Lebrecht Ise
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Pittore, Ise Lebrecht nacque a Verona il 24 aprile 1881. Di famiglia ebrea d’origine polacca, fieramente avversa alla Chiesa cattolica ritenuta non indenne da tutte le persecuzioni che la razza ebraica aveva subìto nei secoli, egli era venuto al mondo nello splendido palazzo Maffei di stradone S. Fermo (che si chiamò, poi, palazzo Maffei-Lebrecht). Era figlio di Guglielmo, padrone del quotidiano “L’Adige”, di una fabbrica di lampade e, prima, cointestatario di una famosa fornace che sfocerà nella Valdadige e di Eugenia Vitali (v. questo Sito), ferrarese, scrittrice e straordinaria combattente a difesa delle donne in un periodo certamente non propizio a queste ultime. Egli era, anche, cugino del famoso scrittore Danilo Lebrecht, conosciuto, nel mondo della letteratura, con lo pseudonimo di Lorenzo Montano.
Avviato agli studi giuridici, non volle mai saperne di diritto né seguì le direttive del padre che l’avrebbe voluto ufficiale dell’esercito. Scelse di fare l’artista. L’aristocrazia nella quale viveva, la bellezza del palazzo, l’attività anche politica del padre sindaco di San Michele Extra, assessore nel comune di Verona, radicale a difesa dei deboli, massone) lo tennero lontano da un’occupazione fissa, ma il suo talento di pittore lo fece assiduo a seguire non solo la pittura, ma anche tutta la cultura veronese della quale divenne un importante rappresentante oltreché amico di quasi tutti gli spiriti “liberi” d’inizio Novecento. Appare giusto considerare, tra l’altro, che la ricca famiglia era attenta alle necessità altrui; non va dimenticato l’apporto finanziario e fortemente volitivo prestato nell’occasione della prima areniana del 1913.
Ise Lebrecht s’ispirò inizialmente ad Angelo Dall’Oca Bianca, ma fu Antonio Mancini (già a Parigi, poi stabilmente a Roma), autore tra l’altro del ritratto della madre Eugenia Vitali, il suo vero maestro. Il suo esordio fu brillante: alla Biennale di Venezia nel 1912 e, subito dopo, sempre nella città lagunare nelle due mostre del ’13 e del ’14; contemporaneamente andò a Napoli, fu a Roma alla mostra della “Secessione”, a Milano. Felice Casorati, allora a Verona e mentore assoluto dell’arte nella città scaligera tra 1911 e 1917, lo volle con sé; Lebrecht condivise con i grandi artisti concittadini di allora sostanzialmente tutte le imprese.
Aveva già iniziato a tappezzare la propria casa (47 stanze su cinque piani) delle proprie opere dove trovarono ospitalità letterati, artisti, musicisti e tutti coloro che condividevano l’amore per la cultura nel senso più ampio del termine.
Chiamato ad adempiere al servizio militare, il 23 aprile 1917, a Corsico, in provincia di Milano, gettandosi vestito nelle acque infide del Naviglio, salvò una bambina cadutavi accidentalmente: Ise Lebrecht fu insignito della Medaglia d’argento al valore civile.
Seguendo i percorsi dei grandi pittori veronesi, egli s’immedesimò talmente nella sua città che non l’abbandonò quasi mai e che divenne, in buona sostanza, la vera ispiratrice della sua opera intera. Piazza Erbe fu il luogo prediletto, ma non trascurò alcun angolo delle bellezze; amò molto il ritratto, che portò con sé lungo tutto l’arco della sua esistenza.
Apparentemente distaccato dalla vita pubblica, egli era uomo assai discreto, fortemente interessato al concetto profondo della bellezza, non sempre simpatico per le sue forti prese di posizione soprattutto per coloro che riteneva non condividere con lui alcuni princìpi. Ma poi – e tutti lo dissero – Ise Lebrecht si faceva perdonare per l’arguzia e la grazia con le quali sapeva avvicinarsi alla gente. Non dimenticò tutto quanto poteva legare la sua persona alla propria condizione di ebreo. Lottò, con Dall’Oca Bianca, affinché non venisse distrutto il Ghetto dove la sua famiglia, alla venuta a Verona, era stata ospitata: toglierlo sarebbe stato come sradicare dal cuore dei suoi correligionari una parte di ognuno di loro. Non servirono a nulla le prese di posizione perché al suo posto venne eretta la sinagoga e tutta una serie di edifici che poco avevano a che fare con quest’ultima. Si batté anche contro l’inaridimento della Piazza delle Erbe, dei posti circumvicini ch’egli reputò, come tutti gli artisti, tra i più belli in assoluto. Difese, anche a fianco di Mons. Giuseppe Chiot, qualsiasi luogo che ricordasse la sua gente e il travaglio che gli ebrei avevano subìto.
Pure facendo parte dell’opulenta aristocrazia cittadina, Ise Lebrecht non visse lontano dal mondo degli umili e cercò d’aiutare, innanzitutto, gli ebrei sofferenti forse non economicamente, ma spiritualmente. Fu lui, infatti, a fare conoscere Lina Arianna Jenna (della quale fece lo splendido ritratto in questo Sito) e la portò nell’agone artistico veronese.
Alla sua morte si troverà un suo scritto, doloroso e commovente che terminava in questo modo: “… dimenticare queste guerre terribili e tremende. Dimenticare che il mondo goccia sangue da ogni sua più piccola parte. Quando, quando finiremo di ucciderci fra uomini?”.
Come accadde per tutti gli artisti, prese la tessera del partito fascista – come fece anche la Jenna – per potere partecipare alla Prima grande esposizione voluta dallo stesso a Verona nel 1931: qui presentò un bellissimo Santo Stefano. Poi distrusse quest’appartenenza coatta e sentì avvicinarsi i giorni terribili per la sua stirpe.
Intanto le sue opere amate dai colleghi Nurdio Trentini, Emilio Girelli, Angelo Dall’Oca Bianca, Arturo Weingrill, Filippo Nereo Vignola, Ettore Beraldini, Giuseppe Zancolli, presero la via delle collezioni private sia italiane sia straniere.
Ise Lebrecht percepì anzitempo che cosa stava per accadere. Il cosiddetto “Manifesto della Razza” lo colse e lo stremò. L’infamia annunciata il 14 luglio 1938 e suggellata il 18 settembre dal discorso di Mussolini a Trieste gettò lui e tutti gli ebrei in una situazione drammatica. La morte del padre, avvenuta nel 1929, aveva lasciato metà della grande eredità a lui e alla madre; la quale se ne andò dalla vita l’anno dopo. Ise, con atto notarile del 1939, donò tutto alla moglie Amalia Cuppini (della quale fece un bel ritratto).
Egli si era ritirato, già da tempo, nella sua casa senza uscirne: nel silenzio, nella solitudine, nel dolore. Il fascismo gli tolse, poco a poco, con una serie di congetture apparentemente legali, il patrimonio finché, nel novembre 1944 – e non tenendo conto della donazione alla moglie non ebrea – la Prefettura confiscò tutti i beni.
Ise Lebrecht si spense, nella sua casa, il 13 giugno 1945. Nell’occasione il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) volle rendergli omaggio per l’integrità della sua vita, per la correttezza dei rapporti e per l’altruismo dimostrato in ogni occasione. Poi, la damnatio memoriae s’impadronì anche di lui. Come tutti i suoi cari riposa nel cimitero ebraico di Borgo Venezia.
Bibliografia: Giorgio Marini, Ise Lebrecht, in La pittura a Verona dal primo Ottocento a metà Novecento, a cura di Pierpaolo Brugnoli, Verona, Banca Popolare di Verona, 1986, p. 329; Francesco Vecchiato, Lebrecht, Ise, in Dizionario Biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, pp. 472-473; Francesco Vecchiato, I Lebrecht, Verona, Università degli Studi, 2013, pp. 807-840.
Giancarlo Volpato