Chiarelli Renzo
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Storico dell’arte, sovrintendente ai beni artistici e storici, Renzo Chiarelli nacque a Verona il 14 giugno 1915. Figlio di Riccardo (Verona 1882-Firenze 1964), direttore didattico, scrittore, poeta, egli assorbì profondamente il clima culturale della famiglia e fondamentale gli fu la formazione veronese. Compì gli studi classici al Liceo-Ginnasio “S. Maffei”. Nel 1934, il padre fu trasferito a Firenze e il giovane Renzo si laureò nel capoluogo toscano nel 1938.
Lo scoppio della guerra lo fece andare a combattere in Libia dove rimase tra 1941 e 1943. Nel 1944 poté, finalmente, iniziare la sua carriera di funzionario presso la Sovrintendenza alle gallerie della città medicea. L’ambiente artistico di Firenze, stimolante e ricco di figure importanti della cultura e della critica d’arte, gli fece conoscere luminari del campo in cui penetrò profondamente; gli stretti contatti con Bernard Berenson, Roberto Longhi, Carlo Ludovico Ragghianti lo lanciarono nell’agone della storia e della critica d’arte in cui egli ebbe, poi, a primeggiare come uno studioso eccellente.
La funzione da lui ricoperta nell’ambito della Soprintendenza lo portò, innanzitutto, al recupero postbellico dei beni artistici, presiedendo alla ricostruzione dei centri storici e dei monumenti colpiti dalla guerra. Ricostruì vari centri museali, tra cui ebbe particolare attenzione per Vicchio nel Mugello, la patria di Giotto e del Beato Angelico, in provincia di Firenze e Gavinana in quel di Pistoia. Tuttavia, Renzo Chiarelli – anche per la sua natura quasi onnivora di opere d’arte – non lesinò affatto le sue prestazioni a chiunque avesse avuto bisogno.
Con una visione, certamente innovativa per l’epoca, egli selezionava aprioristicamente tutti coloro che fossero in grado di effettuare restauri scientificamente corretti e prescriveva bandi pubblici nazionali: in questo modo, a lavorare alle opere d’arte danneggiate o bisognose di restauri, a causa del tempo e dell’incuria, furono chiamati i migliori e i più bravi operatori che l’Italia di allora possedesse. In tutte queste cose – come sempre e come in ogni altro aspetto – Renzo Chiarelli non si lasciò mai andare e le prestazioni ch’egli ottenne furono davvero lungimiranti.
Si occupò di Palazzo Pitti e della galleria ivi raccolta; assunse la direzione del Museo degli argenti che fece ricatalogare. Quello della catalogazione delle opere e dei documenti fu, per lo studioso, il primo e inalienabile dovere: in qualsiasi luogo, dov’egli fu chiamato ad operare, obbligò i funzionari a lui sottoposti a prendere in mano – come un grande catalogo di biblioteca – l’insieme delle opere, con relativa descrizione e con qualsiasi altra notizia utile e necessaria.
All’inizio degli anni sessanta, divenne il direttore di tutti i musei e le gallerie di Stato di Firenze, ad eccezione degli Uffizi. L’alluvione dell’Arno nel 1966 lo trovò in prima linea e, ancora una volta, la sua attenzione fu a trecentosessanta gradi. Importanti e fondamentali furono i suoi interventi al Bargello, alla Galleria dell’Accademia, alle Cappelle Medicee, al Museo di S. Marco; si rivolse pure alle opere site nelle straordinarie chiese fiorentine: Santa Maria Novella, Santa Croce, il Duomo e si occupò pure della casa di Michelangelo e dell’Opificio delle Pietre dure.
Tuttavia, Renzo Chiarelli rimase, nell’animo, nel cuore e nella testa, un veronese trapiantato. Durante la sua permanenza in Toscana egli non dimenticò affatto la sua città d’origine dove spesso veniva; soprattutto la visse interiormente con l’affetto; la visse con la mente perché la formazione scaligera gli era penetrata profondamente; la visse con la penna poiché scrisse una buona parte dei libri e delle guide che dedicò a Verona.
Nel periodo fiorentino, Chiarelli partecipò anche al concorso per la direzione del Museo di Castelvecchio, nel quale prevalse Licisco Magagnato, suo amico e con il quale collaborò sin dall’inizio. Non appena si rese libero il posto di Sovrintendente per il Veneto, egli optò decisamente per Verona la quale era, allora, la sede per la Sovrintendenza ai beni artistici e storici della Regione. Cosicché, dal 1977 al 1980 Renzo Chiarelli occupò la direzione alla quale, forse, aveva aspirato da sempre; lasciata libera da Giovanni Carandente, una delle personalità di maggiore spicco nel panorama non solo italiano, la Sovrintendenza trovò in lui un degno ed eccellente successore.
Dalla vecchia sede della Dogana, nel rione dei Filippini, egli spaziò sulla città e sulle province di sua competenza. Fin da subito cominciò a lasciare il segno per le sue coraggiose e lungimiranti iniziative e dedicando cure particolarissime all’opera di restauro. Anche qui, com’era accaduto durante il periodo toscano, Chiarelli decise chiaramente di affidare i lavori solamente a coloro che avessero, non solamente le capacità riconosciute dalla legge ma, anche, che fossero profondamente conoscitori della storia dell’arte, delle tecniche cromatiche, delle sottili e prestigiose tecniche degli artisti. Per Verona vanno ricordati, in particolare, i cicli degli affreschi delle chiese di S. Zeno, S. Stefano, S. Fermo Maggiore nonché le tele come l’Assunta di Tiziano al Duomo, la pala Marogna di Paolo Veronese a S. Paolo, le tarsie e il dossale marmoreo di S. Maria in Organo. Non dimenticò le chiese di Padova e di Treviso, si spinse sino a Bolzano – che era di competenza – ma andò, personalmente, nelle chiese piccole e nei luoghi ove vi fossero state opere, anche minori, ma bisognose di cure.
Dotato di capacità critiche acutissime, ebbe molte pubblicazioni al suo attivo: da Giotto (1966) a I codici miniati del Museo di S. Marco a Firenze (1968), da Pisanello (1972) all’architetto Ignazio Pellegrini (1988), autore di Palazzo Emilei e Palazzo Giuliari a Verona. Si occupò di Lorenzo Ghiberti, Iacopo della Quercia, Tintoretto, la Scuola di S. Rocco, Tiepolo. Chiarelli, tuttavia, e dimostrando la sua grande permeabilità intellettuale, prestò attenzione anche all’arte moderna e contemporanea (chi redige queste note scrisse con lui un’opera su un pittore veronese contemporaneo). A Verona dedicò il cuore. Le guide della città e delle sue opere furono il fulcro del suo interesse; Giulietta abita ancora qui ha fatto rivivere, non solo il mito dell’eroina, ma è la guida per guardare con occhio raffinato le bellezze della città; su tutte brilla Il Pierino (1979), diversa e originale, viva nel dialogo tra i due protagonisti, avvincente come un romanzo. Attraverso la lettura della città, emergono le caratteristiche principali di Chiarelli: le doti di straordinario divulgatore con un linguaggio singolarmente raffinato e di sorridente umorismo.
Appassionato di Emilio Salgari, pubblicò un romanzo per i ragazzi – con lo pseudonimo del grande scrittore – dal titolo La figlia del corsaro verde (1941) che faceva il verso alla celebre opera salgariana. Probabilmente lo aveva spinto il padre Riccardo, fraterno amico di Omar Salgari, figlio dell’autore di tante opere d’avventura.
Chiarelli fu membro di alcune Accademie, ma non fu insignito di tanti riconoscimenti: egli era piuttosto alieno dalle cose apparenti e dagli applausi ed era un uomo integerrimo. Gli ultimi anni della sua vita furono rattristati dalle gravi malattie che colpirono la sua famiglia e che egli sopportò con la rassegnazione dell’uomo di fede e di carità e con lo spirito che sempre l’aveva animato.
Renzo Chiarelli si spense a Verona il 24 aprile 2000; egli volle che il suo corpo riposasse a Vicchio, dove aveva voluto che si aprisse un Museo; tutto il suo archivio, bellissimo e assai ricco, arrivò all’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona che l’aveva voluto tra i suoi membri; in data 17 marzo 2017, la stessa gli ha consacrato un convegno (v. Bibliografia). Verona gli ha dedicato solamente dei giardini alla Giarina assai poco curati.
Bibliografia: Leonia Romin Meneghello, Chiarelli Renzo, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G. F. Viviani, Verona 2006, pp. 232-233; Renzo Chiarelli, una vita per l’arte tra Toscana e Veneto. Atti del Convegno tenuto a Verona il 17 marzo 2017, a cura di Vasco S. Gondola e Margherita Bolla, Verona, Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere, 2017.
Giancarlo Volpato