Ferrante Elena – “L’Amica geniale”
…a cura di Elisa Zoppei
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Note biografiche: Pur non conoscendo il suo volto, il colore dei suoi occhi e dei suoi capelli, se è sposata o nubile, se le piace il caffè o se ama cucinare, se invece di essere una donna è un uomo (magari gay), di colei che firma i suoi libri con il nome Elena Ferrante, (nome dal suono bellissimo che pare essere uno pseudonimo), sappiamo quanto basta per farci una idea del suo versatile talento narrativo. Anche se ritengo che conoscere la vita di un autore, i suoi gusti, le sue debolezze, le sue virtù, può offrire qualche chiave di lettura per meglio capire e apprezzare le suo opere, qui non andrò i in cerca della vera identità di Elena Ferrante. C’è chi ipotizza sia nata nel 1953, chi nel 1943. Se la sua città natale, dove vive, è Napoli, bene. Se è scesa da un altro pianeta, ancora meglio! Lasciamola tranquilla, avvolta nell’affascinante mistero che le si è creato intorno, (una trovata pubblicitaria delle Edizioni e/o?), tuffiamoci nelle sue storie e godiamocele. Che sono belle, interessanti come le antiche saghe dei grandi romanzieri di ogni tempo, che hanno scavato in noi solchi profondi di curiosità e amore per la lettura.
Ne ha scritte un bel numero con titoli intriganti, tutte pubblicate dalle Edizione e/o: “L’amore molesto” (1992), “I giorni dell’abbandono” (2002), “La figlia oscura” (2006). E poiché sono storie attraversate da rapporti burrascosi, amori infelici e complicati, sono state riunite in un unico volume, la tetralogia intitolata “Cronache del mal d’amore” (2012).
Dopo il racconto a puntate per bambini “La spiaggia di notte”, ha pubblicato il primo volume della serie “L’amica geniale”, (2011) seguito nel 2012 dal secondo “Storia del nuovo cognome”, nel 2013 dal terzo, “Storia di chi fugge e di chi resta” e nel 2014 dal quarto e conclusivo “Storia della bambina perduta”.
A parte il libro autobiografico “La frantumaglia” (2003), dove parla della sua esperienza di scrittrice che ha scelto per fondati motivi personali di vivere nell’anonimato, per lo più sono storie ambientate in realtà urbane violente che rispecchiano molto da vicino situazioni concrete, ancora vive e vere in certe lande socio meridionali. E non solo. Le sue opere sono state premiate da accreditate giurie dei maggiori premi italiani (Premio Elsa Morante- Strega- Viareggio Artemisia…). Qualcuna è stata tradotta in pellicola filmica e ultimamente abbiamo apprezzato “L’amica geniale” nello sceneggiato televisivo di Rai 1, diretto dal regista Saverio Costanzo.
Che la pseudo scrittrice Elena Ferrante si sia imposta alla grande al consenso unanime di critici e lettori anche esigenti, di tutto il mondo lo dimostrano i prestigiosi riconoscimenti, encomi e plausi, venuti dall’Estero in particolare dagli Stati Uniti.
In “L’Amica geniale” è narrata la prima parte di questa straordinaria storia di amicizia che si sgomitola lungo gli altri tre romanzi su indicati. Qui il Prologo anticipa la notizia che Raffaella Cerullo di sessantasei anni, chiamata Lina, ovvero Lila per gli intimi, si è dileguata nel nulla, sparita dalla faccia della terra, senza lasciare alcuna traccia come per cancellare tutta la vita che si era lasciata alle spalle.
È un atto sconvolgente per chi è rimasto a cercarla: un figlio immaturo e sconclusionato. È un grave affronto per l’amica del cuore Elena Greco (Lenu), che si sente tradita e che ora per rabbia vuole scrivere la loro storia nei minimi dettagli. Le spetta anche perché ha sempre voluto fare la scrittrice fin dai banchi di scuola, quella scuola faticosa di greco e di latino che le ha messo tra le mani la magica penna della narratrice di talento. Lo vedremo nel leggere le pagine che una dietro l’altra raccontano le avventure che legano le due protagoniste, Lenu e Lila. Piccole indifese, angustiate dalla tracotante autorità di genitori rissosi, più zotici e ignoranti che cattivi, attaccati ai tradizionali atavici principi d’onore, hanno contratto ancora bambine, senza mai dirselo, un patto di amicizia portato avanti per l’intero arco della loro vita. Da piccole si scambiano quaderni e bambole condividono giochi, dispetti, segreti, sogni, brutture e bravate infantili. Poi attraversano le trepide inquietanti emozioni e gelosie adolescenziali, affrontano faticose scelte di approccio alla prima giovinezza con i primi amori, fino ad arrivare alle soglie della maturità con un precoce ingresso nella vita adulta di Lila. Da bambina scura, bruttina e cattiva, scontrosa, e pungente, impavida, spavalda e vendicativa, ma dotata di una genialità fuori del comune, una volta uscita dal bozzolo s’è trasformata in una bellissima farfalla da far girar la testa ai bulletti del quartiere, tutti muscoli, e brillantina, che prima non la degnavano di uno sguardo. L’unica a capirne il valore da sempre è stata l’altra, l’amica Lenu, bionda rosea e paffutella bravissima a scuola, ma timida, insicura, impacciata, che la seguiva in tutto, la imitava, dipendeva dalla sua approvazione. Nutriva verso di lei sentimenti contrastanti scavalcati dalla forza di un amore indistruttibile.
Siamo a Napoli negli anni Cinquanta in uno dei popolosi e chiassosi quartieri della “città del sole”, e del mare inargentato dalla luna, ma olezzante di sporcizia, malvivenza e povertà.
Le due ragazzine, la figlia dello scarparo che non potrà continuare gli studi e la figlia dell’usciere comunale che frequenterà le scuole superiori, sono tenute insieme da un legame speciale, basato non tanto sulle “affinità elettive” care a Goethe, ma piuttosto sulla necessità di una reciproca compensazione. Man mano che crescono hanno bisogno di appoggiarsi l’una all’altra per avere la forza di sfidare l’oscurantismo domestico che costringeva le loro madri a piegarsi ai soprusi dell’arroganza/violenza maschile e avere il diritto di scegliere di diventare se stesse. Come? Quante e quali contrarietà dovranno affrontare? Si perderanno lungo la strada?
Senza enfatiche romanticherie l’autrice conduce il racconto rendendolo sempre più interessante, trascinando i lettori dentro le dispute famigliari o le baruffe di piazza o vicissitudini e puntigli quotidiani, non perdendo mai di vista la realtà, rendendola bella perché la vita è bella lo stesso anche quando si fa parte della plebe perché : “…la plebe era quel contendersi il cibo insieme al vino, quel litigare per chi veniva servito per primo e meglio, quel pavimento lurido su cui passavano e ripassavano i camerieri, quei brindisi sempre più volgari. La plebe eravamo noi. Ridevano tutti, anche Lila, con l’aria di chi ha un ruolo e lo porta fino in fondo”.
Buona lettura
Elisa