L’Alpino: “L’inverno del 1916 – 1917” – 10
…a cura di Ilario Péraro
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L’inverno del 1916 – 1917 fu certamente uno
dei più nevosi e tristi della grande guerra.
La neve sul Pasubio arrivò anche a 4 metri e dove veniva accumulata dal vento anche 8 metri; il generale inverno fu il nemico comune contro cui dovevano combattere italiani ed austriaci.
I morti per valanghe, assideramento, malattie respiratorie dovute alla vita di stenti e al freddo intenso, superarono i morti per azioni di guerra in quei mesi in cui la coltre bianca aveva ricoperto ogni reticolato e annullato ogni confine.
Da “Il battaglione alpini Monte Berico nella grande guerra”:
“La bufera fu di una durata eccezionale, insolita: dal 27 novembre al 19 dicembre e gli effetti furono terribili. Per oltre 20 giorni il Monte Berico fu isolato, lasciato a razione ridotta, con viveri di riserva, senza vino, latte, brodo. Le teleferiche erano interrotte, ogni possibile via di collegamento impraticabile per l’eccezionalità del fenomeno. Sul Cosmagnon c’era il btg. Exilles che chiedeva aiuto. Per due volte con questo battaglione fratello si divisero gli scarsi viveri poi, proprio la seconda volta, gli uomini dell’Exilles destinati alla corvée, sul pendio del Palon, furono travolti da una valanga e nessuno si rese conto di ciò che era accaduto. Trenta uomini furono travolti dalla neve e rimasero lassù fino al disgelo successivo.” (A. Castagna, C. Gattera, P. Xompero Il Battaglione alpini Monte Berico nella grande guerra, Rossato editore, Valdagno 2005)
“La strada, abbastanza larga da far passare i muli, fino ad un certo tratto, si restrinse in un sentiero sdrucciolevole su abissi e canaloni levigati. Un piede in fallo significava la morte! Poi il sentiero divenne sempre più difficile, sino a cambiarsi in una gradinata informe, creatasi da sé, a serpeggiamenti, in mezzo a canaloni, per il continuo passaggio di truppa… Il freddo della notte, ne cambiava i gradini in tante lastre di ghiaccio. Si saliva piantando il piede, aggiustandolo per non sdrucciolare, tastandolo prima, curvandosi faticosamente sul bastone alpino per fare il passo… Verso le 18 cominciò a sfarfallare: da prima una caduta di falde larghe, poi man mano che si saliva, la nevicata diventava più fitta e più minuta, con un turbinio di piccoli cristalli, duri come granelli di marmo… Né sentiero, né gradinata, né pista… Nei punti più difficili si avanzava puntando le mani e i ginocchi sulla neve, carponi come fiere… A poco a poco lo strato di neve sopra i vestiti aumentava e col freddo gelava, dando alla stoffa la durezza del legno… La marcia che in condizioni normali si sarebbe compiuta in 4 ore al massimo, durò invece ben tredici ore.” (Michele Campana, Un anno sul Pasubio – Rossato editore, Valdagno 1993 pa.100 –101)
“Bisogna pensare che 50 uomini con armi e zaino, coi cappotti stecchiti, i passamontagna gelati, le scarpe bagnate, si ammucchiavano dentro una tenda. Tra quel fradicio dovevano mangiare, cambiarsi, ungersi i piedi, tener pulite le armi, dormire, vivere insomma.” ( Michele Campana, umile alpino che la guerra faceva davvero)
Ilario Péraro