Groppo Weingrill Gisella

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Pittrice, Gisella Groppo nacque a Verona il 13 ottobre 1872. Le dettero la vita Luigi, farmacista nella città, e Annunciata Cassarini-Perolini, nobildonna milanese. Seguiti gli studi che per una donna, in quel tempo, erano previsti, ella manifestò sin dai primi anni la sua inclinazione per le belle arti e, in particolare, per la pittura. Questa sua propensione trovò ostacoli piuttosto forti all’interno della famiglia. Il padre era stato uno dei Mille e, del suo passato garibaldino, serbava una cert’aria di fronda che lo faceva sorridere alle impennate d’indipendenza della figlia. La madre, nobildonna, non prestava certo attenzione ai desideri di Gisella che nutriva aspirazioni considerate, allora, solamente maschili; eppure era stata la figlia la prima fanciulla veronese a salire su un velocipede e sfrecciare, tra uno sventagliare di gonne e pizzi, per le strade ciottolose del centro di Verona.
La sua prepotente vocazione al disegno finì per convincere il padre, il quale capì che non si dovevano mettere troppi ostacoli a quello che sembrava un perentorio segno del destino: così, convinse anche la moglie a lasciare aperta la strada della figlia. Quando Gisella Groppo varcò per la prima volta, nel 1888, la soglia dell’Accademia Cignaroli (allora nei vetusti locali di Palazzo Pompei presso l’Adige), aveva sedici anni: aveva ottenuto – e ne sarà fiera per tutta la vita – di frequentare un’educazione decorosa, borghese ma soprattutto affine alle proprie inclinazioni.
C’è un disegno, del 1892, tracciato con abilità e delicatezza di tocco da Arturo Weingrill, che la ritrae di tre quarti con un bel viso dolce e deciso, i grandi occhi neri e la frangia leggera dei capelli che ombreggia la fronte: nell’ovale perfetto del volto, nelle labbra chiuse, si legge – oltre lo stereotipo femminile del tempo – il carattere insieme forte e gentile di Gisella Groppo.
All’Accademia si distinse presto tra gli allievi migliori di Napoleone Nani, direttore della scuola e grande innovatore della pittura; se ne accorse l’allieva che, quando venne il successore, Pietro Nanin, figura modesta e tenace assertore del manierismo accademico estraneo all’originalità creativa, se ne andò e cominciò, per lei, l’avventura del suo studio solitario e determinato verso una ricerca “verista”, personale e spontanea.
Durante gli studi aveva conosciuto Arturo Weingrill, di padre austriaco e madre veronese, pittore acclarato, docente di disegno nella scuola artistica femminile e, poi, direttore della Scuola d’arte applicata all’industria nella città scaligera. Gisella lo sposerà, nel 1894, vincendo, una volta ancora, le resistenze della famiglia, preoccupata che la vocazione artistica diventasse dominante con la presenza del marito pittore. In verità fu un matrimonio felice tra benestanti borghesi allietato dalla nascita del figlio Zeno: un nome che era, chiaramente, un tributo alla città che li accoglieva.
Fu l’unica donna pittrice dell’epoca nonostante ella assorbisse l’aria verista che Nani aveva insegnato e si sentisse parte integrante di quegli artisti veneti e veronesi ch’erano stati suoi compagni di studi: Filippo Nereo Vignola, Luigi Spazzi, Giovanni Bevilacqua, Dante Pegrassi oltre a Ettore Tito, Federico Zandomeneghi e, soprattutto, Guglielmo Ciardi. Poco incline a recepire gli influssi esterni, se si esclude il vento d’oltralpe, Gisella – essendo donna – non partecipava ai cenacoli artistici sull’Adige. Iniziò, così, per lei, una vita quasi solitaria, indipendente, poco inserita nell’ambiente delle mostre.
Esordì, infatti, con il marito, nella splendida pala d’altare di Santa Lucia della Battaglia e nella Fetta di polenta, eseguite a due mani. Poi, andò da sola: grazie alle conoscenze delle famiglie benestanti, Gisella Groppo (che da allora firmò tutte le sue opere con il duplice cognome) collocò i suoi quadri offrendo spazio alla propria attività artistica. La quale, per qualche tempo, si limitò ai ritratti di famiglia ma dove la giovane pittrice si dedicò pure alle Madonne, allora tema molto in voga: tra queste, da ricordare almeno Madonna con bambino e, soprattutto, Madonna delle rose, acquistata dalla galleria d’arte moderna di Dresda in Germania: di quest’ultima opera, diventata assai conosciuta perché fotografata dagli Alinari, esistono copie fotografiche in alcuni Istituti Europei che hanno collezionato tutte le riprese dei celebri fratelli. Con essa, Gisella Groppo partecipò al concorso d’arte sacra di Firenze nel 1902, dove fu premiata. Il maggiore studioso dell’epoca, A. Comanducci, citò, di quel periodo, Amoroso convegno, Mater amabilis, Alla culla, Bimba e Invocazione.
Per anni l’artista si autoesiliò dai grandi consessi pittorici, non volle partecipare a mostre: la sua indole di donna solitaria l’accompagnerà per tutta la lunga vita. Però, con grande intelligenza ed afflato culturale, coglieva, nel medesimo tempo, il grande contesto artistico della “veronesità”. Se le sue opere dell’esordio s’accostarono assai al verismo del veneziano Giacomo Favretto, accadde che la città scaligera della fine Ottocento fosse pervasa dall’opera di Angelo Dall’Oca Bianca, nume tutelare della pittura che, forse sapendolo, fu l’indiscusso “maestro” di tanta pittura dell’epoca.
Le grandi qualità di Gisella Groppo si manifestarono evidenti come già era accaduto nelle prime prove delle quali non si possono dimenticare le Bambine davanti al fuoco che giocano con le ombre e i chiaroscuri di non tanto vaga ascendenza di Rembrandt. L’impressionismo dei Macchiaioli risultò assai chiaro nel dipinto In collina a Poiano del 1893: qui il segno si disfaceva per lasciare emergere la densa e variata cromia luminosa sulle due figure della contadina e del bambino nella quale si addensa il colore/luce. Su tutte le sue opere di quegli anni, nelle quali i segni favrettiani e dallochiani appaiono incontrovertibili, si eleva Le ciàcole al lavatoio del 1893: un olio su tela dove le lavandaie-contadine presero il volto dolce e sereno delle sorelle. Il mondo della vita veronese, delle sue piccole e grandi figure, s’impadroniva del pennello della Groppo anche se la tela fu dipinta a Veglio di Cerano d’Intelvi, in provincia di Como, dov’ella andava spesso a soggiornare.
Ormai la pennellata dell’autrice era diventata rilevante; diventeranno sempre più importanti le tonalità del colore, il gioco prospettico, il tocco rapido e arioso dove furono aborrite assolutamente le levigature accademiche a favore dell’impressione della luce che conferiva, alle opere, un’originale sapienza della composizione.
Sulla stessa linea della precedente, si poneva Lettera da Adua, del 1896: certamente l’opera più vicina al verismo di Favretto e Dall’Oca Bianca e nella quale i modi narrativi della pittrice si muovono come in una sorta di controcanto all’immobilità delle due figure e alla ricca perfezione dell’arcolaio e del secchio di rame “salutati” dalla luminosità della finestra. Fu l’epoca, questa, del plein air: ricordiamo, almeno, A Spiazzi di Montebaldo e ancora A Spiazzi verso il Montebaldo, pregni di un’aura segantiniana, dove, senza alcun simbolismo, si segnala grande attenzione alla luminosità che addolcisce il paesaggio montagnoso pure lasciandone intatti i contorni. Un uso abile e commosso della luce, quasi crepuscolare, ha reso celebre lo Stal de le vecie, un’opera dell’Arcadia cittadina dove la tela ha fissato un interno quotidiano, illuminato da tonalità calde e delicate: l’antico cortile che si apre tra edifici tre-quattrocenteschi su Corso Porta Borsari.
Erano gli anni dell’arrivo di Alfredo Savini a dirigere l’Accademia Cignaroli; egli era in opposizione a Dall’Oca Bianca e al suo modo pittorico: per i coniugi Weingrill ciò apparve come una grande ventata di novità. Per Gisella Groppo cambiarono molte cose; per lei che, nel 1894, aveva partecipato ad una mostra indetta dalla Società Belle Arti dove i suoi due Studi dal vero furono considerati “rimarchevoli per una dilettante” dal critico de “L’Arena”, si aprì la via delle grandi esposizioni; già nel 1893 era stata presente alla Mostra Nazionale di Verona, ottenendo un lusinghiero successo. Nella Grande Esposizione del 1900 – sempre della medesima Società – presentò tre opere: come sempre accadde e come accadrà in futuro, esse andarono, poi, in collezioni private; un suo quadro fu acquistato da Albano Franchini, il maggiore stampatore di Verona oltreché padrone del giornale scaligero. Gisella Groppo non mancò a quelle del 1902, del 1904, del 1906.
E quest’ultimo anno segnò, per la solitaria artista, il passo forse più importante: partecipò alla Biennale di Venezia con Ritratto del padre e Ritratto della madre: quest’ultimo fu definito “bellissimo” dai critici. In queste opere l’autrice, oltreché cogliere l’interiorità dei personaggi, attraverso i tratti fisiognomici assai ben definiti, fece propria la lezione figurativa della grande pittura ottocentesca che si rifaceva alla presenza di Francesco Hayez a Verona; la Groppo, certamente forte anche per quel suo splendido quadro Memento Homo del 1900, dove aveva colto la figura nella sua umanità e nel suo splendore di uomo e di donna, innalzò, in queste opere, probabilmente il suo atto più solenne del ritratto tradizionale.
Nacquero, quindi, gli anni fecondi della maturità con quadri di fiori, nature morte (eccezionale la Natura morta presente presso la Galleria d’Arte Moderna Forti di Verona e donata da Federico Dal Forno nel 1970).
Nel 1937 venne a mancare Arturo Weingrill: fu una perdita dolorosa anche perché i coniugi avevano condiviso passione per l’arte e amore per la vita. Per lei iniziò una nuova fase della pittura: più libera, più sensibile alla ricerca dello stile. Non andò più a mostre, si diede alla committenza. Dipinse molto, in silenzio, dedicandosi al colore, alle pennellate fiammanti (si veda, ad esempio Brocca con rose del 1935); si aprì la strada di una diversità senza, peraltro, dimenticare le novità che provenivano nel campo della pittura. Nel 1940 cominciò a dedicarsi al pastello. Fu una sperimentazione di grandi risultati. Parlano, per questi, i quadri dei paesaggi del lago di Como, delle colline d’Intelvi, del lago di Garda (citiamo il suo Sirmione, ad esempio). Non dimenticò il primo amore per i ritratti dei quali si ricordano, almeno, quelli dei nipoti ma ai quali devonsi aggiungere molti altri (tra cui, ma eseguito molti anni prima, quello dolcissimo del figlio).
L’amore per la pittura e per il segno del colore, l’attenzione all’arte, nel suo insieme, non vennero mai meno né declinarono in quella splendida signora che, raggiunti i novantaquattro anni di età, continuava ad adoperare tavolozza e pennelli.
Gisella Groppo scomparve a Pinerolo (Torino), dove s’era trasferita da poco, il 25 aprile 1967.
Nella mostra dedicatale nel 1993 al Museo Miniscalchi Erizzo, il curatore Gian Paolo Marchini, che pubblicò un catalogo, inventariò più di cento opere dell’artista, tutte in collezioni private eccetto le pochissime nelle Gallerie pubbliche.
Verona non le ha dedicato nulla né di lei rimangono ricordi pubblici.

Bibliografia: Agostino M. Comanducci, I pittori italiani dell’Ottocento: dizionario critico e documentario, Milano, Artisti d’Italia, 1934, p. 313; Gian Paolo Marchini, Gisella Groppo Weingrill, in La pittura a Verona dal primo Ottocento a metà Novecento, a cura di Pierpaolo Brugnoli, Verona, Banca Popolare di Verona, 1986, pp. 291-295; Bruno Meneghello, Annali Società Belle Arti di Verona: 1858-1921, Verona, Lions Club Verona Catullo, 1986, pp. 163-166, 171-172; Gian Paolo Marchini, Un’inedita pittrice veronese tra Otto e Novecento: Gisella Groppo Weingrill, 1872-1967: Museo Miniscalchi-Erizzo, Verona 27 marzo-2 maggio 1993, Verona, Museo Miniscalchi Erizzo, 1993; Paola Azzolini, Gisella Groppo Weingrill (Verona 1872-1967), in Le tele svelate. Antologia di pittrici venete dal Cinquecento al Novecento, a cura di Caterina Limentani Virdis, Milano-Venezia, Eidos, 1996, pp. 201-209; Elena Casotto, Il verismo pittorico, in L’Ottocento a Verona, a cura di Sergio Marinelli, Cinisello Balsamo (Milano), Silvana, 2001, pp. 311-341; Gian Paolo Marchini, Groppo Weingrill Gisella, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, pp. 450-451; Paola Marini-Cecilia Piubello, Donne artiste a Verona. Figure di pittrici dal XVI al XX secolo, in Donne a Verona. Una storia della città dal medioevo ad oggi, a cura di Paola Lanaro e Alison Smith, Sommacampagna, Cierre, 2012, p. 211; Michela Mazzurana, Per una ricostruzione del contesto delle donazioni e dei legati testamentari a favore della GAM Achille Forti di Verona: le opere della prima metà del XX secolo (tesi di laurea, Corso Magistrale, Venezia Univ. Ca’ Foscari, a.a. 2017-2018, rel. Nico Stringa), p. 115.

Giancarlo Volpato

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