Hemingway Ernest – “Di là del fiume tra gli alberi”

…a cura di Elisa Zoppei

 

Carissimi, eccoci al nostro consueto appuntamento mensile per stare insieme con un libro e parlarne. In questa settimana ho l’ardire (ma vi assicuro che mi tremano le gambe) di presentarvi uno dei romanzi più discussi di uno scrittore celebrato dal suo pubblico come una star del cinema americano; “icona della grande letteratura mondiale di ogni tempo” lo ha definito, andando contro alle voci denigratorie di qualche acerrimo critico, la sua cara amica Nanda dalla treccia bionda (Fernanda Pivano), nonché prediletta traduttrice dei suoi romanzi nelle edizioni italiane. La chiamava “Figlia”. Il romanzo in parola è “Di là del fiume e tra gli alberi”, di Ernest Hemingway uscito alle stampe nel 1950 fu accolto da un coro di proteste: non era quello che i suoi ammiratori si aspettavano da lui. Lo ritenevano soprattutto un libro volgare pieno di bassezze umane, inaccettabile del punto di vista della moralità. Si vede che erano tempi non ancora maturi, poco in grado di comprendere la nuova impennata stilistica, priva di romanticherie enfatiche, ma realistica, sobria e concisa che Hemingway prospettava per una nuova maniera di scrivere e di raccontare. Io l’ho riletto in questi giorni trasportata anche dall’entusiasmo per aver partecipato in compagnia degli amici dell’Associazione Culturale Veronese a un percorso di ricerca nei luoghi reali della Laguna veneta in cui è ambientata buona parte del romanzo. Abbiamo navigato lungo i canali che da Caorle portano verso Venezia, con soste nella zona dei Casoni, antica sede di pescatori e cacciatori di anatre selvatiche, passione virile a lungo praticata dal nostro Ernest e qui narrata con vero trasporto. Poco più di dieci anni dopo, ahinoi si toglierà la vita sparandosi in bocca proprio con un fucile da caccia. Questo libro è un pezzo di storia della sua vita, una glorificazione dell’amore, una sorta di preannuncio della sua inesorabile scelta finale.

Qualche notizia biografica

   Ernest HemingwayErnest Hemingway

Ernest Miller Hemingway (1899-1961), in questa foto appare nella sua piena maturità l’esatto ritratto del colonnello cinquantenne Richard Cantwell protagonista del romanzo Di là del fiume tra gli alberi: gli stessi solchi sulla fronte, gli stessi occhi di acciaio consunto, le stesse piccole rughe nel viso abbronzato che si allungano ridendo agli angoli degli occhi, l’identico naso rotto, simile a quello della statua antica di un gladiatore (v. p.140 del testo).
Ernest Miller Hemingway, fu romanziere, autore di racconti brevi e giornalista. Venne alla luce a Oak Park (Chicago) il 21 luglio 1899, secondogenito di Clarence Edmonds detto Ed, un ostetrico che aveva fondato un circolo naturista e si divertiva a imbalsamare gli animali. La madre Grace Hall, era donna di carattere, dotata di una bella voce da contralto lirico cui a malincuore dovette rinunciare per dedicarsi alla famiglia. Ernest aveva un anno quando i suoi genitori si trasferirono con lui e la loro prima figlia Marcelline, in una casa di campagna nel Michigan sulla riva del lago Wallon. Qui il bambino si abituò subito all’aria aperta, alle abitudini della disagevole vita campestre, in una grande casa senza servizi igienici, illuminata con lampade a olio, giocando nudo nella sabbia bagnata. Gli piaceva ascoltare storie specialmente di animali. Seguendo gli insegnamenti dell’intrepido padre, crebbe sano, robusto e ardimentoso capace di dominare il dolore quando gli succedeva di farsi male anche gravemente. A 10 anni ricevette in regalo il primo fucile da caccia e subito imparò ad usarlo bene, adottando in seguito comportamenti da duro per impressionare i compagni: camminava scalzo per i boschi, dormiva fuori all’aperto, nuotava nudo di notte nel lago, si atteggiava a eroe alla guisa di Clark Gable o Humphrey Bogart, dedicandosi con passione alla caccia e alla pesca. Alla scuola superiore si distinse per una naturale inclinazione verso le lettere, sostenuto da alcuni insegnanti che lo incoraggiarono a collaborare con successo ai giornalini scolastici, dove vennero a galla la sua vena satirica e il suo stile stringato ma sapido ed efficace. Così nel 1917 fresco di diploma ad appena 18 anni venne assunto come cronista al “Kansas City Star”, proprio mentre gli Stati Uniti stavano entrando in guerra.

Il desiderio di vedere da vicino l’immane conflitto che dal 1914 sconquassava l’Europa lo spinse ad arruolarsi volontario. Scartato dal servizio attivo per problemi alla vista, fu messo a guidare le autoambulanze della Croce Rossa Americanadestinate al fronte italiano. Prese servizio presso il quartier generale di Schio (pr. Vicenza) installato in un lanificio abbandonato: il lanificio Cazzola. Doveva fare la spola tra l’abitato e l’immediata retrovia per raccogliere i soldati feriti, e garantire alla popolazione che aveva subito la disfatta di Caporetto, un sostegno morale. Hemingway ambiva però prodigarsi nei luoghi di trincea dove ferveva la battaglia e finalmente, venne anche lui spedito sul Piave, e quasi subito, nei pressi di Fossalta, fu gravemente ferito e ricoverato in ospedale a Milano dove rimase per tre lunghi mesi. In tale frangente Hemingway conobbe la crocerossina americana Agnes von Kurowsky, e se ne innamorò, senza esserne sinceramente ricambiato. Questa storia d’amore sublimata dalla sua fantasia gli fornì la materia prima per il romanzo Addio alle armi (1928/29), mentre nel primo romanzo Il sole sorgerà ancora, pubblicato a New York nel 1926, e a Londra nel 1927 col titolo  Fiesta, aveva descritto il disorientamento morale psichico di un gruppo di espatriati americani, la cosiddetta “generazione perduta” di cui faceva parte, sopravvissuta alla prima guerra mondiale.

Si faceva chiamare Papa in nome di un incallito machismo in voga all’epoca, con la fama consolidata di tombeur de femmes (gli piacevano sempre molto giovani). Narratore prolifico di tempra robusta e grande respiro, visse con la voglia di essere presente là dove si combatteva e si moriva, fosse la guerra in Italia, o i safari in Africa, o la temporada di corride in Spagna. Sovente in prima linea sul fronte delle guerre mondiali e domestiche, travolto da sempre nuove sfide e nuovi amori (si sposò quattro volte), trasse dalla sue vicende personali la linfa vitale per ogni suo romanzo. Fra gli altri Per chi suona la campana (1940) ambientato nella guerra civile spagnola eIl vecchio e il mare (1952) legato alla sua esperienza cubana. Si era infatti stabilito a Cuba nel 1939 in quella fattoria che chiamò Finca Vigia ( Fattoria Belvedere) che fu la sua dimora abituale fino alla vigilia della morte. Il romanzo gli valse il premio Pulitzer nel 1953 e il premio Nobel per la letteratura nel 1954.

  Di la dal fiume...  Di là del fiume tra gli alberi

Di là dal fiume tra gli alberi, (Arnaldo Mondadori Editore, S.p.A., Milano, 1973. Tr. e intr. di Fernanda Pivano), è il romanzo pubblicato, dopo dieci anni di silenzio da Per chi suona la campana. Sembra sia stato per molto tempo considerato il segno del suo declino come scrittore e, forse, anche della sua decadenza fisica.
In realtà è un libro diverso dagli altri, con una trama piuttosto piatta e potrei dire scontata, senza sussulti, fatta di tranquilli spostamenti notturni in barconi per le battute di caccia, ma anche di qualche dolce passeggiata di due innamorati in gondola: lui il colonnello di fanteria, affascinante cinquantenne americano in pensione dall’esercito degli Stati Uniti, malato di cuore consapevole della sua gravità, lei una contessina veneziana di diciannove anni, bellissima, ricchissima e innamorata. Si chiama Renata ma lui la chiama figlia e l’ama come si può amare una sola volta nella vita. L’ama come ogni donna vorrebbe sentirsi amata.

Al di là dal fiume delle critichequesto libro è un magnifico, lungo poema d’amore. Come nelle altre opere, anche qui l’autore si fonde e si confonde con il protagonista, vale a dire con il colonnello Richard Cantwell, il quale dopo le avventure donnesche, le bevute senza regola, le battute di caccia e le gare di pesca, avverte accanto a sé la presenza della morte e si aggrappa come non mai alla vita, aspirandone ogni sapore e ogni piacere. Questo libro è uno splendido inno alla vita.

La caccia alle anatre selvatiche con i suoi appostamenti le sue lunghe attese occupa un posto importante nell’avvicendarsi dei giorni, riportandolo ai ricordi della sua giovinezza, ai luoghi sperduti della grande guerra dove aveva combattuto, era stato ferito e aveva visto morire tanti compagni. Ora i suoi fedeli e silenziosi compagni sono i vini francesi, i Martini secchi bevuti al banco dell’Harry’s bar di Venezia e le buone bottiglie di Valpolicella sorseggiate nelle stanze del veneziano Gritti Palace Hotel, i brindisi con lo champagne ghiacciato al lume della luna nel dondolio della gondola. In questo teatro la musica di fondo è data dal loro parlarsi, lui e Renata, in un fittissimo dialogo intrecciato di pensieri di racconti e di parole d’amore.
Questo è un libro d’Amore di Vita come un meraviglioso canto del cigno. 

Buona lettura

Fonti bibliografiche
Fernanda Piavano, Hemingway Rusconi, Milano 1985

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