Forlati Ferdinando
…a cura di Giancarlo Volpato
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Ingegnere e architetto, restauratore, Soprintendente, Ferdinando Forlati nacque a Verona da Agostino e Silvia Rubinelli l’1 novembre 1882 in una famiglia di orologiai di Sommacampagna. Frequentò il liceo classico “S. Maffei”, s’iscrisse all’università di Padova dove si laureò in ingegneria civile nel 1907, si specializzò in architettura e studiò storia dell’arte: egli aveva chiaramente prospettato, sin da allora, la sua professione. Vinse il concorso per entrare nell’amministrazione delle Belle Arti in qualità di architetto: fu ammesso sia a Ravenna sia a Venezia. Scelse quest’ultima sede anche perché la Soprintendenza veneta godeva di grande prestigio ma soprattutto per l’amore assoluto che il giovane Forlati nutriva – e nutrirà sempre – per l’arte della sua regione.
In un clima ricco di stimoli e denso di urgenze, ma ancora privo di punti di riferimento, l’attività del nuovo arrivato si rivolse subito al consolidamento di celebri monumenti veneziani quali la cappella Corner ai SS. Apostoli, suo primo restauro, le chiese di S. Zaccaria, dei Ss. Giovanni e Paolo, dei Frari, il campanile di S. Francesco alla Vigna, la Libreria del Sansovino, chiese di Murano e molto altro. Nell’affrontare i problemi statici egli si valse, sin da allora e mutando l’atteggiamento dei predecessori, con inventiva delle tecniche più aggiornate con l’obiettivo di non alterare l’aspetto e l’autenticità del monumento: fu una costante di tutta la sua straordinaria e multiforme attività.
Chiamato alla guerra, venne assegnato al genio telegrafisti a Firenze; poi, chiese ed ottenne di essere inviato come ufficiale di complemento all’ufficio Fortificazioni di Venezia con l’incarico di predisporre la protezione delle opere d’arte del Veneto dai rischi bellici. Lavorò con Ugo Ojetti, scrittore e giornalista celebre, organizzando l’inventariazione e lo spostamento dei beni mobili e fortificando, con incastellature lignee e sacchetti di sabbia, i monumenti più rilevanti e delicati: tra questi, le Arche scaligere veronesi, i cavalli di S. Marco e molto altro. Per questi lavori, Forlati fu insignito, nel 1919, del titolo di Commendatore della Corona d’Italia. Terminata la guerra, restaurò moltissime opere rovinate dal conflitto; ne ricordiamo solamente alcune: il monastero cistercense di Follina nel trevigiano (monumento di sommo interesse storico-artistico), le chiese di S. Fosca e di S. Maria Assunta a Torcello, rimise in luce mosaici e strutture altomedievali in quasi tutti gli edifici religiosi veneziani. Si dedicò al restauro del Palazzo Ducale di Mantova, all’inizio degli anni venti. Nel 1923 redasse il progetto per il ripristino in funzione museale del complesso di Castelvecchio a Verona: lavorò con Antonio Avena, direttore dei Musei civici, con l’architetto Ettore Fagiuoli, con il conte Saladino Saladini de’ Moreschi, l’assessore Sandro Baganzani (v. questo Sito) e Alessandro Da Lisca (v. questo Sito), soprintendente; se ne occupò fino al 1926, ma di questo lavoro Forlati non fu mai contento poiché dovette sottostare ai criteri – da lui non condivisi – di Avena nel recuperare parti originali assai compromesse. Contemporaneamente egli prestava la sua opera all’aula magna dell’ateneo padovano, a chiese e soprattutto al restauro della Ca’ d’Oro che, negli anni successivi, il barone Giorgio Franchetti, proprietario, regalerà alla città di Venezia per mettere le raccolte d’arte: Forlati, sempre molto attento a quanto circondava i monumenti, fissò lo straordinario palazzo con cemento armato e ingabbiature in ferro (e lo fece sempre, quando necessario in altre occasioni, in modo che la natura dei luoghi non sovracaricasse le opere d’arte). Alla Ca’ d’Oro egli aveva già dedicato attenzione prima della guerra e lo farà anche successivamente.
Nel 1926 fu nominato Soprintendente alle opere di antichità ed arte a Trieste per il Friuli e Venezia Giulia, allora allargata alla terra istriana. Fu un periodo straordinariamente importante per l’attività che Forlati produsse. Salvò, come primo lavoro, il castello di Gorizia ove impiegò iniezioni cementizie a pressione per restituire solidità alle mura sconnesse: tecnica da lui stesso messa a punto e a cui ricorrerà ampiamente. Altri restauri di quel periodo riguardarono a Trieste la basilica di S. Giusto, la chiesa di S. Silvestro, il castello; a Parenzo la stupenda Basilica Eufrasiana con i preziosi mosaici pavimentali del V e VI secolo, le chiese di Santa Maria e San Francesco a Udine, il tempietto longobardo a Cividale del Friuli, la cattedrale e il monastero francescano a Pola, il duomo, la Rotonda e la Loggia veneziana a Pola, il duomo ad Albona; non dimenticò la basilica di Venzone e l’architettura delle case veneziane che gli serviranno come modelli e corollari indispensabili per la conservazione dei monumenti.
A Trieste conobbe Bruna Tamaro (1894-1987) che lavorava, come archeologa, alla medesima soprintendenza, sin dal 1921, della quale ella diventerà, poi, dirigente. Si sposarono nel 1929 e, da quel giorno, la moglie antepose il cognome del marito al proprio. In quegli anni, Ferdinando Forlati aveva ereditato dalla madre Villa Zenobia a Sommacampagna: e in questo luogo, sempre più sovente, venivano i coniugi anche se i loro impegni li reclamavano altrove.
Nel 1935, succedendo al celebre Gino Fogolari, venne nominato Soprintendente ai Monumenti e alle Gallerie del Veneto e rimase in carica fino al 1939 quando, con le riforme delle soprintendenze a seguito dello smembramento delle stesse in due distinte funzioni, assunse quella ai monumenti dove rimarrà sino al giorno del pensionamento.
A Padova affrontò il restauro del palazzo della Torre degli Anziani della quale era stata decisa la demolizione: egli la salvò con tecniche avveniristiche e grazie, anche – come accadrà assai sovente – alla sua personale responsabilità; a Este, dove la torre campanaria della chiesa di S. Martino si piegava ancor più di quella di Pisa, Forlati stabilizzò la stessa e il terreno circostante. Diresse i lavori per i definitivo restauro della Ca’ d’Oro imponendo l’utilizzazione di strutture atte a tenere fermo per sempre il monumento.
Venne la seconda guerra e si ripresentò, com’era accaduto nella prima, il dovere di proteggere le opere d’arte: questa volta, assai più che allora, probabili oggetti di presa di mira degli aerei. Inventò e applicò le difese antiaeree soprattutto al palazzo ducale e alla basilica di S. Marco: ma non dimenticò nessun altro monumento; trasportò nei rifugi ciò che era possibile e fu, davvero, una grande quantità d’opere d’arte di tutte le città venete. Si sa, purtroppo, che alcuni bombardamenti furono fatali.
Al termine delle ostilità, Forlati si occupò personalmente del rientro delle opere d’arte nelle loro sedi e affrontò, con chiarezza e decisione, il problema della riparazione dei danni di guerra. Nella polemica, spesso politica e cavillosa, tra chi voleva la conservazione delle rovine o il nuovo, là dove le offese belliche erano state particolarmente gravi, egli rispose sempre con la tranquilla e silenziosa sicurezza che era tipica del suo carattere: conservò quanto possibile, ma decise sempre per la soluzione migliore.
Rimise a posto la chiesa degli Eremitani di Padova che fu uno dei lavori più spettacolari della sua straordinaria attività; nella stessa città di occupò del Duomo, delle chiese di S. Sofia, di S. Benedetto e S. Massimo. A Treviso ricuperò il duomo, quattro chiese, la Loggia dei Cavalieri, il Palazzo dei Trecento; questi lavori eccellenti gli procurarono l’attenzione dell’Unesco che gli affidò il recupero della basilica di S. Sofia di Ohrid, nella Macedonia jugoslava. Si occupò del restauro del vescovado di Vicenza, della basilica palladiana della quale ricostruì la copertura a carena e di altre due; assieme alla moglie, condivise la direzione dei lavori sottostanti la cattedrale vicentina assai importante dal punto di vista archeologico. Lavorò al palazzo di Schio e di molte case medievali affrescate che costellavano il tessuto della città antica di Treviso.
Fu il periodo in cui la fama di Ferdinando Forlati soprattutto, ma non solo, per lo straordinario lavoro di salvataggio durante la guerra, emigrò anche all’estero; fu chiamato dal Bundesdenkmalamt austriaco (Direzione delle arti), progettò il restauro della Moschea di Omar nel 1954 e dell’Anastasi del Santo Sepolcro a Gerusalemme (il santuario eretto da Costantino per onorare la Risurrezione).
Nel 1952 fu collocato a riposo: ma la sua attività non si fermò poiché egli riteneva di non dovere arrestare il proprio impegno che fu, sostanzialmente, questo: la sua responsabilità non finiva mai con il restauro del monumento in cui le tracce di tutte le epoche potessero rivelarsi in armonioso accostamento. Egli riteneva doveroso fare posto anche alle opere d’arte moderna chiamando artisti contemporanei perché inserissero la loro opera, a dimostrazione della continuazione della vitalità umana. In queste sue azioni non fu mai guidato dallo spirito polemico (assolutamente assente in lui), ma da un chiaro senso di responsabilità affinché fosse sempre mantenuta l’armonia dell’insieme: il caso del duomo di Vicenza – ma non fu l’unico – testimoniò questa sua attenta personalità: chiamò Pino Casarini, artista veronese molto noto, per le nuove vetrate e gli affreschi. A Bassano ricostruì il famoso ponte ligneo e la chiesa di S. Francesco tenendo presenti quei princìpi appena esposti. Fu, sempre, attentissimo al rispetto e al totale ripristino delle opere d’arte antiche: la dolorosa perdita degli affreschi del Mantegna nella cappella Ovetari degli eremitani fu compensata parzialmente dalla composizione che Forlati fece fare dall’Istituto centrale per il restauro di Firenze.
Coronò degnamente il suo periodo di responsabilità alla soprintendenza di Venezia con il grandioso restauro del complesso monastico all’isola di San Giorgio Maggiore, per iniziativa e magnificenza di Vittorio Cini: il monumento – la fondazione Cini, oggi conosciuta in tutto il mondo – riacquistò con Ferdinando Forlati la bellezza che se ne stava andando.
Nel 1954, dal suo successore alla Soprintendenza, ebbe l’incarico del consolidamento e raddrizzamento dell’ala dell’Arena, dove adottò la nuova tecnica dei fili d’acciai pretesi posti a collegare i blocchi lapidei pericolanti; sarà, questa, una tecnica ch’egli replicherà, nel 1971-72, per i ruderi del ginnasio romano di Tindari.
Nel 1948 aveva avuto il delicato incarico di Proto di San Marco, carica che gli permise di continuare e approfondire gli studi, le ricerche e le metodologie intraprese in un trentennio di attività su un monumento così complesso come la basilica di San Marco; diventerà, poi, Proto della Scuola Grande di S. Rocco e della Scuola di S. Teodoro, architetto della basilica del santo a Padova.
Ultimo suo restauro in qualità di Proto, fu il recupero del chiostro di Sant’Apollonia a Venezia: fu un intervento che passò alla storia per l’ardimento tecnico e per la capacità ch’egli attuò di riportare al livello originale il pavimento del chiostro rinforzando le fondazioni e fornendo le difese alle alte maree. Tuttavia, fino agli ultimi giorni della sua vita, Ferdinando Forlati fu sempre attivo: da qualsiasi parte venisse chiamato, egli non lesinava a nessuno la propria consulenza.
Durante tutta la sua attività egli fu, anche, un attento e solerte scrittore scientifico; venne pubblicando i suoi interventi e i suoi saggi sulle maggiori riviste d’arte scientifiche oltreché in libri a sé stanti.
La bibliografia dei suoi scritti fu vastissima tanto da avvicinarsi ad un centinaio; varie sue opere furono tradotte. In tutte egli portò, sempre, la descrizione, le soluzioni adottate e le metodologie utilizzate. Pubblicò, anche, dei veri e propri lavori di storia dei monumenti dove le conoscenze dell’arte e, massimamente, dell’architettura gli valsero la considerazione dello studioso preciso e scientificamente apprezzabile. Forlati ebbe la rara dote di riunire diverse competenze: quella tecnica dell’ingegnere che analizza e verifica la statica, quella del ricercatore che sperimenta nuove metodiche costruttive, quella dello storico dell’architettura che affronta le trasformazioni del monumento ed infine la grande sensibilità del restauratore.
Grazie alla fama acquisita, era diventato socio dell’Accademia Belle Arti di Venezia, della Deputazione di Storia Patria del Veneto, membro della Fondazione Cini, dell’Accademia Olimpica di Vicenza; era Medaglia d’oro dei Benemeriti della Cultura e dell’Arte.
Si ritirò, novantenne con la moglie, nella trecentesca residenza di Ca’ Zenobia a Sommacampagna ch’egli aveva sistemata nel corso degli anni; alla sua terra, aveva già dedicato il restauro della pieve di Sant’Andrea dov’egli, da piccolo, aveva trascorso i suoi giorni.
Federico Forlati scomparve a Venezia il 18 luglio 1975. Egli riposa a Sommacampagna accanto alla moglie.
Il suo archivio, ricchissimo, è depositato presso l’Università Iuav di Venezia; una piccola parte si trova pure alla Soprintendenza veronese, mentre quello privato giace a Ca’ Zenobia. A lui e alla sua opera sono stati dedicati convegni e giornate di studio e lo Iuav ha messo a disposizione un video dal titolo, Ferdinando Forlati nella ricostruzione postbellica e nel restauro del Novecento, oltreché una mostra dei suoi interventi.
Bibliografia: la bibliografia su di lui è vastissima; citiamo, quindi, quella più facilmente reperibile. Gino Beltramini, Ferdinando Forlati: un benemerito dell’Arte, “Vita veronese”, XXIV, 1971, n. 11-12, pp. 421-424; Piero Gazzola, Ferdinando Forlati, “Atti e Memorie dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona”, s. VI, vol. XXVII, 1975-76, pp. 7-15; Angelo Niero, Ricordo di F. Forlati, “Ateneo Veneto”, n.s., XVI, 1978, 1-2, pp. 189-193; Alba Di Lieto, Ferdinando Forlati, in L’architettura a Verona dal periodo napoleonico all’età contemporanea, a cura di Pierpaolo Brugnoli-Arturo Sandrini, Verona, Banca Popolare di Verona, 1994, pp. 438-441; Francesco Curcio, Forlati, Ferdinando, in Dizionario Biografico Italiani, 49, Roma, Ist. Enc. It., 1997, pp. 9-12; Daniela Zumiani, Forlati Ferdinando, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, pp. 380-381; Le stagioni dell’ingegnere Ferdinando Forlati. Un protagonista nelle Venezie del Novecento, a cura di Stefano Sorteni, Padova, Il Poligrafo, 2017; Antonella D’Aulerio, Ferdinando Forlati (1882-1975). Inventario analitico del fondo archivistico, Padova, Il Poligrafo-IUAV, 2020.
Giancarlo Volpato