Recchi Gianni

…a cura di Graziano M. CobelliPoesia

Per contattarmi scrivi a >>> gcobelli05@gmail.com

Gianni Recchi

Nato a Sandrà di Castelnuovo del Garda (VR) nel 1922, si è trasferito in giovanissima età a Verona.
Ha partecipato, come bersagliere motociclista, all’ultimo conflitto ed ha poi prestato servizio presso l’Amministrazione Finanziaria e, successivamente, presso la Cassa di Risparmio.
Cultore della Poesia Dialettale veronese, ha vinto numerosissimi Premi a livello Triveneto e Nazionale, e per due volte, gli è stata assegnata la medaglia d’oro del Premio “Berto Barbarani”.
Ha Pubblicato tre libri di Poesia in dialetto veronese come unico autore, ed altri due li ha pubblicati insieme ad altri importanti Poeti Dialettali veronesi.

Gianni Recchi2L’ultimo suo lavoro, è stata la collaborazione con altre prestigiose firme della cultura veronese, per la pubblicazione del libro “Dialetto – Regolette e Fantasia” (*esperto di metrica, accenti, etc…), presentato l’aprile dell’anno scorso in quel di Castelnuovo del Garda, davanti ad una sala gremitissima di appassionati della nostra lingua madre. Nel libro, Gianni appare con un articolo sulla magia del dialetto, la magia del linguaggio trasformata in immagine, nella realtà del tempo non datato, che iniziò, quando l’uomo iniziò ad essere uomo.
Persona affabile, schietta e sincera nelle sue espressioni e nell’approccio con chiunque lo avvicinasse, arguto e criticamente costruttivo nelle osservazioni ed impareggiabile oratore.
La sua Poesia ci porta spesso al passato che lui intensamente e duramente ha vissuto, al sentimento dei ricordi affettivi familiari e non, alla natura della quale, in Poesia, si rivela tenero amante ed ai mille problemi, che da sempre assillano l’Umanità, sempre con un filo d’ironia e di speranza anche laddove la faccenda, è stata o poteva essere tragica.
In pensione quale funzionario della Cassa di Risparmio, viveva tra Verona e Negrar, dove curava un piccolo vigneto, per il vino dell’amicizia.
Come nella sua Poesia “A l’ostaria dal Cìci”, quasi con il fazzoletto in mano, ci ha salutati, il 16 Agosto del 2009, ricordandoci di accompagnarlo nel suo ultimo viaggio, portandogli una Rosa Rossa, e così tutti noi, abbiamo fatto.

***

 La Madonina de Montelungo

O Madonina su le senge frede
de Montelungo, scolta quei che crede
nel Cristo de la pace e tra le roce
un giorno i t’à `nvocà co’n fil de voce.

Protegi col to manto bianco el sono
de i to Soldà destesi in abandono
a l’arfio de la Morte che veloce
la ià `ngiassà co i brassi stenchi in croce.

Iò visti mi a morir e iera tanti
e iera Bersalieri e iera Fanti
e l’era rosso el fior de la granata
sbocià nel giorno de l’Inmacolata.

Quando rintoca lenta la campana
e tra la nebia grisa de la piana
strapegando fantasmi de paura
l’aqua del Peccia la deventa scura

vedo nel fango l’Ombra de un Fradel
co i brassi verti a mesurar el Cel:
destèndeghe ‘l to manto par bandiera
quando dal Monte sbrissia-zo la sera.

LA MADONNINA DI MONTELUNGO: O Madonnina sulle cime fredde/di Montelungo, ascolta quelli che credono/nel Cristo della pace e tra le rocce/un giorno t’hanno invocata con un fil di voce.//Proteggi con il tuo manto bianco il sonno/dei tuoi soldati distesi e abbandonati/all’alito della Morte che veloce/li ha ghiacciati con le braccia irrigidite a croce.//Li ho visti morire ed erano tanti/ed erano Bersaglieri ed erano Fanti/ed era rosso il fiore della granata/sbocciato nel giorno dell’Immacolata.//Quando rintocca lenta la campana/e tra la nebbia grigia della pianura/l’acqua del Peccia diventa scura/vedo nel fango l’Ombra d’un Fratello/con le braccia aperte a misurare il cielo:/distendigli il tuo manto per bandiera/quando dal Monte scivola giù la sera.

***

Un funeral, ma belo

 Se na olta passava un fumeral
la gente se tirava da na parte
tuti i osti i costava el banconal
e i clienti i meteva zo le carte.

Coi cavai che tirava la carossa
de trabalon su i sassi de la piassa
al dindonar de na girlanda rossa
se scuninava el morto ne la cassa.

E a i vivi l’era de consolassion
pensar, quando che l’ora la scocava,
de averghe dal “de là” la sensassion
de tuta quela gente che pregava

e che con patarnostri e rechiascanti
la compagnava ne l’estremo adio
tra un gran sgolar de angeli e de santi
ci no podeva più tornar indrio.

Provè a seguirlo adesso un funeral!
Provè a cavarve la sodisfassion
de metarve in colona a l’ospedal
e sbaliar morto par la confusion.

Provè a catarve fermi con el rosso
quando meso corteo l’è za passado
e po rivar de corsa a più no posso
quando el morto l’è belo soterado.

Sarò nostalgico e sentimental
ma dato che morir l’è obligatorio
voria a la me ora un funeral
con tanto de cavai e de obitorio:

parché piutosto che i me porta via
tra semafori e colpi de sirena
mi vago al simitero in filovia
co la me cassa soto la lesena.

UN FUNERALE, MA BELLO: Se una volta passava un funerale/ la gente si faceva da parte/tutti gli osti smettevano la mescita/ed i clienti appoggiavano le carte.//Con i cavalli che tiravano la carrozza/traballando sui sassi della piazza/al dondolare d’una ghirlanda rossa/si scuoteva il morto nella cassa.//Ed ai vivi era di consolazione/pensare, quando l’ora scoccava,/d’avere dall’aldilà la sensazione/di tutta quella gente che pregava/ e che con Pater Nostri e requie e canti/accompagnava nell’estremo addio/tra un gran svolazzo di Angeli e di Santi/chi non poteva più tornare indietro.//Provate a seguirlo ora un funerale!/Provate a levarvi la soddisfazione/di mettervi in colonna all’ospedale/e sbagliare morto per la confusione.//Provate a trovarvi fermi con il rosso/quando mezzo corteo è già passato/e poi arrivare di corsa a più non posso/quando il morto è già bello sotterrato.//Sarò nostalgico e sentimentale/ma dal momento che morire è obbligatorio/vorrei alla mia ora un funerale/con tanto di cavalli ed obitorio:/perché piuttosto che mi portino via/tra semafori e colpi di sirena/io vado al cimitero in filovia/con la mia cassa sotto l’ascella. 

 ***

↓