L’Alpino: “LA VACCA DEL BATTAGLIONE VALCAMONICA”… – 36
…a cura di Ilario Péraro
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LA VACCA DEL BATTAGLIONE VALCAMONICA
Racconto tratto dal libro <RAGÙ> di Gianmaria Bonaldi “La Ecia” ristampa 1958 – 1^ edizione 1935
Sono di scena una vacca “tognina”, un sergente e quattro alpini, bresciani e bergamaschi che sia, del battaglione Valcamonica: qualcuno dei protagonisti, meno la vacca, deve essere ancora vivo, perché la faccenda successe nel novembre del 1918.
Sarà anche nonno ed allora è bene non fare i nomi, perché, se i nipoti leggono la storia, addio veneranda canizie e rispetto per la vecchiaia!…
Battaglione di ferro il Valcamonica, tutto di bresciani e di bergamaschi saldissimi e di prima scelta, battaglione di grande valore e di grande merito che, col Morbegno nella guerra 15-18, divise il sanguinoso onore delle maggiori perdite fra tutti i sedici battaglioni del 5° Reggimento.
Tonale, Cokla, Rombon, Alpi di Fassa, Grappa, Solaroli, Fontanasecca, Valdaora e dove fu Alpino del Valcamonica nessun “tognino” poté fare un solo passo avanti nell’autunno tragico del 1917 e poi ancora Tonale e su Cima Cady, proprio dove nel 1915 venne iniziata la guerra, il battaglione tenne la posizione nella dura giornata del 13 giugno 1918, con larghissimo tributo di sangue.
L’armistizio trovò il battaglione in val Giudicaria, a riposo: gli alpini davano una mano alle “tose” nella raccolta delle castagne: che bello!
Adunata nelle piazzette dei piccoli paesi e via di corsa dietro i ”tognini” in fuga disperata per le Sarche, Rendena, Tione, Pinzolo, Campigli, La Mendola, Bolzano, Merano, passo di Resia e finalmente la val dell’Inn: 500 chilometri e passa, tutti a piote e che mal di piedi su per quelle strade piatte e tutte eguali che non son strade da Alpini, usi a rampicar montagne ed a graffiare ghiacci con gli scarponi ferrati, tanto che lo dice persino una canzone che noi non siamo muli da fondo valle e non marciamo mai sui marciapiedi…
Gheza caporale del 251, brontolava fra la barba folta: <Naja bestia, che guera! Corne e cruchi, cruchi e corne, camina e camina e sta Italia la se slonga che la finìs piö!>
Intorno, lo sfacelo di una nazione e di un esercito che non si credeva crollassero così di schianto: colonne senza fine di uomini laceri e stanchi, stracci, fame e cavalli a centinaia, torme di cani randagi, armi di ogni genere, munizioni a cataste, cariaggi, cannoni ancora con la vernice fresca: gli Alpini risalivano le valli fra due colonne di prigionieri sfiniti dalla fame e dalla fatica: il “bono italiano” adesso che è finita la guerra, pensa che anche questi sono ben cristiani con due gambe e divide coi “cruchi” la poca pagnotta e la scatoletta di carne.
Nel settembre del 1943, i “tognini” ripagarono il ben altro modo e con altra moneta gli Alpini del Quinto, braccadoli per le piane di Merano e di Bolzano, poveri ragazzi che altro non cercavano che fuggire alla morsa del tedesco invasore e sleale, ma questo non conta, perché noi sappiamo anche essere generosi e dimenticare le porcate che ci han fatte.
Tornando al nostro racconto, capitò che una pattuglia di un sergente e quattro Alpini andò proprio a sbattere in un gruppo di ungheresi che si tiravano dietro una vacca, una manza ben pasciuta ed in carne.
“Alt; dove andate voi con quella bestia? Proibito! Furt! Furt! Andare, marsch!”… detto fatto la vacca passa in forza al battaglione Valcamonica, o per essere più precisi, dei cinque amiconi.
Gli ungheresi si voltano a salutare la vacca, dalla quale si erano ripromesse chi sa quante bistecche ed i cinque moschettieri se ne vanno, fieri e trionfanti, con la vacca al seguito.
La sera il battaglione mette il campo vicino ad un paese: la solita baraonda degli Alpini che vanno in su e dei “tognini” che vanno in Italia dove trovan da mangiare e da bere più che a casa loro: i borghesi stanno allibiti ed inerti sulle porte delle case a vedere questa che sembra la fine del mondo.
Due dei cinque lanzichenecchi entrano in azione.
“Grüss Gott! Buona sera! Guten Äbend! Jà, Jà, vacca nostra e noi vendere. Volere voi comprare? Kleine geld, pochi soldi. Jà, jà! Kaufen, kleine geld…”
I tognini nicchiano, fan finta di non capire, parlottano fra di loro, palpano la bestia che guarda la scena coi suoi occhi rotondi, confabulano fra di loro in disparte poi si fa avanti il più vecchio, pipone in bocca e basette alla Cecco Beppe.
Tira tu che tiro io, soldi pronti, la vacca ridiventa austriaca: una stretta di mano e i due cirenei se ne vanno con una tasca gonfia di corone, che valgon poco, ma però, per comperare qualcosa da innaffiare la gola, bastano lo stesso.
A mezza notte, atto secondo.
Il sergente con gli altri due batte alla porta degli incauti compratori.
“Öffnen! Wo ist die Kuh? Dove stare vacca? Nein, nein! Voi non potere comprare vacca! Venite con noi! Komm mit uns! Fuzilìren; fuzilìren!…”
I tognini, che se non avessero i pantaloni a tenerli in piedi, sarebbero caduti per terra di schianto, cercano scuse, tergiversano, si danno la colpa a vicenda. Chiamano Dio e mezza dozzina di santi a testimonio che loro hanno comprato in buona fede; pregano il sergente, herr Feldwebel, di avere compassione di loro, si porti pure via la vacca, pur di non far loro niente.
Il sergente con gesto regale di accondiscendenza, scuote la esta, soffia un po’ “Gut, gut” i due si prendono la vacca a rimorchio e se ne vanno impettiti, senza voltarsi indietro: il sergente chiude la marcia: la vacca ridiventa alpina…
E poiché il battaglione, cammina oggi, cammina domani, di paesi ne ha toccati almeno una dozzina, prima di giungere a Landeck, pare che la commedia della vacca e delle cinematografie del suo stato civile si sia ripetuta almeno sei o sette volte…
Questa storia mi è stata raccontata dal dottor Borioli, vecio del battaglione, ma adesso mi viene il dubbio che Borioli, così largo di particolari e così preciso nel contarmi la vicenda della vacca trasformista, ne sapesse un po’ troppo.
Lui però mi ha detto che non c’entrava ed io gli ho creduto: che diamine! Fra i veci Alpini ci si deve sempre credere vicendevolmente, ma lì dietro c’era il mulo Idro a sentire e quello si è messo a sventolare le orecchie, come a far cenno di no.
Ma i muli, appunto perché muli, sono più difficili da fare convinti che non gli uomini ed a loro non si possono chiedere troppi atti di fede…
Ilario Péraro