Fallaci Oriana – “Un uomo”
…a cura di Elisa Zoppei
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Note biografiche
Credo siano poche le scrittrici italiane e non, che occupano tanto spazio all’interno della comunicazione mediale come Oriana Fallaci, alla vita della quale, alla sua opera, al suo vibrante messaggio umano, sono dedicate numerose pagine in vari Siti internet,
Nata a Firenze nel 1929, pur sentendosi fiorentina doc, vantava qualche goccia di sangue spagnolo ereditato da un’ava materna di Barcellona. A Firenze visse l’infanzia e la prima adolescenza in una famiglia poco agiata e di aperte convinzioni antifasciste, dove, essendo la prima di quattro sorelle, dovette crescere in fretta e dare una mano in casa. Mamma e papà le passarono prestissimo la passione per la lettura e l’amore per i libri. Grazie a loro, Oriana, fin dalla più tenera età nutrì una voglia sconfinata di diventare “scrittore”, come si definì sempre: non scrittrice ma “scrittore”. E lo diventò presto, passando prima dalla scuola di giornalismo e approdando infine alla letteratura. Aveva 14 anni quando militava nella Resistenza partigiana, aiutando i prigionieri inglesi e americani a scappare dai campi di concentramento, guidandoli in bicicletta verso il confine, oppure consegnando ai compagni partigiani armi, giornali clandestini e messaggi segreti. Fu quella per lei una grande esperienza formativa del carattere, attraverso la quale sviluppò un forte senso del dovere e diventò una instancabile lavoratrice e combattente fino agli ultimi suoi giorni: un vero soldato sul fronte della lotta per la vita. L’amore per la letteratura nacque molto presto fra i libri che mamma e papà, per quanto poco danarosi, compravano a rate. Così fu rapita e incantata dalle fiabe delle Mille e una notte; sognava spericolate avventure coi romanzi di Jack London, affascinata da un “Martin Eden” che personificava l’autore, mangiando una magra minestra si e no due volte alla settimana e scrivendo fino a notte fonda al lume di candela. Fu anche una brava studentessa liceale, che si distinse sempre col massimo dei voti e alla maturità ottenne 10 nel tema d’esame. Da quel momento la scrittura diventò la sua vita. Nel 1946, appena diciassettenne, pubblicò il suo primo articolo nel quotidiano fiorentino «Il Mattino dell’Italia Centrale» e i primi soldini guadagnati con gli articoli di cronaca nera, le servirono per iscriversi all’università di Medicina. Presto, però, scoprì che quel tipo di studi non le si adattava, lo abbandonò e, seguendo la sua predisposizione naturale per la scrittura, imboccò la strada della carriera giornalistica, diventando una delle giornaliste più brillanti e acclamate del mondo, i cui articoli apparivano sulle testate di maggior prestigio degli anni sessanta, settanta e ottanta del ‘900. La sua folgorante carriera salì alle stelle grazie ai famosi reportages di inviata di guerra, pubblicati ovunque con grande rilievo, per cui, la sua fama cresceva in Italia e all’estero e i suoi articoli venivano acquistati e tradotti dalle maggiori testate internazionali.
La sua fu davvero una vita straordinaria. Nel 1965, Rizzoli le pubblicò “Se il sole muore”, un racconto coinvolgente degli anni vissuti nelle basi della Nasa, accanto agli astronauti che divennero suoi amici. Nel 1967 la troviamo in mezzo ai drammi della guerra in Vietnam. Oriana visse sulla propria pelle l’odio fra uomini, la paura di morire, l’irrazionalità e la violenza disumana degli scontri a fuoco, buttandosi a capofitto nelle situazioni più estreme e travasando tutto nel diario di guerra Niente e così sia (Rizzoli, 1969). Nel 1968 alla vigilia delle Olimpiadi a Città del Messico fu coinvolta e ferita a morte nella strage di Piazza delle Tre Culture. Se la cavò per un miracolo.
Tutto fa capire la passione, la grinta, il coraggio di una donna che fece della sua professione la ragione della propria esistenza. A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, fu testimone attenta di tutti i fatti internazionali di maggior rilevanza: li espose sulla scena giornalistica mediante interviste ai grandi della Terra. Si interrogò sulle trame segrete del potere, chiedendosi se esso fosse sempre uno strumento orribile, oppure se chi lo possedeva potesse esercitarlo anche meritevolmente. Ad ogni modo fu conosciuta in tutto il mondo e amata dai lettori per la sua severità e il suo rigore, indicata come un simbolo da molte giovani giornaliste in carriera come lei.
Raggiunse un successo a livello a dir poco planetario, grazie alla pubblicazione di due libri autobiografici che lasciarono il segno nella storia dell’editoria: “Lettera a un bambino mai nato” (Rizzoli,1975) e “Un uomo” (Rizzoli, 1979). Il primo, come è noto, narra l’ esperienza drammatica di una sua maternità mancata e affronta senza mezzi termini il tema dell’aborto indagando a fondo quanto sia giusto imporre a una creatura inerme un mondo così malvagio senza che abbia la possibilità di scelta. L’altro, fu notoriamente ispirato dall’amore profondo e tormentato tra Oriana e Alexandros Panagulis. Tradotti e pubblicati in tutto il mondo conferirono alla Fallaci una fama inaudita per un giornalista per di più donna, una fama che la portò, nel 1977, a ricevere la Laurea Honoris Causa in Letteratura dal Columbia College di Chicago. In quel periodo e poi per sempre, Oriana si allontanò dall’Italia per stabilirsi negli Stati Uniti, dividendosi ogni tanto tra la villa di famiglia di Greve in Chianti, l’appartamento di Milano e la casa di Manhattan, scelta come suo definitivo ritiro personale.
Con la pubblicazione di “Insciallah” (Rizzoli, 1990), è la guerra in Libano a essere protagonista dei suoi scritti. Qui le giornate tragiche dei contingenti italiani in missione di pace, sempre in bilico tra la vita e la morte, tra la paura e il bisogno, si alternano ad assurdi insensati episodi di odio tremendo. Fra il 1991 e il 1992 venne colpita dal cancro, il fetente “Alieno” che combatté da leonessa arrabbiata, raccogliendosi nel frattempo nella stesura di una monumentale saga sulla sua famiglia lungo il corso dei secoli, dalla storia di Ildebranda, lontana ava condannata per stregoneria nel Seicento, fino ad arrivare alla propria infanzia, alla prima metà del Novecento. Spinta dal dovere di riflettere su quanto stava succedendo intorno a lei, scriveva per ore e ore alla sua scrivania, picchiettando le dita sui tasti della Olivetti Lettera 32.
Nel 2001 arrivò sulla ribalta della scena italiana e internazionale “La Rabbia e l’Orgoglio” (Rizzoli, 2001), uno scritto di grande forza espressiva che, partendo dall’attacco alle Torri Gemelle, analizzava e approfondiva in modo articolato e complesso le problematiche, gli attriti e i dilemmi innescati dallo scontro di civiltà tra Occidente e Islam. Il libro fu oggetto di clamorosi dibattiti, di attacchi personali all’autrice e di folgoranti successi, diventando il bestseller numero uno, in tutti i Paesi dove fu pubblicato. Oriana sentì il dovere di rispondere con un altro libro “La forza della Ragione”, (Rizzoli, 2004), raccolto in un cofanetto/trilogia insieme a “La Rabbia e l’Orgoglio” e a “Oriana Fallaci intervista se stessa – L’Apocalisse”.
In questa autointervista, Oriana, non viene a più miti consigli: oltre a raccontare il suo conflittuale rapporto con la malattia e la morte, commenta sfavorevolmente la situazione politica italiana e trasfigura il testo visionario dell’Apocalisse di Giovanni evangelista, identificando il mostro dalle sette teste e dieci corna che sale dal mare, nella cultura islamica. Sempre fedele al suo motto: «Apro la mia boccaccia. E dico quello che mi pare», dal quale non si salvava nessuno, non smise mai fino all’ultimo di attaccare il mondo arabo.
Il 15 settembre del 2006, all’età di settantasette anni, Oriana Fallaci morì lasciando un grande vuoto nella scena letteraria italiana. Riposa insieme ai suoi famigliari al cimitero degli Allori di Firenze. Sulla sua lapide, soltanto tre parole: «Oriana Fallaci. Scrittore».
Ho ricevuto questo libro il 13 agosto del 1979 come regalo per i miei primi 40 anni.
Lo lessi allora come il “libro bomba” del secolo, perché di bombe si parla, di attentati e di un uomo che muore pagando cara la sua sete di libertà. A cosa è servito il suo oltraggiato sacrificio? Oriana Fallaci ha scritto la storia di questo Uomo, Alexandros Panagulis, o semplicemente Alekos, leader della Resistenza greca alla dittatura dei Colonnelli, perché il mondo intero insorgesse a reclamare giustizia.
Nel prologo del libro, lungo parecchie pagine, la Fallaci scrive di essere andata alla ricerca di una fiaba finita in tragedia: “…la solita tragedia dell’individuo, che non si rassegna, che pensa con la propria testa, e per questo muore ucciso da tutti. Eccola, e tu mio unico interlocutore possibile sei laggiù sottoterra, mentre l’orologio senza lancette segna il cammino della memoria”.
Ecco perché Oriana scrisse questo libro di 457 pagine, perché voleva tener viva la memoria di lui, del suo indomito coraggio, della sua orgogliosa impudenza davanti ai persecutori, ma soprattutto, io credo, volesse tenerlo vivo dentro di sé.
La trama è tutta imperniata sulle imprese di questo giovane, aitante, affascinante, intrepido rivoluzionario, che in seguito al tentativo fallito di far esplodere l’auto del tiranno Papadopoulos, il 13 agosto del 1968 viene incarcerato e condannato a morte. L’esecuzione viene rinviata parecchie volte, e infine annullata dallo stesso regime che temeva il giudizio dell’opinione pubblica
“UN UOMO”, però, non è solo il romanzo della vita di Panagulis, preso, incarcerato e condannato a morte per aver tentato di liberare la Grecia dal despota militare che nel 1967, con un colpo di stato si era fatto capo del regime, ma un lungo, furente, esasperato romanzo d’amore. Un romanzo scritto da una brillante, affermata, giornalista, una donna che ha consacrato se stessa e la sua arte scrittoria alla memoria di un uomo, che aveva scelto di morire per la libertà.
In questo romanzo di vita, d’amore e di morte, la Fallaci è riuscita a innalzare a eroe internazionale un uomo che si era ribellato al potere costituito, e lo fa diventare un glorioso e perenne vessillo di libertà. Lo fa attraverso un racconto duro, nel quale, senza prendere fiato, in un fitto dialogo serrato e a tu per tu col suo unico e solo interlocutore, calandosi nell’intimo delle fibre sensibili, fa rivivere le ore, i giorni, i mesi, gli anni tormentati della sua lunga, spietata prigionia. Il lettore diventa testimone giornaliero di quanto gli accadde, mentre, segregato per cinque anni nello squallore di un carcere disumano, subiva le più violente sevizie psicologiche e le più atroci torture fisiche. Unica sua consolazione le poesie che componeva nei lunghi mesi di solitudine, trascrivendole su piccoli ritagli di carta o custodendole nella memoria per mancanza di fogli e penne. Uscirono alla luce della stampa da Rizzoli nel 1974, intitolate ”Vi scrivo da un carcere in Grecia”, con la prefazione di Pier Paolo Pasolini, poeta scrittore e regista, amico di Oriana, assassinato, poi a Ostia ai primi del novembre 1975.
Per oscure manovre politiche venne più volte condotto sulla soglia dell’esecuzione, ma mai giustiziato. Restituito brevemente alla libertà fu confinato in esilio. Tornato in patria partecipò dell’agonia della dittatura e venne eletto in Parlamento, dove cercò inutilmente di dimostrare che erano sempre gli stessi uomini depravati che gestivano il potere. Panagulis perse la vita in un misterioso forse preparato incidente d’auto l’1 maggio 1976.
Oriana Fallaci lo aveva incontrato nel 1973, se ne era follemente innamorata e in questo libro/ intervista, ci restituisce l’immagine indelebile di quella sua “voglia di amare, di desiderare, di lottare”: una voglia oscura, dolorosa, fragile come un cristallo, “ma che basta a un eroe per compiere lo sforzo finale”.
Dalla voce autorevole del Grand Prix Litteraire de la Ville d’Antibes, questo romanzo viene definito “Una sconvolgente dichiarazione d’amore a un ribelle solitario, assassinato perché aveva creduto possibile cambiare il mondo e svelarne le ignominie”
Lasciatemi dire che la lettura di questo romanzo è una tra le più appassionanti esperienze della mia vita di “LETTORE”
Vs Elisa