L’Alpino: “Scemo di guerra… – 24/12

…a cura di Ilario Péraro

Alpini 2

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Scemo di guerra

Racconto liberamente ispirato alla figura di don Primo Discacciati, 
cappellano militare all’Ospedaletto di Storo dal 1915 al 1918.

ERANO PARTITI DA STORO ALL’ALBA
Giovedì 21 giugno 1917

IL VOLTO DEL FRATE ERA TRISTE E SPRIZZAVA COMPASSIONE SINCERA
Venerdì 22 giugno 1917

ICARO TOMASI AMMUTOLI’ DI FRONTE A TANTA INSOLENZA
Sabato 23 giugno 1917

(continuazione…)

«Si può sapere cosa le salta in testa, don Discacciati?»
Se l’aspettava, la sfuriata del colonnello Tomasi, ma don Primo non si scompose anzi: prese la seggiola e si sedette senza essere invitato.
«Mi dicono che ha spedito quel suo sciancato a far incetta di medicinali all’infermeria del forte» latrò il comandante, sputacchiando furioso sulle carte che invadevano la scrivania. «Mi riferiscono di sontuosi banchetti allestiti nella cella di quel prete condannato a morte che si finge pazzo… So per certo che il prigioniero è stato lavato, pulito, addirittura medicato e rivestito come se fosse pronto per andarsene da qui… Ma dove crede di essere? In un albergo al Lido di Venezia? Qui al San Marco i soldati ci stanno o per rinfrancarsi e per prepararsi a tornare in prima linea o in attesa di capitare davanti ai miei plotoni di esecuzione!»
Don Primo sospirò, prese un fazzoletto da tasca e si deterse la fronte imperlata di sudore nervoso. «Posso parlare, o pensa di poterlo fare solo lei?»
Icaro Tomasi ammutolì di fronte a tanta insolenza e il cappellano approfittò di quella breve incertezza per riprendere a parlare.
«Allora: lei mi ha affidato le sorti di don Sergio Babbolin perché io possa stabilire se la sua pazzia sia frutto di menzogna oppure uno stato di vera alterazione mentale. Ci sarebbe voluto un medico del cervello, al mio posto, ma avete deciso che andavo meglio io: da prete a prete, avrete pensato, alla fine la verità verrà a galla. Ma per far ciò, caro colonnello, io devo poter valutare l’equilibrio del disgraziato mettendolo nelle migliori condizioni possibili, fisiche e spirituali: solo così posso capire se mente oppure no! E un piatto di minestra, un bicchier di vino e un tozzo di pane mi sembrano ben poca cosa, se alla fine avrete ciò che mi chiedete! Quanto alla mano medicata, come pensa che io possa lavorare, se ho davanti un uomo sofferente e febbricitante per l’infezione a un moncherino di dito? Meglio curarlo prima, che sentirlo poi urlare e vederlo dar di testa sugli spigoli per il male come un matto in piena regola. O no?»
«Di quanto tempo avrà bisogno, allora, prima di darmi una risposta?»
S’era calmato un poco, il colonnello, forse intimorito dall’atteggiamento sostenuto e deciso del cappellano che aveva di fronte.
«Non posso prevederlo, signor colonnello, ma l’aver dato una sembianza più umana al condannato mi aiuterà di sicuro a valutare meglio la sua pazzia. Anzi, vorrei la piena collaborazione del forte: vorrei poter tirar fuori il Babbolin da quel buco maleodorante di cella in cui l’avete messo, per dargli una stanza più dignitosa, magari quella accanto alla mia, dove dorme il mio aiutante Alcide, che così veglierà su di lui giorno e notte pronto a riferirmi ogni atteggiamento più che bizzarro. È un giovane sveglio, gliel’assicuro, servizievole e buono…»
Il Tomasi torturò a lungo il sigaro che stringeva fra le dita: sapeva in cuor suo che la richiesta del prete aveva delle giustificazioni, ma l’orgoglio gli imponeva di non cedere completamente le armi.  «Spostare il Babbolin nella stanza vicino alla sua era un provvedimento che avevo già in mente: metterò di guardia un soldato, in modo che intervenga in caso di violenze, così lei e il suo aiutante potrete star tranquilli. Le domando una sola cosa, però: faccia presto! Sia veloce nel decidere, ho bisogno di sapere se posso dar seguito alla condanna qui, subito, al forte, oppure se devo far rinchiudere a vita il soggetto in una prigione militare… Adesso può andare.»
Don Discacciati si alzò, salutò portando la mano alla visiera del cappello, rimise a posto la seggiola e se ne andò senza una parola.
«Don Sergio, se la sente di spiegarmi per quali motivi ha cercato di farsi riformare rimettendoci un dito e poi fingendosi pazzo?»

Ilario Péraro – (12 continua)

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