Etimologia 82 (Postuma) – (Storia)

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Etimologia 82 (Postuma) – (Storia)

“Il ghetto ebraico di Verona – parte 3”
A Soave si ha una comunità ebraica già costituita all’inizio del 1400; anche qui v’erano banchi di prestito, ma un documento della Serenissima accenna anche ad altre occupazioni: «non è proibita loro – cioè agli ebrei – alcuna professione; possono aprire negozi di qualsiasi genere, che vengono sorvegliati e protetti dallo stesso Capitano di Soave».
V’erano ebrei a Sanguinetto (un gruppo cospicuo), a Legnago, a Villafranca. La cacciata degli ebrei da Verona nel 1499, dovuta a varie cause, costrinse la maggior parte di loro a rifugiarsi a Soave; gli altri si sparsero nei sobborghi di Verona e nelle località citate. Nel 1516 essi venivano riammessi in città.
Un tipico indizio dell’antica presenza degli ebrei nei paesi della provincia è dato dal toponimo “Ghetto”, che ricorre – stando al Pavoncello – in più di una ventina di piccole località. Una piccolo contrada chiamata “Ghetto” mi è nota a Villafranca; una “via Ghetto” è a San Zeno di Colognola ai Colli; a San Pietro di Lavagno, “Ghetto” è il nome di un vicoletto cieco sulla destra della chiesa parrocchiale. Io credo, però, che in qualche caso la denominazione di “Ghetto” sia stata data a un certo luogo non perché vi avessero abitato degli ebrei, ma per traslato, per esempio perché somigliante a un ghetto inteso nel senso di quartiere chiuso, buio, malsano. È caratteristico, comunque, che “Ghetto” (o meglio, alla veronese, “Ghéto”, con una sola “t”) sia considerato sempre come nome proprio: si diceva, sia a San Pietro di Lavagno che a Villafranca, che una data persona la stava in Ghéto (= abitava in Ghetto), e a Villafranca la via Pace era detta fino a una ventina d’anni fa “via Pace del Ghetto”.
Un Ghetto vero e proprio, come si ha a Verona, lo si ritrova se non erro soltanto a Soave. A Villafranca sembra essersi trattato solo di una via. Esaminiamo il caso di Soave.
Cone già detto, Soave aveva una comunità ebraica già all’inizio del 1400. Una prova decisiva dell’importanza di tale comunità è data dal fatto, riportato dal Pavoncello, che essa fu a un certo punto autorizzata a costruirsi un cimitero secondo le norme ebraiche. Dal Sig. Sergio Tosetti, studioso soavese, ho potuto apprendere quanto segue. Il quartiere dove fu concesso agli ebrei di abitare è sulla destra entrando da Porta Verona; a sud e a est esso è delimitato dalle mura scaligere, mentre a ovest dà su via Roma e a nord sulla via Caduti, già via Luigi Adami.
Quest’ultima termina a est con Porta Covergnino, aperta al traffico nel 1896; prima di allora la porta era chiusa, non si sa da quanto tempo. Il quartiere era conosciuto a Soave come “Ghétto”, o anche come “Contrà d’i ebrei”; come voleva la prassi, il punto di accesso, che era in via Roma, era sbarrato per mezzo di un cancello. Con l’arrivo dei Francesi, anche a Soave fu tolto lo sbarramento.
Un toponimo caratteristico del ghetto di Soave era quello della “Corte Pittóra”, che non mi sembra di origine ebraica; lo interpreterei, infatti, come veneto, col senso di “corte dove si dipinge” oppure “corte del pittore”. Una delle occupazioni principali degli ebrei soavesi sembra sia stata la raccolta e la lavorazione degli stracci.

Giovanni Rapelli

Articolo apparso in “Verona Fedele” 23 gennaio 1983.

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