Perucci Carlo

… a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

Per le tue domande scrivi a:  giancarlovolpato@libero.it
Carlo Perucci

Pedagogista, resistente, sindacalista, Carlo Perucci nacque a Città di Castello, in provincia di Perugia, il 7 maggio 1914. Visse sempre a Verona sin dall’infanzia. Si laureò a Padova in Lettere nel 1936 con una tesi su Luigi Pirandello che, poco prima della morte, gli scrisse una lettera di congratulazioni per il lavoro svolto. Iniziò ad insegnare al Liceo Maffei, dove aveva studiato e, nel frattempo, s’iscrisse a filosofia. Fu grande amico di Mons. Giuseppe Zamboni (v. questo Sito). Divenne presidente della Gioventù Cattolica veronese dirigendo con forza e vivacità il settimanale “Idea giovanile”, finché, per “moventi puramente politici” antifascisti, (egli era fieramente intransigente) fu trasferito ad insegnare ad Arpino (Frosinone). Partecipò alla seconda guerra mondiale come ufficiale di fanteria e fu decorato di medaglia d’argento al valore militare per un’impresa rischiosissima che entrò nella storia delle attività più importanti e meno conosciute. La descrisse, con nome di battaglia di “Eugenio”, in quindici puntate, tra 1946 e 1947 nel giornale dei “Liberi lavoratori” intitolato Civiltà: dalla partenza in Croazia all’arrivo della capitale del Regno del Sud, Brindisi, e poi ritorno al nord con un sommergibile, fino allo sbarco, nell’ultimo giorno di novembre 1943, alle foci del Po e l’inizio della missione vera e propria nelle campagne della bassa veronese.
Partecipò alla Resistenza (nomi di battaglia “Professore” all’inizio, poi “Eugenio” e, più raramente, “Mario”) a far tempo dal 26 novembre 1943, data della partenza del sommergibile Nichelio dalla base di Brindisi; nella notte dell’approdo alle foci del Po gli uomini della Missione Militare Rye e delle altre due missioni sbarcate in quell’occasione furono arrestati: alla cattura sfuggirono solo Perucci e il suo aiutante Bruno Avigo, che si erano allontanati. Senza radio né altri collegamenti, la situazione si presentava alquanto difficile. Tuttavia, la missione affidata al veronese era di carattere puramente informativo; egli si occupò d’individuare e segnalare al colonnello che comandava la Resistenza, le bande di patrioti che si erano venute formando in Lessinia, sul Baldo e in alcune zone del Trentino.
In maniera del tutto autonoma – non coordinata, quindi, con i comandi della Resistenza – Perucci diede vita ad un esercito di liberazione nazionale sostenendo che tale attività era diretta dal comando supremo di Brindisi. Inoltre – e anche in questo vi sono state diverse identità di vedute – egli proponeva una linea “attendista” che consisteva nell’organizzare i resistenti “a domicilio”, nell’evitare azioni di guerriglia e nell’attendere il momento dell’insurrezione finale allorquando gli alleati avessero dichiarato giunto il momento. La posizione “attendista”, era la condotta della Missione Rye e della divisione Avesani – guidata da Romano Marchi (v. in Bibliografia) – sostanzialmente diversa dall’altro Comitato di liberazione.
Infatti, i due Cln (Comitati di liberazione nazionale) che erano nati nella provincia di Verona, in linea con quanto si veniva facendo in tutta l’alta Italia, vedevano nella lotta partigiana l’unica arma che permetteva, da un lato, di mostrare al mondo che una parte di italiani si erano schierati attivamente contro il fascismo e, dall’altra, di compiere una serie di azioni che, lungi dall’impensierire il nemico, ne minavano però la sicurezza e contribuivano a sgomberare la strada all’avanzata alleata. L’antinazismo e l’antifascismo di Perucci apparvero sempre molto chiari, mentre sulla sua figura pesò sempre la sua non espressa idea antimonarchica.
La questione si concluse con l’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri Ivanoe Bonomi che riuscì a mettere d’accordo quanto si era venuto facendo nel Veronese e quanto avevano concluso i Comitati di liberazione. Si giunse, così, al dicembre 1944-gennaio 1945: ma Perucci non era ancora riuscito a consegnare tutte le informazioni richieste.
Finita la guerra, dopo le deludenti esperienze dei “Liberi lavoratori” che a Verona si contrapposero alla Democrazia Cristiana, egli si trasferì temporaneamente a Roma per diventare co-segretario sindacale dell’UCIIM (Unione cattolica insegnanti medi italiani, fondata e voluta da Gesualdo Nosengo), si occupò di didattica, fu uno degli artefici della scuola media unica, scrisse opere di pedagogia.
Dopo il matrimonio (1951), diventò assistente di pedagogia all’Università Cattolica di Milano e alla fine degli anni ’60, passò ad insegnare all’ateneo di Brescia. Con l’avvio del Consorzio per la costituzione dell’Università a Verona, fu il primo docente di pedagogia dell’ateneo scaligero: qui teneva, alla fine degli anni Sessanta (esattamente 1969), un incarico.
In questo periodo scrisse le sue opere migliori occupandosi di pedagogia sociale, dei rapporti tra famiglia e scuola, dei problemi educativi e organizzativi dell’istituzione scolastica, del cosiddetto “pentagono educativo” (termine da lui dato) costituito dalla comunità ecclesiale, dalla scuola, dall’associazionismo giovanile, dai mass media, dagli studenti; ricordiamo soltanto Problemi di pedagogia sociale: la famiglia, il sindacato del 1965 e, dedicato alla licenza media, allora problema assai rilevante, Il biennio a struttura unica articolata: scuola degli adolescenti, in due volumi del 1969 e 1971. Si occupò molto degli adolescenti, ma non trascurò l’educazione politica. Accolse, alcune con un certo fervore, le istanze del movimento del 1968 del quale cercò di cogliere quelle per lui positive e su cui pubblicò opere molto significative. La didattica fu al centro delle sue attenzioni pedagogiche.
Una morte rapida e precoce lo colse, il 17 ottobre 1975, a Brescia dov’egli aveva continuato ad insegnare in quell’ateneo – che era sede distaccata dell’Università Cattolica di Milano – senza mai lasciare, però, la sua città di residenza e quella Facoltà di Magistero veronese ch’egli aveva contribuito a fare crescere. Se ne andò quasi all’inizio dell’Anno Accademico (allora cominciava a novembre) e aveva terminato alcune importanti pubblicazioni che apparvero l’anno dopo a cura della moglie (L’educazione politica nel quadro dell’educazione permanente e Natura, ambito, metodo dell’educazione politica nella scuola).
Nel campo dell’insegnamento per la scuola media obbligatoria, Carlo Perucci godette e gode, tuttora, di un innegabile prestigio in ragione delle sue opere di carattere pedagogico innovativo.
A lui è stata intitolata la scuola media di Marzana (VR).
Per molto tempo, sulla sua figura pesarono alcuni interrogativi circa la vera attività “resistenziale”. Ma la limpidezza del suo comportamento – dopo la guerra – e la sua grande attività a favore della scuola, ne riabilitarono la persona e misero a tacere vecchi interrogativi, a volte rancorosi.

Bibliografia: Discretamente rilevante appare quella sull’attività nella Resistenza, meno attenta, invece, per quanto fece a favore della scuola: Franco Larocca, In memoria di Carlo Perucci, “Pedagogia e vita”, 37, 1975 (sett.-ott.), pp. 95-97; Luigi Schievano, Notizie sull’attività della missione militare Rye, in La tradotta arriva: le forze armate nella Resistenza e nella liberazione del Veneto, Venezia, Regione Veneto, 1978, pp. 90-94; Romano Marchi, La Resistenza nel Veronese: storia della divisione Avesani, Milano, Vangelista, 1978, pp. 47-51; Giovanni Cappelletti, I cattolici e la Resistenza nel Veronese, Giazza (Selva di Progno), Taucias Gareida, 1981; Luciano Corradini, Perucci Carlo, in Enciclopedia pedagogica, 5, Brescia, La Scuola, 1992, col. 8989-8992; Maurizio Zangarini, Storia della Resistenza veronese, Verona, Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, 2012; Emilio Butturini, Perucci Carlo, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G. F. Viviani, Verona 2006, pp. 638-640.

Giancarlo Volpato

↓