Etimologia 79 (Postuma) – (Dialettologia)

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Etimologia 79 (Postuma) – (Dialettologia)

A cosa serve il dialetto?
È una domanda che mi rivolgono molti, soprattutto coloro che non lo parlano perché sono cresciuti in famiglie dove è usato solo l’italiano. Rispondere a questa domanda porterebbe via molto spazio, ma qualche osservazione può essere fatta in questa modesta sede.
Inanzitutto è sbagliato considerare i dialetti come volgari “corruzioni” di lingue. I dialetti, propriamente, sono lingue anch’essi. È solo questione di evoluzione.
Prendiamo il veronese; è uno dei tanti dialetti veneti, i quali sono sorti dall’evoluzione che subì il latino nelle Tre Venezie.
A sua volta, il latino fu attorno al 1500 a.C. semplicemente uno dei tanti dialetti dell’indoeuropeo. Retrocedendo ancora, l’indoeuropeo fu attorno al 4500 a.C. semplicemente uno dei dialetti europei nati molto tempo prima da una lingua a cui si dà il nome di “nostratica”.
Ma torniamo al giorno d’oggi. Quando un gruppo di dialetti presenta caratteristiche comuni (certe parole, certi suoni, certe desinenze), allora fa parte di una “lingua”. In Italia, abbiamo propriamente tre lingue distinte: l’italiano, con la sua massa di dialetti (nei quali rientrano il veneto e relative varianti); il ladino, coi suoi dialetti (il romancio, il gardenese, il friuliano); il sardo, diviso anch’esso in vari dialetti.
La lingua ufficiale dell’Italia, quella che io sto usando adesso, è sorta dal dialetto toscano del Trecento. Per molteplici ragioni, questo dialetto si impose gradatamente sugli altri, e divenne l’“italiano”. Però, come già detto, esso divenne lingua ufficiale nella sua forma trecentesca; è ovvio che una lingua cristallizzata a quella fase non poteva servire per esprimere nozioni tecniche, artistiche ecc., venute molto dopo. Così, come tutte le lingue ufficiali, l’italiano ha assorbito parole, modi di dire, suoni da altre lingue, oppure, e arriviamo al dunque, dai dialetti della penisola.
Questa è una riprova dell’importante funzione dei dialetti. Essi rinvigoriscono le sclerotiche lingue ufficiali, introducendo in queste la fantasia, lo spirito creativo del popolo. Solo questo basterebbe a giustificare i dialetti. Per dare un esempio concreto, si osservi quanti termini nel raccontino qui sotto vengono dai dialetti. (Sulla provenienza etimologica delle parole e dei modi di dire, si confronti Paolo Zolli, Le parole dialettali, Milano 1986).

Mi trovavo a Trieste, sul molo1 spazzato dalla bora2. Che scalogna3! Non riuscivo a prendere il traghetto4, ero inguaiato5. Il pontile6 era pieno di gente che sfotteva7 i ritardatari. Di solito8 io non sgarro9 quando ho un orario, ma quello era un giorno iellato10. Ma trovai un bagarino11, finalmente, e potei scivolare12 tra gli altri. Lui era un dritto13, pensava solo a far la grana14, ma gli dissi lo stesso “grazie15!”.

(1. dal genovese; 2-3. dal triestino; 4. dal veneziano; 5. da un dialetto meridionale; 6. dal veneziano; 7. dal romanesco; 8. dal lombardo o dal veneto; 9. dal siciliano; 10-11-12-13. dal romanesco; 14. dal napoletano; 15. dal veneziano).

Giovanni Rapelli

Articolo apparso in “La Voce Socialista” n. 9, 15 dicembre 1988.

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