L’Alpino: “Articolo di GIUSEPPE ARMELLIN pubblicato su “FIAMME VERDI” del periodico della Sezione Alpini di Conegliano”… – 49
…a cura di Ilario Péraro
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Articolo pubblicato su “FIAMME VERDI” del periodico della Sezione Alpini di Conegliano.
Racconto di GIUSEPPE ARMELLIN Caporal maggiore della Divisione Tridentina, battaglione Vestone, 6° Reggimento Alpini.
Finalmente il mattino del 26 gennaio, noi del battaglione Vestone che marciavamo in avanguardia, giungemmo davanti a Nikolajewka. Ivi c’era posto per tutti, ma vedemmo che la cittadina era occupata dal nemico.
Disposta in fondo ad un ampio avvallamento, la città era ben protetta dal rilevato della ferrovia, sul quale si era attestato il nemico con forze che per noi erano completamente sconosciute.
Il nostro battaglione si dispose in spiegamento di battaglia e, dopo aver atteso invano il grosso della colonna che presso Arnautowo era stata bloccata da una formazione nemica, iniziò l’attacco.
Guidati dal nostro maggiore Bracchi, sulle ore 11 andammo all’assalto, discendendo l’ampia spianata digradante verso il bastione ferroviario. All’improvviso si scatenò su di noi la furia delle armi nemiche: mitragliatrici, cannoni, mortai aprirono un fuoco infernale sugli alpini che scendevano allo scoperto. Il nostro bel battaglione fu in pochi minuti distrutto davanti alla città, dal fuoco di un’intera divisione russa.
A Nikolajewka il nemico aveva concentrato ingenti forze quante gli alpini non avevano mai incontrate durante tutta la ritirata. Nikolajewka doveva essere la tomba del Corpo d’Armata Alpino.
Le nostre perdite nel primo attacco furono enormi; nessuno contò i nostri morti disseminati nel grande avvallamento. Io so dire solo dei 12 uomini della mia squadra, in una decina di minuti, 3 uomini caddero morti e in 6 fummo feriti: 9 uomini su 12 furono colpiti. Contemporaneamente ad Arnautowo il battaglione Tirano andava ripetutamente all’attacco perdendo quasi tutti gli ufficiali. Intanto attaccarono reparti del Val Chiese, del Verona, dell’Edolo e del Tirano. Verso mezzogiorno finalmente il grosso della colonna cominciò ad arrivare di fronte a Nikolajewka.
Gli ufficiali raccoglievano i soldati, formavano nuovi reparti con elementi sparsi, con soldati di altre divisioni, trascinavano a combattere dietro di loro gente che non aveva più né uniforme né armi. Raccoglievano le armi dei morti e dei feriti e con quelle attaccavano. Generali, colonnelli, infermieri e conducenti, artiglieri e alpini, mescolati, senza gradi, si slanciavano contro il bastione ferroviario; ma i russi spazzavano il vallone e respingevano un assalto dopo l’altro, con una violenza di fuoco insormontabile. Cadde il generale Martinat ed il colonnello Calbo del Vicenza, rimasero feriti il colonnello Adami ed il colonnello Migliorati.
Il colonnello Signorini comandante il 6°, ritornò infinite volte all’attacco con i suoi alpini; il capitano Zani, sempre in testa a tutte le battaglie per otto volte balzò all’attacco anche a Nikolajewka, benché più volte ferito.
Non si riusciva a superare in forze il bastione ferroviario: da una parte un’intera divisione russa, uomini freschi, armi potenti, munizioni a non finire, posizione protetta e dominante; dall’altra parte uomini sfiniti, che avanzavano allo scoperto, affamati, febbricitanti, con poche armi, sfiduciati, disperati. Si avvicinava la sera e tutto sembrava ormai perduto. Allora il generale Reverberi, l’indomito comandante della Tridentina, decise di riunire tutte le forze, per tentare l’ultimo disperato assalto: tutti dovevano discendere come una valanga.
Raccolse i pochi resti del Vestone e del Morbegno, i battaglioni Val Chiese, Verona, Tirano, Edolo, i reparti dei gruppi di artiglieria, alpini e artiglieri della Julia e della Cuneense, fanti della Vicenza; tutti gli uomini validi, feriti, armati e disarmati, slitte cariche di feriti e l’ultimo carro armato. Scendere tutti come una valanga, decise il generale, con lui in testa.
Quando tutti furono pronti il generale Reverberi balzò sul carro armato e gridò con tutta la voce che gli restava: “Tridentina avanti!”.
Dal ciglio del vallone una unica ondata si mosse, avanzò improvvisa, spaventosa ed enorme. La furia delle armi russe divampò tremenda e micidiale; ma dietro quel carro armato, dietro al loro generale in piedi sul carro, gli alpini non potevano più essere fermati.
Avevano con sé i compagni che più non si reggevano e che ancora li incitavano; e tutti andammo all’attacco, tutti insieme, anche con i nostri morti. Disteso su una slitta, solenne nella morte, il colonnello Calbo venne portato avanti e guidò per l’ultima volta i suoi soldati. E gli alpini passarono.
Si impadronirono di mitragliatrici, di cannoni e li volsero contro il nemico che voleva resistere ad ogni costo.
La battaglia continuò casa per casa. Alla stazione il capitano Ferroni del Val Chiese, combatteva con la sua compagnia ridotta a pochi uomini; se avesse ceduto i russi avrebbero preso alle spalle tutti gli Alpini. Ma Ferroni resisteva e resisterà fino all’ultimo, e unico superstite in mezzo ai suoi alpini tutti morti, il capitano più volte ferito, col mitragliatore, lui solo, ricaccerà il nemico e poi morirà di schianto.
Il capitano Frugoni del Val Chiese, espugnata con i suoi uomini una posizione dominante, da dove l’artiglieria nemica infuriava, la tenne quanto bastò perché si avvicinassero i rinforzi. Morì con tutti i suoi soldati e venne decorato di medaglia d’oro al valor militare.
I russi tentarono di ritornare, ma con un ultimo disperato corpo a corpo la posizione fu riconquistata. Era ormai calata la notte, quando finalmente la tremenda battaglia si risolse a nostro favore. Nelle case abbandonate dai russi, i sopravvissuti cercheranno un po’ di pane, un po’ di fuoco, un giaciglio per riposare l’infinita stanchezza; per essere in grado di riprendere l’indomani la marcia verso la libertà.
Ilario Péraro