2. Attorno al 1000
…a cura di Aldo Ridolfi
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I Cimbri della Lessinia
- Attorno al Mille
Dall’anno 1000 in poi le cose si fanno un poco più chiare, anche se lo storico deve comunque procedere confrontando documenti, estrapolando eventi, individuando volontà. Con non poche difficoltà. Una storia già scritta, valida per sempre, non c’è. La speranza di poter avere una visione delle vicende umane dall’alto – quella visione, per capirci, che ci possono dare i satelliti – è, per il momento, destinata a non realizzarsi. E con essa naufraga anche l’idea di poter dare, una volta per sempre, sulla superficie piana della pagina, la “tridimensionalità” della storia, il suo complicatissimo intreccio, il suo gioco infinito di rimandi.
Accontentiamoci.
Ci siamo decisamente sbarazzati da tempo delle teorie secondo le quali i Cimbri veronesi sarebbero i discendenti dei Cimbri sconfitti da Mario nel 101 a. C., ai Campi Raudii, località non ben identificata (si parla di Vercelli ma anche della piana tra Rovigo e Ferrara). E anche l’idea che essi derivino dalle popolazioni longobarde che pure si erano stanziate nella pianura e all’imbocco delle valli, in parte risalendole, e lasciandovi toponimi e resti, ha abbandonato la storiografia a vantaggio di analisi più attente e sofisticate e dunque gli storici sono approdati ad una visione più “scientifica” affidandosi ai documenti d’archivio, studiando la toponomastica e confrontando i diversi stadi evolutivi della lingua cimbra. Ma per ottenere un simile risultato è stato necessario attendere gli studi di Carlo Cipolla che nel 1882 pubblica un testo fondamentale.
Certo, ci è concesso di lasciarci un poco andare con l’immaginazione, di pensare a lunghe carestie che in quei lontanissimi secoli compromettevano la vita stessa a nord delle Alpi e che ciò, come accade oggi e come è sempre accaduto in ogni angolo del pianeta, abbia indotto l’uomo a muoversi, a guardarsi attorno, a cercare aree diverse e migliori per stanziarsi.
Una situazione, dunque, molto fluida, per nulla riconducibile a pochi tratti di matita. A tutto questo bisogna aggiungere l’imponente fenomeno benedettino che in quei secoli andava cambiando il volto dell’Europa. Ciò induce lo storico veronese Marco Pasa a scrivere che «l’insediamento di una popolazione stanziale nelle montagne lessiniche, in gran parte costituite da pascoli e boschi, ma dove fin dall’età romana soggiornavano durante la stagione estiva grandi armenti di pecore, è operazione programmata con meticolosità, attuata con metodi rigorosi e volta ad assicurare nell’area dei confini col territorio trentino ed imperiale una vigilanza elastica ma, al tempo stesso continua ed affidabile»: di sottili strategie territoriali il potere si serve, con astuzia ma anche con lungimiranza, allora come oggi.
Così nel 1040 avviene un fatto nuovo, importante, che ci riguarda da vicino. Questa volta documentato: la fondazione, ad opera del vescovo veronese Walterio, di un castello, a Badia Calavena, Val d’Illasi, Verona (centro e toponimo, quello di Badia Calavena, che, nel 1040, forse è il caso di ricordarlo, manco esisteva!).
Monte San Piero, a Badia Calavena (VR), con l’omonima chiesa;
è il sito sul quale sorse il castello fondato dal vescovo Walterio.
Aldo Ridolfi (continua)