Etimologia 45 (Postuma) – (Espressioni dialettali)
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Etimologia 45 (Postuma) – (Espressioni dialettali)
Tutti conosciamo quel capolavoro (quando è fatto bene…) della cucina veronese che risponde al nome di pearà: una salsa per carni lesse fortemente pepata. I ristoranti che annoverano questa salsa tra le loro specialità mettono di solito nel menù – e giustamente – il suo nome veronese. Alcuni, però, forse per snobismo, hanno voluto tradurre la parola in italiano, e ne è venuto fuori un orrendo “peperata”.
Perché “orrendo”? Perché questa non è che una falsa traduzione. Consideriamo la parola: pearà è chiaramente un derivato di péar, «pepe». Si tratta di un antico aggettivo femminile (che un tempo, come è documentato, suonava peverada) poi sostantivato. Ora, poiché péar in italiano è «pepe», il corrispondente italiano di pearà non può essere che «pepata».
Quindi chi volesse a tutti i costi tradurre in italiano la pearà dovrebbe dire «la pepata».
Alcuni curiosi esempi di traduzioni sbagliate dal veronese si possono notare tra le vie di Verona. Nel 1871, venne insediata una commissione per la toponomastica che doveva dare veste italiana a tutti i nomi di vie e piazze; ma i risultati furono un po’ discutibili.
Sfogliamo i Toponimi di Verona di Tullio Lenotti, un opuscoletto apparso nel 1956, e vediamo.
Vicino al Ponte Nuovo c’è il vicolo Quadrelli, che fa pensare a tutto tranne che agli oggetti cui si riferiva il nome originario: questo era introl dei quarèi, ossia «vicolo dei mattoni».
Presso il Duomo v’è il vicolo Salici, ma la simpatica pianta piangente non c’entra per nulla: il nome originario era introl dei Salési, «vicolo dei ciottoli levigati dall’Adige». Vicino a Piazza Erbe c’è il vicolo Crocioni; il popolo lo chiamava introl dei Crosoni, dove i Crosoni non erano delle grosse croci, ma la versione veronese di “Clusoni”, casato di una famiglia nobile bergamasca venuta ad abitare nel vicolo nel Quattrocento.
Un altro esempio è gli Orti di Spagna, che non hanno nulla a che vedere con lo stato iberico; prendono il nome dai prati medievali che sorgevano a S. Zeno fuori della cinta comunale e che erano tenuti a erba spagna, ossia a “erba medica”. Presso S. Zeno v’è, poi, il vicolo Broglio, che altro non è se non l’alterazione dell’antico bròilo «orto con frutteto».
E per finire, in Piazza Bra abbiamo due parole uguali, perché brà nel veronese antico significava proprio «piazza, slargo»: difatti la gente ha sempre denominato, e denomina tuttora, la piazza semplicemente La Brà (per esempio mi vò in Brà «io vado in Piazza Bra»). Non solo, ma dietro a S. Anastasia v’è una piazza detta la Brà dei Molinari; letteralmente «la piazza dei mugnai».
Giovanni Rapelli
Articolo apparso nella rubrica “L’angolo culturale: storia di parole” in “La voce socialista” n. 9, 25 ottobre 1987, pag. 2.