Etimologia 78 (Postuma) – (Dialettologia)

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Etimologia 78 (Postuma) – (Dialettologia)

Il veronese parlato al tempo di Cangrande
Agli inizi del Trecento, la parlata veronese della città aveva il rango di lingua ufficiale. La corte degli Scaligeri la usava in tutti i documenti interni dello stato, redigendo invece in latino – la lingua internazionale di allora – i documenti diretti agli altri stati italiani e stranieri. A distanza di quasi sette secoli, il veronese di Cangrande appare per certi aspetti sorprendentemente simile all’attuale, per altri aspetti, invece, come è naturale, molto diverso.
Intanto, esso possedeva ancora il passato remoto, che sparirà lentamente dall’uso a partire dal Cinquecento. Si diceva, quindi, per esempio, lui el fo (con “o” acuta) ciapà per «lui fu preso». Poi, la negazione dei verbi seguiva il pronome ausiliario, a differenza di quanto accade oggi: si diceva, per esempio, scrivi che i no vegna, «scrivi che non vengano», per l’attuale scrivi che no i vegna.
Altre particolarità sono le seguenti: non si diceva mi g’ò, «io ho», ma mi ò, e quindi lui l’à famo, «lui ha fame» per l’attuale lu el g’à fame; ancora oggi nel Trentino si dice, similarmente, lu l’à fam. Le “-e” finali dell’italiano divenivano, stranamente, “-o”: si diceva zento, «gente», feso, «fece», disso, «disse», cognossro, «conoscere», essro, «essere». (Questo non si verificava, però, coi plurali femminili, che uscivano sempre in “-e”: quindi si diceva, per esempio, le done veronese e bressane, «le donne veronesi e bresciane».)
La zeta aspra c’era ancora: , «ciò», comenzaro, «cominciare», zaschedun e zascaun, «ciascuno». L’espressione “essere (fatto, detto, scritto ecc.)” si traduceva con firo (fato, dito, scrito): per esempio, el dé firo fato ben, «deve essere fatto bene». Inoltre, ciò che è assai importante dal punto di vista fonetico, la “l” dopo consonante non era ancora stata soppiantata dalla “i” italiana: si diceva clamaro, «chiamare», plù, «più», claro, «chiaro», blanco, «bianco», plaza, «piazza», glara, «ghiaia».
Vediamo ora un paio di esempi del veronese antico tratti da documenti. Il primo è del 1250 o poco prima (e contiene alcune licenze poetiche), il secondo è del 1379. Questi testi furono pubblicati da G.B. Pighi in Questione de lingua veronese, Verona 1966. La lingua del tempo di Cangrande – il quale, come è noto, morì nel 1329 – è intermedia a quella di questi due documenti.

O mare de Deo preclara e bela,
lo vostro amor tut’or m’apela
ch’eo ve salù de la novela
che disso l’agnolo Cabrilo entro l’arzela,
quando el disso “Ave, Maria!”.

Oi Madò santa Maria, Vergen premera,
chi volo alguna grazia, a vui, Madona, la quera:
fàime essro en zelo de quela s-cera,
soto quela blanca bandera,
che Deo segonda.

O madre di Dio chiarissima e bella,
il vostro amore in ogni momento m’invita
ch’io vi saluti con l’annuncio
che disse l’angelo Gabriele nella cameretta,
quando disse: «Ave, Maria!».

O Madonna santa Maria, Vergine prima,
chi vuole qualche grazia, a voi, Madonna, la domanda:
fatemi essere in cielo di quella schiera,
sotto quella bianca bandiera,
che segue Dio.

Voressi defendro che i no tolesso la rason al Vescovà de Verona, ch’el no dé essero in zascuna tera del mondo altro che un juso soura tuti i so chiereghi, e questo dé essero el vescovo dela tera; e questo vézasi i privilegi papali ch’à el vescovà; e se i calònesi d’à algun, ch’i lo mostro!

Vogliate ordinare che non tolgano la giurisdizione al Vescovato di Verona, ché non deve esserci in ciascun territorio del mondo altro che un giudice sopra tutti i suoi chierici, e costui deve essere il vescovo del territorio; e per questo si vedano i privilegi papali che ha il Vescovato; e se i canonici ne hanno qualcuno, che lo mostrino!

Giovanni Rapelli

Articolo apparso in “La Voce Socialista” n. 3, 10 aprile 1987.

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