Recchi Gianni
Nato a Sandrà di Castelnuovo del Garda (VR) nel 1922, si è trasferito in giovanissima età a Verona.
Ha partecipato, come bersagliere motociclista, all’ultimo conflitto ed ha poi prestato servizio presso l’Amministrazione Finanziaria e, successivamente, presso la Cassa di Risparmio.
Cultore della Poesia Dialettale veronese, ha vinto numerosissimi Premi a livello Triveneto e Nazionale, e per due volte, gli è stata assegnata la medaglia d’oro del Premio “Berto Barbarani”.
Ha Pubblicato tre libri di Poesia in dialetto veronese come unico autore, ed altri due li ha pubblicati insieme ad altri importanti Poeti Dialettali veronesi.
L’ultimo suo lavoro, è stata la collaborazione con altre prestigiose firme della cultura veronese, per la pubblicazione del libro “Dialetto – Regolette e Fantasia” (*esperto di metrica, accenti, etc…), presentato l’aprile dell’anno scorso in quel di Castelnuovo del Garda, davanti ad una sala gremitissima di appassionati della nostra lingua madre. Nel libro, Gianni appare con un articolo sulla magia del dialetto, la magia del linguaggio trasformata in immagine, nella realtà del tempo non datato, che iniziò, quando l’uomo iniziò ad essere uomo.
Persona affabile, schietta e sincera nelle sue espressioni e nell’approccio con chiunque lo avvicinasse, arguto e criticamente costruttivo nelle osservazioni ed impareggiabile oratore.
La sua Poesia ci porta spesso al passato che lui intensamente e duramente ha vissuto, al sentimento dei ricordi affettivi familiari e non, alla natura della quale, in Poesia, si rivela tenero amante ed ai mille problemi, che da sempre assillano l’Umanità, sempre con un filo d’ironia e di speranza anche laddove la faccenda, è stata o poteva essere tragica.
In pensione quale funzionario della Cassa di Risparmio, viveva tra Verona e Negrar, dove curava un piccolo vigneto, per il vino dell’amicizia.
Come nella sua Poesia “A l’ostaria dal Cìci”, quasi con il fazzoletto in mano, ci ha salutati, il 16 Agosto del 2009, ricordandoci di accompagnarlo nel suo ultimo viaggio, portandogli una Rosa Rossa, e così tutti noi, abbiamo fatto.
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La Madonina de Montelungo
O Madonina su le senge frede
de Montelungo, scolta quei che crede
nel Cristo de la pace e tra le roce
un giorno i t’à `nvocà co’n fil de voce.
Protegi col to manto bianco el sono
de i to Soldà destesi in abandono
a l’arfio de la Morte che veloce
la ià `ngiassà co i brassi stenchi in croce.
Iò visti mi a morir e iera tanti
e iera Bersalieri e iera Fanti
e l’era rosso el fior de la granata
sbocià nel giorno de l’Inmacolata.
Quando rintoca lenta la campana
e tra la nebia grisa de la piana
strapegando fantasmi de paura
l’aqua del Peccia la deventa scura
vedo nel fango l’Ombra de un Fradel
co i brassi verti a mesurar el Cel:
destèndeghe ‘l to manto par bandiera
quando dal Monte sbrissia-zo la sera.
LA MADONNINA DI MONTELUNGO: O Madonnina sulle cime fredde/di Montelungo, ascolta quelli che credono/nel Cristo della pace e tra le rocce/un giorno t’hanno invocata con un fil di voce.//Proteggi con il tuo manto bianco il sonno/dei tuoi soldati distesi e abbandonati/all’alito della Morte che veloce/li ha ghiacciati con le braccia irrigidite a croce.//Li ho visti morire ed erano tanti/ed erano Bersaglieri ed erano Fanti/ed era rosso il fiore della granata/sbocciato nel giorno dell’Immacolata.//Quando rintocca lenta la campana/e tra la nebbia grigia della pianura/l’acqua del Peccia diventa scura/vedo nel fango l’Ombra d’un Fratello/con le braccia aperte a misurare il cielo:/distendigli il tuo manto per bandiera/quando dal Monte scivola giù la sera.
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