García Márquez Gabriel – “Vivere per raccontarla”
í…a cura di Elisa Zoppei
A Gabriel García Márquez che rimarrà sempre con noi
Elisa Zoppei
Cari amici del Condominionews, a poco più di un mese e mezzo dalla scomparsa, avvenuta il 17 aprile u.s., del grande scrittore colombiano Gabriel García Márquez (Gabo), unitamente al nostro Blogger, scelgo questo romanzo, per salutarlo insieme a voi e fargli sentire quanto lo abbiamo amato attraverso i suoi libri in pagine così dense di eccezionale arte narrativa, così cariche di amore per il suo Paese e la sua Gente, così intense di passione per la vita. Non traccerò pertanto il profilo crono/biografico dell’autore, preferendo raccoglierlo tra le righe di questo coinvolgente romanzo, entrando nelle pieghe segrete della sua vita, seguendo le orme e scoprendo i semi dai quali sono nati gli altri romanzi.
Sulla copertina una foto autentica di Gabriel da Piccolo.
Gabo fa precedere “Vivere per raccontarla”, pubblicato in Italia dalla Mondadori nel 2002, da una frase che contiene come una verità biblica il credo fondamentale che lo ha accompagnato nelle sue inarrestabili scorribande alla ricerca di storie di famiglia e dintorni, annusandone gli odori, gustandone i sapori, ascoltando le voci della sua Terra caraibica, fissando tutto nella memoria e tutto trapiantando nella scrittura: “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”.
Qui la racconta iniziando un viaggio con sua madre, dritta pallida, vestita di nero, che inaspettatamente gli ha chiesto il favore di accompagnarla ad Aracataca per vendere la vecchia casa dei genitori, dove lui era nato il 6 marzo1927. Durante il viaggio che dalla città di Barranquilla, dove risiede, li porterà ad Aracataca, sulla costa caraibica della Colombia su mezzi di fortuna e un treno sferragliante, immersi nell’afoso caldo estivo, si sciolgono i ricordi dei suoi anni infantili trascorsi nell’intimità domestica della grande casa sotto la tutela dei nonni materni: il colonello liberale Nicolás Márquez, chiamato affettuosamente Papaleo, e Tranqulina Iguarán, la nonna ”Mina” che gli aveva “guastato” l’infanzia con fiabe e leggende intrise di fosco misticismo locale, ma che gliela aveva anche addolcita con l’aroma dei i suoi animaletti di caramello che saturarono le albe della sua vita. La loro figlia, Luisa Santiaga Márquez Iguarán, era cresciuta nello splendore effimero della compagnia bananiera, aveva ricevuto una buona educazione: pianoforte, ricamo, balli di società con la timorata aristocrazia del luogo, ma, senza alcun permesso aveva sposato il telegrafista del paese, Gabriel Eligio García, che amò sempre con appassionata gelosia, dandogli, un anno dopo l’altro, ben 16 figli. Lui era un giovanotto di bell’aspetto con occhialini cravatta e paglietta e l’aria del seduttore. Non aveva potuto proseguire gli studi da medico e da farmacista per mancanza di denaro, ripiegando sul nuovo mestiere di telegrafista. Una sera, durante una festa danzante, tra un valzer e un tango audacemente si tolse il fiore che portava all’occhiello del bavero e lo offrì alla fanciulla con queste parole: «Le offro la mia vita in questa rosa». Fu, il loro, un amore fulminante e contrastato che durò tutta la vita, raccontato più volte e in tanti modi diversi ai loro figli. Gabriel si appassionò ai loro racconti che riportò l’intera storia nel suo primo romanzo Foglie morte, pubblicato a 27 anni nel 1955. Allora era consapevole che doveva ancora imparare molto sull’arte di scrivere romanzi e stare attento ai tempi verbali, per cui riveduto e corretto lo diede alle stampe nel 1977. Più tardi nel romanzo L’amore ai tempi del colera (1986) mischiò ancora i racconti dei suoi genitori in un romanzo dove la vita si confonde nella poesia in quell’atmosfera di “realismo magico” che contraddistingue tutta la sua scrittura come un marchio di qualità e di originalità.
La primogenitura toccò proprio a lui a Gabito nato in quel paesino fondato nel 1885sulle rive di un fiume dalla acque diafane che si precipitavano lungo un letto di pietre bianche…, con la chiesa nella piazza e le casette da favola dipinte con colori primari: un buon posto per vivere, dove tutti si conoscevano. Al centro dei suoi ricordi infantili campeggia la figura del nonno Papaleo, che una volta lo aveva portato a vedere la magica meraviglia del ghiaccio e che spesso lo attirava nel chiuso del suo laboratorio dove insieme passavano le ore fabbricando i pesciolini d’oro dal corpo articolato e dai minuscoli occhi di smeraldo. Noto questi particolari perché risulti chiaro che con questo viaggio tra i ricordi, il grande scrittore ci fa entrare là dove sono nati molti suoi romanzi. Ci conduce in quella piantagione di banani prima rigogliosa e ora diventata sodaglia e più tardi trasfigurata nel nostalgico scenario di Macondo, il villaggio incantato di Cent’anni di solitudine (1967). E via via che percorriamo grandi distanze tra una sosta e l’altra del treno, pezzo dopo pezzo egli ricuce la sua storia, mentre dal finestrino rotto ci entra negli occhi una rugiada tenue di polvere ardente. Avvicinandoci alla meta, passiamo davanti al parco della piccola scuola montessoriana che lui e la sorellina Margot avevano frequentato da bambini. Non so se ciò appare in qualche biografia ufficiale di Márquez, oltre che qui in questa sua personale autobiografia, dove egli scrive:”Non credo ci sia un metodo migliore di quello montessoriano per rendere i bambini sensibili alle bellezze del mondo e per destare in loro la curiosità dei segreti della vita, e fomentare, nel mio caso, il senso di indipendenza e l’individualismo”. Non è perciò azzardato credere che alle radici della portentosa scrittura di Gabriel García Márquez ci sia stata una maestra attenta ai suoi ritmi e alle sue inclinazioni, pronta a stimolare le sue potenzialità, lasciandolo libero di esprimersi nella sua esuberante energia. Forse proprio la maestra che gli insegnò a leggere portandolo a riconoscere i suoni delle consonanti e facendogli scoprire la “magia” delle parole. Sicché riuscì prestissimo a leggere il primo libro che trovò in un baule polveroso del magazzino della casa. Era scucito e incompleto, ma lo catturò in una maniera così intensa che a uno della famiglia sfuggì una premonizione terrificante: «Cazzo!, questo bambino diventerà uno scrittore». Il libro era Le mille e una notte.
Fu una premonizione scritta nelle stelle, un dono del cielo che annunciava una vocazione travolgente e misteriosa, alla quale egli consacrò la sua vita intera senza aspettarsene nulla. Continuò a leggere. Poco più che ventenne abbandonò la facoltà di Legge dopo aver conseguito gli studi liceali con esiti non sempre brillanti, e aver letto tradotti e in edizioni prestate tutti i libri che gli occorrevano per imparare la tecnica di scrivere romanzi. Aveva pubblicato sei racconti piuttosto buoni, in supplementi di giornali, ed era più che mai determinato, contro la volontà paterna, a guadagnarsi da vivere facendo lo scrittore. Lo troviamo giovane squattrinato senza arte né parte, sulla costa caraibica della Colombia, fra Barranquilla e Cartagena de Indias che sopravvive come un pezzente, con la misera paga di 3 pesos per ogni pezzo e 4 per un editoriale, per i suoi articoli sul quotidiano “El Heraldo”, e dorme nella migliore compagnia possibile dove lo sorprende la notte. Nuota nel caos delle sue incertezze e fervide aspirazioni, dominato dalla penuria di mezzi come si recepisce in questo autoritratto: baffi silvestri, capelli scarruffati, pantaloni di tela jeans, camicia e fiori equivoci e sandali da pellegrino. C’è chi lo considera un caso disperato. Sua madre con la proverbiale forza di carattere travestita di dolce mitezza, ripetutamente lo incita a riprendere gli studi, per rispetto verso se stesso e il padre. Ma Gabo non si lascia smuovere di un millimetro. Non c’è niente al mondo che possa fare se non scrivere. Tutto quello che tocca che vede che sente che vive è materia prima per imbastire storie, seguendo il suo formidabile fiuto di narratore. Ce l’ha nel sangue fin da bambino quando sorprendeva gli adulti ripetendo i discorsi sentiti da loro e farcendoli di fantasticherie che li impressionavano e li divertivano.
Giornata dopo giornata la sua vita ci scorre davanti agli occhi, ci ferma sugli anni dell’adolescenza, sui primi amori che gli hanno fatto perdere l’innocenza; sull’episodio della sua tresca amorosa con una insegnante sposata che fra una scopata e l’altra gli ha insegnato l’ortografia e il metodo per studiare e riuscire bene a scuola. Ci mostra l’indigenza della famiglia, perseguitata dalla povertà: i numerosi tentativi del padre di aprire una farmacia omeopatica erano andati tutti in fallimento. Con accenti di affetto ci confida l’eccezionale rapporto con la madre fatto di ammirazione per il suo carattere da leonessa silenziosa ma feroce dinanzi alle avversità. Ci presenta gli amici con i quali condivideva la passione per il calcio e i colleghi del giornale con cui discuteva per ore fumando una sigaretta dietro l’altra. Ci parla delle scorpacciate di lettura nella libreria Mondo centro propulsore della vita culturale di Barranquilla dove intrecciava relazioni importanti con artisti scrittori e poeti. Aveva una straordinaria facilità a imparare a memoria canzoni brani di prosa e lunghe poesie fra cui una particolarmente amata: Poesia Venti di Pablo Neruda.
Si sofferma sulle bricconate del fratello Luis Enrique, di un anno più giovane, ma più smaliziato ed esperto di donne di vita che prima di finire nel collegio di correzione lo aveva introdotto nell’alcova di Nigromanta, una ventenne assatanata dal profilo abissino e una pelle di cacao: Era di letto allegro e di orgasmi sassosi e tribolati e aveva un istinto per l’amore che sembrava non di una creatura umana, ma di un fiume in piena. Era anche moglie di un gigantesco ufficiale dell’ordine pubblico che tornando a casa all’improvviso una notte li trovò nudi e addormentati. E poi?
Se volete saperne di più aprite il libro a pagina 242/243. E poi continuate fino alla fine che avrete una infinità di sorprese. Buona lettura.
Vs. Elisa
Per notizie biografiche di normale routine andare a it.wikipedia.org/wiki/Gabriel_García_Márquez