere dalla vena inesauribile, Canetti, ha arricchito l’umanità con opere di straordinaria potenza narrativa.
Scritto in lingua tedesca per onorare la lingua che sua madre gli aveva insegnato per amore della Vienna imperiale, centro della cultura europea, il libro, il primo della sua trilogia autobiografica, uscì nel 1977, seguito dagli altri due romanzi Il frutto del fuoco (1982) e Il gioco degli occhi (1985). Giunse in Italia nel 1980 pubblicato da gli Adelphi e mi capitò tra le mani solo alla sua quarta edizione nel 1995. Riporto qui in sintesi le riflessioni che a suo tempo ho pubblicato sul mio testo Lettura amore mio. Navigando nel mare dei libri (ed. Il segno dei Gabrielli, 2006-2007-2008)
Allora, a libro chiuso, il titolo La lingua salvata, mi fece pensare a un saggio di storia della lingua: qualche dialetto, forma linguistica, sostrato di lingue comuni, salvati dall’oblio causato dal disuso. Quello che succedeva in alcuni comuni dell’Est veronese, dove gruppi di amatori e di studiosi tenevano e tengono in vita la lingua cimbra, parlata un tempo sui monti e nelle vallate della Lessinia. Ma non era così. La lingua salvata faceva parte dei primi ricordi del protagonista che, quando ogni mattina usciva di casa in braccio alla sua bambinaia, si sentiva dire da un vicino armato di un coltellino a serramanico: – Mostrami la lingua che te la taglio -. Non era mai successo e il piccino ritirava la sua linguetta ancora intera. Però l’impressione e la paura di perdere la lingua lo accompagnarono per molti anni.
Nel rileggere oggi questa storia ripenso alla mia teoria sui gradi dell’amore per la lettura: la prima volta che leggo un bel libro, lo divoro, la seconda lo gusto, la terza lo amo. Questo in particolare lo trovo ogni volta più bello, più nuovo, sorprendente, ricco di storie, raccontate in maniera colloquiale, come fossero rivolte, non a un lettore qualsiasi, ma proprio a me in confidente intimità. L’opera di Canetti mi si è rivelata da subito una testimonianza esemplare del suo amore per i libri fin dalla primissima infanzia, perciò lo prenderei come modello esemplare di come si può alimentare nei bambini il gusto per la lettura. Egli racconta di sé bambino e giovinetto con la lucida memoria di chi è vissuto con gli occhi sgranati sul mondo a coglierne i significati più riposti. Ritroviamo nelle sue pagine la freschezza intatta delle prime scoperte, delle esperienze quotidiane, dei primi risvegli, dei vincoli familiari, del suo esclusivo e conflittuale, ma assolutamente unico, legame con la madre: è lei a schiudergli tutte le porte dell’intelletto. Si profila così molto nitido un itinerario di formazione dove a interagire come principali soggetti del rapporto educativo sono i genitori nella veste di adulti che impartiscono l’educazione, e il bambino che la riceve con consapevole partecipazione.
Questo libro è perciò la storia emblematica di un bambino che in una stimolante atmosfera di libri e letture, amorevolmente accompagnati dal vigile e solerte interessamento del babbo e della mamma (prima insieme, poi la mamma da sola), cresce e matura fino a rendersi consapevole che la sete del sapere rode l’uomo più della sete fisica.
Qualcuno afferma che il viaggio di Canetti dentro se stesso è di una bellezza suprema. Egli ha ordinato con grazia, ricchezza ed eleganza ogni momento delle tappe della sua vita fissandone le voci, gli odori, i sapori, le feste, le musiche, le tantissime storie. Ci accompagna all’interno delle lussuose abitazioni della sua grande e facoltosa famiglia ebrea, in costante gara con la vita intellettuale delle capitali europee, presente alle conferenze londinesi, nei salotti d’elite a Vienna, nei concerti e nelle letture pubbliche a Zurigo. Colpisce la grandiosità del panorama che fa da sfondo alle vicende personali dell’autore rappresentata in un colossale monumento alla cultura, alla raffinatezza aristocratica della gente ebrea sefardita, intrecciata fin nelle più intime fibre con gli ebrei sparsi nel mondo, assolutamente superiori a ogni minaccia di discriminazione. Ne emerge un Canetti che fin da piccolo sa vedere, capire e pensare in proprio, consapevole di essere lui dopo la morte del padre, l’uomo di casa, che deve prendersi cura della sua amatissima madre. Molte pagine sono dedicate a narrare questo importantissimo rapporto con essa, donna coltissima forte e fiera. Non sono poche le battibeccate per tenerle testa, ma riesce bene a spuntarla, fino a distoglierla dall’idea di risposarsi dietro pressioni del parentame.
Ma anche la figura paterna in questo libro emerge fulgida e bellissima: un papà vivace allegro che sa inventare giochi e scherzi sempre nuovi. Prima di andare in ufficio va nella stanza dei suoi bambini per salutarli e a ciascuno dice qualche frase speciale, oppure giocando con le parole insegna loro a parlare, ad aver confidenza con le lingue straniere. Poi arriva il momento in cui questo meraviglioso papà inizia un dialogo importante con Elias, quando nel primo giorno di scuola gli regala un libro di fiabe, e gliene legge una a voce alta, spronandolo a farlo anche lui al più presto. In questo atto di lettura, amici miei, c’è quell’Atto d’Amore senza del quale ogni iniziazione alla lettura correrebbe il rischio di fallire. Averlo prematuramente perso instillerà nello scrittore un’ avversione indelebile contro la morte in tutti i suoi sensi e le sue definizioni.
Più avanti nel terzo romanzo, Canetti, ci confiderà che la passione di leggere ad alta voce lo aveva soggiogato e che gli piaceva esibirsi leggendo le sue opere davanti a un pubblico.
Questa ulteriore sua testimonianza aggiunge non poco valore a quella di altri oscuri lettori, confusi nella massa, che in questi ultimi anni sperimentano instancabilmente, nelle famiglie, negli ospedali, nelle scuole, nelle biblioteche, nelle case di riposo per anziani, quanto sia esaltante l’esperienza di leggere ad alta voce per qualcuno.
E lupus in fabula: Buona lettura a tutti.
Elisa Zoppei